Betania: il silenzio della morte | Custodia Terrae Sanctae

Betania: il silenzio della morte

Omelia di fra Paolo Messina - Peregrinazione a Betania (14 marzo 2024)

 

Carissime sorelle e carissimi fratelli, 

oggi, in questo luogo, voglio riflettere su un altro suono del silenzio, forse quello più  angoscioso, inquietante, doloroso: il silenzio della morte. Talmente terribile che anche la liturgia di oggi in qualche modo ci vuole proteggere da tutta la sua crudeltà. Le due letture che abbiamo ascoltato, infatti, si concludono entrambe con un "lieto fine", con il ritorno alla vita di colui che era morto: il figlio della Sunammita, nel racconto del secondo libro dei Re, e Lazzaro, nella pagina del Vangelo.  

Due storie parallele, in cui la vita quotidiana e serena di due famiglie viene improvvisamente  spezzata dalla morte. Il dolore della madre e del padre di quel bambino, come quello  di Marta e Maria, è descritto con toni e accenti in cui certamente possiamo ritrovarci. Chi di noi non ha fatto la stessa esperienza? La notizia inaspettata della morte improvvisa di un giovane parente o di un amico, giunta inattesa mentre la nostra vita procedeva secondo il suo ritmo normale, come quella mattina per il padre e la madre di quel figlio unico e tanto atteso, entrambi presi nei lavori del campo o nelle faccende di casa. Oppure l’annuncio della morte di una persona che sapevamo malata, forse ormai in fin di vita, come per Gesù, il quale sa che Lazzaro è ammalato, tanto che dopo due giorni ne annuncia la morte ai discepoli.  

Quale delle due esperienze possiamo giudicare meno dolorosa? Quale dei due silenzi - quello del bambino e quello di Lazzaro - fa più male? A quale dei due potremmo essere più preparati? Credo che a queste domande non ci sia una risposta. L’esperienza  personale ci dice che siamo sempre impreparati alla morte; che nonostante il nostro percorso di fede il silenzio della morte ci ferisce, ci sconvolge, ci abbatte.  

Come non comprendere quella madre che in silenzio abbraccia il figlio sofferente fino al momento della morte per poi deporre il suo corpo esanime sul letto? La lettura non ci fa ascoltare il suo viaggio disperato verso Eliseo, per la cui intercessione lei aveva  finalmente concepito un figlio (2Re 4,16-17). Non abbiamo ascoltato il tentativo andato a vuoto di Giezi, il servo di Eliseo, mandato a salvare il ragazzo (2Re 4,31). La  parola di Dio, che oggi abbiamo letto, non descrive la delusione o il dolore di quei due genitori a quella notizia, né ci mostra la loro ansia quando Eliseo entra nella stanza per vedere il corpo del fanciullo, lasciandoli fuori. Il silenzio della morte è descritto da questa assenza di parole, perché non ci sono modi per descriverlo. Eppure, quei genitori attendono fuori, senza urlare, perché di fronte a quel silenzio c’è in fondo sempre la speranza, a volte irrazionale, di qualche cosa che possa mutarlo in un grido di gioia.  

È la stessa speranza di Marta che all’udire della venuta di Gesù, gli va incontro. Molti erano venuti per consolarla, dice Giovanni, ma Marta può trovare conforto solo in Gesù e nell’incontro con Lui. Le sue parole, le stesse che poco dopo anche Maria ripeterà, sono quelle che ogni uomo e ogni donna avvolti dal silenzio della morte si ritrovano a pronunciare: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe  morto”. Parole che possiamo pronunciare a volte con rabbia, a volte con una pacata  rassegnazione. Parole che esprimono la nostra attesa delusa per un mancato intervento  di Dio.  

Marta, tuttavia, non si ferma a una sterile recriminazione: va oltre il suo dolore si apre alla fiducia verso quell’amico che amava così tanto Lazzaro. La sua è un’apertura vera: “Qualunque cosa tu eventualmente voglia chiedere a Dio, questi certamente te la  concederà”. La possibilità formulata in questa espressione è indice della sua fede in Gesù, e al contempo della consapevolezza che Dio ascolterà e realizzerà ogni preghiera del Figlio. La fede di Marta, in quel momento così tragico, è talmente forte da farsi lei stessa testimone e annunciatrice alla sorella Maria. 

L’incontro tra Maria e Gesù è più intimo. È l’incontro di due persone che sanno comprendersi, ascoltarsi reciprocamente. Alle parole di Maria, le stesse di Marta, Gesù non risponde né con promesse, né con insegnamenti sulla resurrezione. Giovanni dice che la vide piangere e allora si commosse e si turbò (Gv 11,33); due termini particolari. Il primo dice di un sentire fortemente nello spirito, con lo spirito, qualcosa che muove interiormente l’animo. Potremmo dire in altri termini che Gesù provò in quel momento una profonda empatia, nel vedere il pianto di Maria. Il secondo ci parla di un tumulto, di un subbuglio che Gesù provocò a sé stesso. Entrambi i termini ci dicono di un’azione volontaria e consapevole di Gesù. Egli sceglie di entrare nel silenzio della morte, quel silenzio da cui Maria non riusciva a emergere. Gesù condivide con lei quel momento, con tutto sé stesso. Il procedere verso la tomba di Lazzaro, il pianto davanti a quel sepolcro, la sua profonda commozione sono pennellate che tratteggiano questo cammino verso il buio della morte. 

Gesù prega il Padre davanti al corpo esanime di Lazzaro, come Eliseo “pregò il Signore” (2Re 4,33) di fronte al fanciullo senza vita. Le uniche parole capaci di rompere quel silenzio sono, infatti, le parole della preghiera: una preghiera di ringraziamento e di lode, un’invocazione di aiuto e di sostegno, un’orazione che esprime la fiducia in un Padre che ascolta quello che il Figlio gli chiede, un’intercessione per coloro che soffrono, perché anche in quel momento così tragico possano credere nella potenza dell’amore del Padre, che è capace di ridare la vita.  

Dicevo all’inizio che le letture di oggi sembrano quasi ingannarci, perché sono due storie angoscianti, tristi, ma con un lieto fine: il ritorno in vita del “morto”, come lo chiama Giovanni. In realtà, esse ci mostrano che al di là del silenzio nella casa della Sunammita, al di là del silenzio dentro il sepolcro di Lazzaro, al di là del silenzio della morte c’è una voce che ci parla di vita, che ci dona speranza, che annuncia la vita  eterna.  

Attraversando quel silenzio, come Eliseo, come Gesù, come quel fanciullo, e lo stesso Lazzaro, sentiremo quella voce e ritorneremo alla vita in tutta la sua pienezza.