Continuare a fidarsi e sperare | Custodia Terrae Sanctae

Continuare a fidarsi e sperare

Secondi vespri di s. Antonio

Carissimi fratelli, carissime sorelle,

il Signore vi dia pace!

1. In questi anni abbiamo digiunato e pregato tante volte per la pace: prima per la pace in Siria, poi per la pace in Ucraina, infine – in questi ultimi otto mesi –per la pace qui in Terra Santa, chiedendo a Dio la liberazione degli ostaggi, il rispetto della popolazione civile e la fine della guerra a Gaza.

L’abbiamo fatto insieme a tante altre persone che hanno accolto l’invito di Papa Francesco ad annaffiare e coltivare l’albero della riconciliazione e della pace, anziché quello della violenza e della vendetta.

Confesso che in questo come in molti altri casi ho avuto l’impressione che le nostre preghiere fossero inutili o almeno inefficaci: non abbiamo visto cambiamenti significativi nella situazione locale o globale; i morti civili hanno continuato ad aumentare, molti ostaggi non sono ancora stati liberati, il livello di violenza fisica e verbale è aumentato un po’ in tutti gli ambiti, gli appelli di Papa Francesco sembrano essere caduti nel vuoto, come quelli di molti altri leader mondiali.

2. Mentre pensavo a queste cose mi è venuto in mente l’episodio della vita di sant’Antonio quando viene chiamato in causa per la liberazione degli ostaggi imprigionati dal tiranno veronese Ezzelino da Romano.

Ezzelino era un principe feroce e cinico, non aveva alcun interesse per la vita della gente ma cercava solo di allargare e conservare il proprio potere. Il francescano Salimbene da Parma scrive nella sua Cronaca (Cronaca n.1735): «Costui fu veramente membro del diavolo e figliolo d’iniquità. Infatti un giorno nel campo S. Giorgio di Verona (...) fece bruciare undicimila padovani, dentro una grande casa dove li teneva prigionieri e in catene; e mentre venivano bruciati, egli e si suoi cavalieri giravano attorno cantando e svolgendo un torneo. Fu il peggiore uomo del mondo».

Lo storico padovano contemporaneo di s. Antonio, il Rolandino, racconta come vivevano i suoi prigionieri rinchiusi nella torre di Cittadella: «Lì pianto e stridore di denti, lì dolore e urla, lì continue tenebre, lì vermi, lì fetore e angustie e sete e fame». Ahimè, sembrano scene che si ripetono anche oggi.

3. Nel 1231, poco prima di morire, Antonio si recò a Verona per incontrare Ezzelino e chiedere la grazia per un gruppo di nobili Padovani che erano stati fatti prigionieri da Ezzelino e condannati a morte.

L’incontro fu duro. Racconta uno dei biografi del Santo che Antonio Affrontò Ezzelino con queste parole: «O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando non smetterai di versare sangue innocente? Ecco, ti pende sopra il capo la condanna di Dio, durissima e terribile» (Benignitas).

Sul momento Antonio non ottenne niente e tornò a Padova con un apparente fallimento. Lo storico Rolandino annota che Antonio «fu totalmente disprezzato e non gli si concesse niente di quello che chiedeva». Nel 1232, circa un anno dopo la morte di Antonio, Ezzelino fece un raro gesto magnanimo e liberò i prigionieri.

4. Noi vorremmo che le nostre preghiere avessero un risultato immediato. Dallo stesso Antonio ci aspetteremmo il miracolo istantaneo, ci aspetteremmo che davanti a lui il crudele Ezzelino improvvisamente si penta, si metta in ginocchio riconoscendo di aver sbagliato e immediatamente liberi i prigionieri. Ciò non accade. Il miracolo della liberazione dei prigionieri, se così lo vogliamo chiamare, non avviene all’istante, ma avviene solo un anno dopo la morte del Santo.

In realtà è così che il Signore ci educa a perseverare nella ricerca del bene, a rimanere sintonizzati sulla sua volontà, a continuare ad essere operatori di pace anche se non vediamo risultati concreti immediati.

È così che il Signore ci educa a comprendere che i miracoli, se di miracoli si tratta, li fa lui non noi, però a noi chiede di essere perseveranti nella fede e questo lo possiamo manifestare solo continuando ad affidarci a Lui nella preghiera. È così perciò che impariamo ad abbandonarci nelle mani del Signore, a fare tutto ciò che è in nostro potere ma con la pazienza di chi attende da Lui la pace, che ci viene concessa in Gesù, “Colui che è la nostra pace” (Ef 2,14), quando a Lui piace.

5. Concludo con una preghiera del nostro Santo Patrono, tratta dai suoi “Sermoni”, è una preghiera che ci aiuta a considerare ciò che accade in questo nostro mondo e durante questa nostra vita alla luce della relazione con Gesù nostro unico Salvatore e della prospettiva della vita eterna in Lui: “O dolce Gesù, che cosa è più dolce di te? Dolce è il tuo ricordo, più del miele e di tutte le altre dolcezze. Il tuo è nome di dolcezza, nome di salvezza. Che cosa significa Gesù, se non Salvatore? O buon Gesù, proprio per essere te stesso sii per noi Gesù (cioè Salvatore), affinché tu che ci hai dato l’inizio della dolcezza, cioè la fede, ci dia anche la speranza e la carità, affinché vivendo e morendo in esse, meritiamo di arrivare fino a te.

Per le preghiere della Madre tua, concedici questo tu, che sei benedetto nei secoli. Amen” (Pur.BVM, 10).