Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
Carissime sorelle, carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace!
- Oggi celebriamo la presentazione del bambino Gesù al Tempio, che, come abbiamo sentito nel Vangelo, è un preludio della sua offerta al Padre.
È toccante e commovente per noi celebrare questa festa nella Città in cui è avvenuto questo episodio iniziale della vita di Gesù. Ma questa festa è per noi speciale anche perché coincide con la festa della nostra vita consacrata. Quindi, dobbiamo ascoltare e cercare di comprendere ciò che questo episodio della vita di Gesù dice alla nostra vita e vocazione.
Durante quest’anno, che per volontà di papa Francesco è dedicato a san Giuseppe, è importante che guardiamo a questo episodio della vita di Gesù e alla nostra vocazione anche con gli occhi di colui che ha introdotto silenziosamente il Figlio di Dio nella stirpe di Davide. Vorrei sottolineare, a questo proposito, solo due parole fortemente presenti nelle letture e nella liturgia che stiamo celebrando.
- La prima parola che voglio sottolineare è offrire. Come ricorda papa Francesco nella “Patris corde”: “Nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita, insieme alla madre Giuseppe offrì il Bambino al Signore e ascoltò sorpreso la profezia che Simeone fece nei confronti di Gesù e di Maria (cfr Lc 2,22-35)”.
La presentazione del bambino Gesù è descritta come un’offerta, una consacrazione e un sacrificio. E Giuseppe partecipa attivamente, non solo Maria. Capiremo il senso pieno di questo atto solo nel Cenacolo e sul Calvario, contemplando il mistero del Figlio che si offre a noi in forma personale nel Suo Corpo e nel Suo Sangue e poi si offre per noi sulla Croce; ma è importante riconoscere che tutta la vita di Gesù è un’offerta. Lui che è il dono del Padre per la salvezza dell’umanità, è offerto e si offre al Padre fin dall’inizio della sua esistenza terrena. Come riceve se stesso dal Padre e si dona al Padre dall’eternità e per l’eternità, così riceve se stesso e si dona al Padre anche durante il tempo limitato della sua vita terrena.
Scopriamo così che la consacrazione di Gesù, alla quale in qualche modo anche san Giuseppe partecipa, è una dedizione completa alla volontà del Padre. La Sua obbedienza non è un’obbedienza part-time ma un’obbedienza a tempo pieno. Gesù è venuto per fare la volontà del Padre; Giuseppe viene descritto in ogni passo di Vangelo, non come uno che dice ma come uno che fa ciò che gli viene chiesto da Dio. L’obbedienza di Gesù nella carne umana è un riflesso del suo essere il Verbo eterno che fin dal principio è rivolto verso il Padre (Gv 1,1), ma è anche qualcosa che ha imparato osservando la docilità di Giuseppe – e non solo di Maria – alla volontà di Dio.
- Se sappiamo che la nostra vita consacrata è partecipazione all’offerta di Gesù, penso che dovremmo sentire che anche la nostra vita è un dono da offrire al Signore, attraverso una donazione quotidiana di noi stessi. I nostri stessi voti vanno letti da questo punto di vista: sono un dono per noi, perché la nostra vita sia piena, anche nella nostra umanità, come è stata piena l’umanità di Gesù. Allo stesso tempo, sappiamo e sperimentiamo che i voti sono anche un impegno, un impegno necessario se vogliamo che il dono ricevuto diventi appunto una “restituzione” della nostra vita (S. Francesco), attraverso il dono di noi stessi a Dio e ai nostri fratelli e sorelle. E in certo qual modo possiamo guardare proprio a san Giuseppe per comprendere tutto questo.
L’obbedienza espande la nostra volontà non la riduce, perché attraverso la nostra obbedienza si realizza la volontà di Dio per il bene dell’umanità. La nostra povertà non è una privazione ma una condivisione della scelta del Figlio di Dio che si è fatto povero per arricchire noi. È quindi una fonte di libertà e una profezia di fraternità in un mondo in cui troppo spesso prevale l’egoismo. La nostra castità non è assenza di amore ma una dilatazione della nostra capacità di amare, per poter amare con il cuore di Dio i nostri fratelli, le nostre sorelle e ogni creatura.
- La seconda parola che sottopongo alla vostra riflessione è luce. Abbiamo ricevuto una piccola candela all’inizio di questa celebrazione, una candela dalla fiamma fragile. E abbiamo sentito nella preghiera di Simeone: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele”. Nel vangelo di san Giovanni, Gesù si presenta come la luce, “la luce vera, che illumina ogni umana persona” (Gv 1,9), e nel credo noi lo proclamiamo “Dio da Dio e luce da luce”. Sappiamo che Gesù illumina in molti modi: le sue parole sono una luce che risplende nel buio della nostra storia, della nostra vita e della nostra coscienza; le sue azioni sono una luce che rivela il vero volto di Dio come tenerezza e misericordia; la sua morte è una luce che ci mostra l’amore più grande e la sua risurrezione è una luce che fa sgorgare nel nostro cuore la sorgente della speranza.
- La fiammella della nostra persona è piccola se la confrontiamo con la Luce stessa che è Gesù. Eppure, attraverso la nostra consacrazione è la luce stessa di Gesù a brillare nelle tenebre del mondo, proprio come quando Giuseppe – assieme a Maria – ha offerto il bambino Gesù. La candela della nostra persona è fragile, basta un soffio a spegnerla, perciò dobbiamo essere umili, non possiamo presumere, non ci sostituiamo a Gesù, però dobbiamo anche essere coscienti che siamo chiamati proprio da Gesù ad essere “luce del mondo” (Mt 5,14). E dobbiamo perciò illuminare i nostri fratelli e sorelle non della nostra luce ma della luce che è Gesù, come fanno Giuseppe e Maria, quando lo mettono in braccio a Simeone.
- Quando mostriamo con la luminosità delle nostre parole e delle nostre opere la fede, la speranza e la carità che Gesù ha acceso nel nostro cuore, noi offriamo la Sua stessa luce. Così quando preghiamo insieme mostriamo la fonte della nostra fede e dell’amore fraterno. Quando ci prendiamo cura dei bambini e degli anziani, dei malati e dei poveri, dei giovani e delle famiglie, dei migranti e dei rifugiati, è l’amore di Cristo che risplende nella nostra vita. Quando insegniamo o predichiamo non sono le nostre parole a essere brillanti ma è la luce del Vangelo che dobbiamo rivelare, la luce della vita e della parola di Gesù.
- Permettetemi di concludere questa omelia ispirandomi alla preghiera che papa Francesco rivolge a san Giuseppe al termine della lettera apostolica “Patris corde”; in questo anno dedicato a lui vogliamo guardare a lui anche come modello di vita donata e vogliamo chiedere la sua intercessione. Come Dio si è fidato di Giuseppe, così si è fidato anche di noi chiamandoci a questa forma di vita; come a Giuseppe ha affidato il Suo Figlio, così Dio lo ha affidato anche a noi, chiamandoci a seguire le sue orme; come Giuseppe ha guidato Gesù nel suo diventare uomo, così aiuti anche noi a diventare adulti nel vivere la nostra consacrazione, fino al dono della nostra stessa vita.