Terza serata, Triduo del Perdono d’Assisi 2024

Il costo personale della conversione

Terza serata, Triduo del Perdono d’Assisi 2024

Lettura biblica Mt 18,21-35: rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori / Lettura francescana LetMin FF 234-239: imparare a perdonare sempre / Lettura mariana Gal 4,4-5: il Figlio di Maria ci apre all’esperienza dell’essere figli

Carissime sorelle, carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace.

  1. Siamo arrivati alla terza e conclusiva serata del nostro triduo di riflessione in preparazione alla festa del Perdon d’Assisi. Abbiamo visto come il male entri nella nostra vita e nel mondo facilmente, in modo perfino banale, di fatto, perché non ci assumiamo la responsabilità delle azioni sbagliate che compiamo.

Ieri abbiamo visto come il perdono ci raggiunge gratuitamente per noi ma “a caro prezzo” per Gesù Cristo, che per riconciliarci dona se stesso sulla croce.

Stasera vediamo qual è la risposta alla quale siamo chiamati. Detto in soldoni: se siamo stati perdonati e riconciliati in questo modo, noi cosa dovremmo fare?

  1. Come vi dicevo ieri, per farci capire il valore del perdono, la Parola di Dio non ha paura di usare il linguaggio economico. Lo abbiamo sentito anche stasera nella parabola narrata in Matteo 18, che ha lo scopo di far riflettere proprio sulla realtà del perdono ed è la miglior spiegazione del versetto del “Padre nostro”: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo (lett. li abbiamo rimessi) ai nostri debitori” (Cfr. Mt 6,12).

Il peccato è come un debito accumulato, e solo Dio può perdonare i nostri peccati (cfr. Mc 2,7) e condonarci il debito totale. Proprio per questo noi siamo chiamati a entrare in sintonia con il modo di agire di Dio e anziché rifarci sul fratello che ha mancato verso di noi, l’atteggiamento giusto diventa quello di “condonare” a nostra volta il debito che il fratello ha verso di noi. Cioè perdonarlo.

  1. Nella parabola Gesù ci aiuta a comprendere che quello che Dio ci condona è sempre molto di più di ciò che noi dobbiamo condonare agli altri. Il nostro debito è enorme, quello degli altri verso di noi equivale allo stipendio di un mese.

Nel dialogo tra Pietro e Gesù è particolarmente interessante la domanda di Pietro e la risposta di Gesù: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settantasette volte» (Mt 18,21-22). Per capire la risposta di Gesù dobbiamo tornare al primo libro della Bibbia, il Libro della Genesi. La risposta di Gesù, infatti, annulla la perversa reazione a catena della vendetta innescata da Lamech, nel Libro della Genesi. Questo nipote di Caino, in un testo che è la perfetta antitesi della risposta di Gesù a Pietro, aveva detto alle mogli: «Ada e Silla, ascoltate la mia voce; / mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. / Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura / e un ragazzo per un mio livido. / Sette volte sarà vendicato Caino, / ma Lamec settantasette» (Gn 4,23-24).

  1. Se non c’è perdono, se l’unica logica applicabile è quella della vendetta allora si introduce nel mondo e nella storia una spirale di violenza distruttiva.

Dal 7 ottobre 2023 ad oggi in Terra Santa abbiamo respirato più odio e sete di vendetta che ossigeno. La risposta militare ai 1.200 morti massacrati da Hamas ha causato ormai altri 39.363 morti, il 70% dei quali donne e bambini. In questi giorni le cose stanno progressivamente peggiorando e non se ne viene fuori finché qualcuno non decide di uscire da questa logica e non sceglie unilateralmente di smettere di restituire, colpo su colpo e moltiplicato, il male ricevuto.

  1. Il prezzo del nostro perdono e della nostra riconciliazione l’ha pagato interamente Gesù Cristo. Ieri abbiamo visto che sulla croce Gesù ha preso su di sé il male e il peccato di tutta l’umanità e ha voluto distruggere il muro dell’inimicizia che separa i popoli e le persone. Eppure nonostante ciò rimane anche a noi qualcosa da pagare ed è il perdono che a nostra volta dobbiamo imparare a concedere agli altri.

La logica di Lamech è chiara: bisogna vendicarsi e farlo in modo crescente e spaventoso. In termini politici si chiama deterrenza. La logica di Gesù è altrettanto chiara: bisogna perdonare e cercare di mettere in atto percorsi di riconciliazione e di correzione. In termini politici è ciò che propone la dottrina sociale della Chiesa almeno dai tempi di papa Giovanni XXIII (Pacem in Terris) e dal concilio Vaticano II (Gaudium et Spes), partendo dalla realistica costatazione che la prossima guerra potrebbe essere l’ultima: “Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell'uso di queste armi” (cfr. GS 80).

  1. Il perdono ha certamente una dimensione personale e una dimensione sociale. Se vogliamo evitare di sprecare il perdono che Dio ci ha dato occorre che ci impegniamo a nostra volta a perdonare e se vogliamo dare un contributo al raggiungimento della pace, anche a livello globale, occorre che iniziamo dalla richiesta di perdono nei confronti delle persone che abbiamo offeso e dal perdono personale verso coloro che hanno mancato nei nostri confronti. È così che il flusso del male e la spirale della vendetta si arrestano.
  1. La logica di quel discepolo di Gesù che si chiama Francesco d’Assisi, l’abbiamo sentito nel brano letto poco fa, è una radicalizzazione di ciò che Gesù ha proposto a Pietro nel brano evangelico: “E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia di tali fratelli” (LMin 9-11: FF 235). Ecco la radicalità evangelica di Francesco: perdonare tutto, perdonare tutti, perdonare sempre, perdonare in anticipo.
  1. Domandiamoci ora, per concludere: Quali passi fare per riuscire a perdonare e operare per la riconciliazione?

Il primo passo è il rifiuto di vendicarsi per spezzare la spirale del male e della violenza. Usciamo dalla logica di Lamec che è la logica della vendetta. Su questo abbiamo già riflettuto.

Il secondo passo è quello di accettare l’altro e il suo diritto ad esistere a partire dal riconoscimento della sua sofferenza. Rachel Goldber Polin, la portavoce dei parenti delle vittime del 7 ottobre, mamma di un giovane di 23 anni di nome Hersh rapito da Hamas durante l’attacco terroristico ha rilasciato un’intervista molto bella a Roberto Cetera dell’Osservatore Romano (11/11/2023). Alla domanda se per evitare un altro 7 ottobre sia sufficiente l’attuale soluzione militare risponde in modo molto chiaro: “No. Non basta. Perché Hamas non è solo un gruppo terrorista, è un’idea, un’idea sbagliata certo, ma le idee non si eliminano con le armi. Occorre un grande piano di riconciliazione. Come avvenne in Sud Africa. Occorre condividere i rispettivi dolori. Loro devono rispettare e condividere il nostro dolore, e noi il loro. Ci vorrà del tempo, ma occorre provarci, altrimenti l’odio continuerà ad essere la soluzione più semplice, e sarebbe la fine per tutti in questa terra”. Quando mi chiudo nella mia sofferenza questa genera rabbia, che si trasforma in sete di vendetta o in autodistruzione. Quando riconosco la sofferenza dell’altro questo genera empatia e mi porta alla compassione e alla reciproca accettazione.

  1. Poi, come terzo passo, è necessario fare quella che papa Giovanni Paolo II chiamava la purificazione della memoria: devo imparare a ricordare affidando al Signore sia la sofferenza per il torto subito e il dolore sofferto, sia per quello che io ho causato, in modo tale che il torto fatto o subito e il dolore sofferto non generino altra violenza.

Come ha precisato la Commissione Teologica Internazionale: “Questa [la purificazione della memoria] consiste nel processo volto a liberare la coscienza personale e collettiva da tutte le forme di risentimento o di violenza, che l'eredità di colpe del passato può avervi lasciato, mediante una rinnovata valutazione storica e teologica degli eventi implicati, che conduca - se risulti giusto - ad un corrispondente riconoscimento di colpa e contribuisca ad un reale cammino di riconciliazione” (CTI, Memoria e riconciliazione, 2000, Introduzione).

Papa Francesco, in Fratelli tutti ha completato questa idea aiutandoci a capire che: “Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi” (FT 250).

  1. Il quarto passo è fare esperienza e aiutare a fare esperienza di una riconciliazione profonda, che permetta di ricominciare a vivere in senso autentico. Jaques Fesch è un nome probabilmente sconosciuto ai più. È un giovane francese ghigliottinato nel 1957 a 27 anni, perché condannato a morte a causa di un omicidio commesso. L’esperienza del perdono e della riconciliazione vissuti in carcere lo hanno portato a una profonda conversione a Gesù Cristo. Quando viene emessa la sentenza di condanna a morte l’opinione pubblica è contenta e Jaques, che percepisce l’odio di cui è oggetto, scrive: «Non resta che una cosa da fare, ignorare tutto quest’odio, poi cercare in fondo Gesù, Colui che instancabilmente attende l’anima percossa per darle il tesoro che il mondo rifiuta: Lui Stesso. Ecco, io ritrovo il Cristo, che qui, in questa cella, anticamera della morte vicina, mi dice: “E io non ho forse sopportato i chiodi per te?”». Quando l’esecuzione si avvicina scrive: «Ora so che tutto è grazia e che non verso la morte io vado ma verso la vita. Non c’è pace all’infuori di Gesù, non c’è salvezza senza di Lui. Ogni volta che ricevo l’Ostia santa, ho il cuore che trabocca d’amore e un inno di grazie sale dalle mie labbra. Offrirò la mia morte come un sacrificio, per coloro che amo... e per coloro che mi odiano». La storia di Jaques Fesch ci ricorda che si può cominciare a vivere, in senso autentico, grazie alla riconciliazione, anche in punto di morte (cfr. A. M. Lemmonier, Luce sul patibolo. Lettere dal carcere di Jacques Fesch..., LDC, 1986).
  1. Infine dobbiamo essere disponibili a perdonare sempre. Ce lo ha detto Gesù e ce lo ha ribadito san Francesco. Se realmente abbiamo fatto esperienza di cosa vuol dire essere perdonati, allora non possiamo fare altro che impegnarci a perdonare sempre. È questo il segno che abbiamo sperimentato una conversione profonda e reale. Ed è questo il nostro modo di corrispondere a quella che ieri abbiamo chiamato la riconciliazione a caro prezzo. Se Gesù Cristo ha dato se stesso per riconciliarmi al Padre e con l’umanità intera, allora la mia conversione sarà reale nella misura in cui mi impegnerò a perdonare tutto, perdonare tutti, perdonare sempre.
  1. Chiediamo l’intercessione di san Francesco, ma qui alla Porziuncola chiediamo anche l’intercessione di Maria, non dimentichiamo mai che si è resa disponibile a generare il Figlio di Dio perché noi potessimo diventare figli di Dio in virtù della riconciliazione e del perdono che quel Figlio ci avrebbe donato. In quel testo straordinario che è la Lettera ai Galati san Paolo ci ricorda che quando venne la pienezza del tempo Dio mandò suo Figlio, nato da donna, perché ricevessimo l’adozione a figli (cfr, Gal 4,5).

Il Figlio di Maria è quello stesso, ci dice Paolo, “che mi ha amato e ha dato se stesso per me”, ed è quello stesso che mi permette di vivere una conversione così profonda da poter arrivare a dire: “Vivo, non più io, ma Cristo vive in me” (cfr. Gal 2,20), è quel Figlio di Maria che mette in me il suo stesso Spirito perché io diventi capace di camminare non più secondo la carne, cioè secondo quella fragilità umana che mi porta a peccare, ma secondo lo Spirito, il cui frutto è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22). È l’esperienza della riconciliazione che fa maturare in noi questo frutto, ogni giorno dell’anno e in ogni stagione della nostra vita.

Possa il perdono del Signore, in questi giorni, raggiungere il cuore di ciascuno e di ciascuna di noi e farci gustare cosa vuol dire vivere in Dio, cosa vuol dire essere figli di Dio, cosa significa – ci direbbe san Francesco – essere già in Paradiso.