La forza innata del Regno di Dio | Custodia Terrae Sanctae

La forza innata del Regno di Dio

Domenica XI Tempo Ordinario B

Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA  e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". 

Ez 17,22-24; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34

«Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra. dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa». Mc 4,26-27

L’evangelista Marco, che ama educare la nostra fede con gradualità, questa domenica ci offre ben due parabole. La simbologia utilizzata è desunta dal mondo agricolo e vegetale, il tema sul quale siamo invitati a riflettere è quello del Regno di Dio.

La prima delle due brevi parabole evangeliche (Mc 4,26-29) sottolinea il dinamismo di crescita proprio del Regno di Dio e l’importanza di saperlo attendere con pazienza. Agli atteggiamenti umani che vorrebbero «forzare» «costruire» o «prevedere» la venuta del Regno viene contrapposta l’idea che, come il seme, cresce da solo anche il Regno di Dio «si realizza a meraviglia, indipendentemente dagli sforzi» (Benoit-Standaert, Marco Vangelo di una notte I, EDB, p. 259). A questo punto qualcuno potrebbe arricciare il naso nel timore di un messaggio evangelico alienante, che spinge le persone al quieto vivere, che non stimola l’iniziativa personale, che non valorizza l’impegno.

Tuttavia, sia la breve parabola evangelica, sia il Salmo 91 (è il salmo responsoriale di questa domenica), sia soprattutto la seconda lettura non consentono una interpretazione alienante e deresponsabilizzante dell’attesa del Regno. Infatti, la breve parabola accenna alla fecondità fruttuosa del Regno e si conclude con un riferimento al giudizio finale, il Salmo 91 presenta la vita del giusto come un’esistenza abbondantemente e perennemente fruttuosa, la seconda lettura coniuga la fiducia in Dio con il giudizio finale nel quale le «opere» rivestono una notevole importanza.

Potremmo allora dire che il Regno di Dio cresce per forza propria ed ha un suo proprio potenziale di fruttuosità. Anzi possiede un potenziale insperato e paradossale (cfr. la prima lettura e la seconda breve parabola presente in Mc 4,30-32), un potenziale che va ben oltre le apparenze iniziali e le aspettative normali. Ma questa fruttuosità, che è anzitutto iniziativa libera di Dio, trova espressione proprio nella vita dei discepoli che si sforzano di essere graditi al Signore (2Cor 5,9-10). Questa è una prospettiva che ci libera dall’ansia di un attivismo nevrotico, ci apre al senso della fiducia e della speranza, libera le potenzialità di quei semi del Regno che Dio ha seminato dentro la nostra persona, dentro la nostra comunità, dentro il nostro tempo.

Nel IV secolo, Agostino si poneva il problema di come Dio conciliasse grazia e meriti nel donare salvezza all’umanità e alla singola persona. Lo faceva all’interno della polemica con i Pelagiani che ritenevano che la salvezza fosse frutto unicamente dello sforzo e dei meriti umani e avevano una impostazione morale molto rigorosa e rigorista. Questa tendenza – lo sappiamo – riemerge periodicamente nella storia, come pure la tendenza opposta, di attribuire tutto a Dio senza concorso della libertà e dell’impegno umano. La conclusione di Agostino attraversa la storia e rimane valida anche per noi: “Quando Dio premia i nostri meriti non fa altro che premiare i suoi doni” (Lettera 194,5.19).

di fr. Francesco Patton, ofm

Custode di Terra Santa