L’amore più grande | Custodia Terrae Sanctae

L’amore più grande

VI Domenica di Pasqua B

Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA  e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". 

At 10,25-27.34-35.44-48; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». Gv 15,9

Il vocabolario che viene utilizzato dall’apostolo Giovanni questa domenica (seconda lettura e vangelo) è quello dell’amore. Il verbo (amare) o il sostantivo (amore) ricorrono ben 9 volte nella seconda lettura e 8 nel vangelo, che usa tre volte anche il termine «amici». Date queste premesse, sembra proprio che siamo invitati a riflettere sulla sorgente dell’amore, sul suo significato e sulle sue conseguenze.

La sorgente dell’amore risulta essere Dio stesso, che esiste come Amante, come Amato e come Amore: “In verità vedi la Trinità, se vedi l’amore” (Sant’Agostino, De Trinitate, 8,8,12 e 8,10,14). «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9) dice Gesù ai discepoli riuniti nel Cenacolo: l’amore del quale si amano il Padre e il Figlio diventa allora la fonte alla quale attinge ogni autentica relazione umana di amore. L’amore ha anche una sua manifestazione storica: «Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui» (1Gv 4,9). Questo amore, ricordiamolo bene, è un amore oblativo, che consiste nel continuo dono di sé e ci precede sempre. Noi non l’abbiamo chiesto, non lo possiamo meritare, non è un’iniziativa nostra: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). Tutto ciò procura a noi una grande consolazione e fa germinare nei nostri cuori un profondo senso di gioia e di gratitudine che ci motiva interiormente a corrispondere all’amore con l’amore.

Il secondo passo da compiere questa domenica è quello di comprendere il significato dell’amore reciproco alla luce dell’amore di Dio per noi. Cosa vuol dire che Dio ci ama? Vuol dire che, indipendentemente da come siamo, Dio ha fatto il primo passo verso di noi, per accoglierci, per perdonarci, per offrirci la sua amicizia, per introdurci nella sua vita che è, lo ripetiamo, essenzialmente amore, dono reciproco di sé, comunione, apertura all’altro. Questo vuol dire che – anche da parte nostra – siamo chiamati a maturare una capacità di amare che raggiunge il suo culmine nel perdonare chi ci offende o danneggia e nel dare la vita per le persone che Dio ci affida o pone sul nostro cammino. Ricordiamo esempi luminosi come quello di san Massimiliano Maria Kolbe (1894 –1941) o di santa Gianna Beretta Molla (1922 – 1962).

Questo aver attinto alle sorgenti dell’amore di Dio, questo aver accolto il suo amore per noi ci permette di vivere in modo nuovo. L’amore ha i suoi frutti ma ha anche le sue esigenze. Se Gesù Cristo ci ha mostrato come si ama, anche noi siamo invitati ad amare allo stesso modo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Se l’amore di Dio per noi è una «proposta», l’amore nostro verso di Lui e verso i fratelli diventa una «risposta». Se siamo invitati a prendere sul serio i comandamenti, è perché sono il mezzo offertoci da Dio per «rimanere nel suo amore». Se l’amore di Dio si manifesta con un’apertura universale (prima lettura), anche il nostro amore per Dio e per il prossimo deve acquisire questo stesso orizzonte. Anche il nostro piccolo amore deve ispirarsi all’amore più grande, quello di chi arriva a dare la vita.

di fr. Francesco Patton, ofm

Custode di Terra Santa