Testimoniare il Vangelo con la vita | Custodia Terrae Sanctae

Testimoniare il Vangelo con la vita

Decima giornata per le associazioni di Terra Santa

1. Carissimi amici, “Pace e bene” a ciascuno e ciascuna di voi e ben ritrovati!

Quest’anno mi è stato chiesto di presentare la mia riflessione sul tema “Testimoniare il Vangelo con la vita”. Mi è ritornato subito alla mente il Capitolo XVI della Regola non bollata (FF 42-45), che per noi frati di Terra Santa è un testo di straordinaria importanza. Lo cito spesso e non posso fare a meno di farlo, perché è veramente il testo che ispira il nostro vivere nella terra di Gesù.
In quel passo, san Francesco ci ricorda che siamo chiamati ad evangelizzare in due modi. Il primo è di non fare liti o dispute, essere sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio e confessare di essere cristiani. Il primo modo è cioè quello della testimonianza della vita, dove occorre evitare ogni forma di aggressività e polemica, occorre mettersi a servizio degli altri per amore di Dio e occorre avere un'identità cristiana molto chiara. Aggiunge poi san Francesco che "quando vedranno che piacerà al Signore" allora i frati potranno fare l'annuncio esplicito del mistero di Cristo e amministrare i sacramenti che incorporano alla Chiesa. Infine bisogna mettere in conto anche la possibilità di essere rifiutati, perseguitati e perfino uccisi, ma questo è già compreso nella professione di vita religiosa, con la quale uno mette la propria vita totalmente nelle mani di Gesù Cristo.

2. Il primo modo in cui siamo inviati e invitati ad evangelizzare è perciò proprio la testimonianza della vita. Ma va ricordato che anche nel secondo modo, che culmina col martirio, la testimonianza della vita è fondamentale.
Cosa vuol dire concretamente per noi testimoniare con la vita? Cosa vuol dire evitare di fare liti o dispute? Cosa vuol dire essere sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio? Cosa vuol dire confessare di essere cristiani? E cosa vuol dire vivere con la prospettiva di chi sa di aver già consegnato la propria vita nelle mani di Gesù Cristo?
Vorrei rispondere raccontando qualcosa della vita dei miei confratelli e al tempo stesso invitarvi a vedere se quel che vi racconto può trovare un qualche parallelo nella vostra stessa vita e nella vostra esperienza.

3. Cosa vuol dire che evangelizziamo con la vita anzitutto evitando di fare liti o dispute, mettendosi a servizio e mantenendo una identità chiara? 
Vuol dire che nella nostra vita cristiana siamo chiamati ad avere prima di tutto un atteggiamento fraterno, ma anche che nell’entrare in relazione con chi ha un credo diverso dal nostro non è la polemica verbale e nemmeno la capacità di controbattere agli argomenti degli altri ciò che evangelizza! Evangelizza molto di più un atteggiamento fraterno, perché il vangelo – alla lettera – è una notizia bella e buona, che ci riscalda il cuore in modo profondo, non in maniera puramente emotiva e superficiale.
I due frati che vivono nella Valle dell’Oronte, una delle zone ancora sotto il controllo di Jabat Al Nusra, offrono ormai da anni questa testimonianza e insieme a loro offrono la stessa testimonianza le poche centinaia di cristiani rimasti lì. Sono stati costretti a togliere le croci dalle chiese, sono stati spesso derubati e vessati, eppure sono rimasti fedeli al loro battesimo e alla loro vocazione: vivono un senso profondo di fraternità tra di loro e con i cristiani rimasti, evitano di fare polemiche con chi ha occupato le loro case. Riescono a rispondere al disprezzo con l’amore, come ha fatto il più giovane dei due quando ha risposto agli insulti e alle mancanze di rispetto di un gruppo di ragazzi offrendo loro la possibilità di giocare al pallone.

4. Cosa significa testimoniare il Vangelo con la vita facendosi “sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio”? E cosa significa farlo in un contesto dove come cristiani siamo una piccola minoranza? E come possiamo farlo mantenendo e confessando la nostra identità di cristiani? 
Significa mettersi a servizio degli altri con motivazioni di gratuità anziché di tornaconto. Significa ricordare che come cristiani l’unica vera ragione per cui facciamo quel che facciamo è l’amore di Dio. Se c’è quello riusciamo a essere costanti anche nell’amore del prossimo, ma se manca l’amore di Dio prima o poi ci stanchiamo anche delle persone.
Vi faccio due esempi: la piccola scuola materna di Emmaus Qubeibeh e la Scuola di Terra Santa di Gerico. Ad Emmaus c’è una sola famiglia cristiana, il che significa che il resto della comunità è musulmana. Le famiglie del paese hanno chiesto ai frati di aprire per loro una piccola scuola materna, alla quale sono iscritti un centinaio di bambini, ovviamente tutti di famiglie musulmane. 
A Gerico c’è una piccola comunità cristiana, fatta di greco ortodossi, di cattolici romani (i latini, come ci chiamano lì) e anche qualche famiglia di altre confessioni. La città è a stragrande maggioranza musulmana. E lo stesso i nostri alunni e i giovani che frequentano il centro culturale aperto da poco, che all’80% sono di famiglie musulmane. Sia a Gerico che ad Emmaus le iscrizioni sono in aumento. E chi viene a scuola da noi sa che siamo cristiani, sa che nelle nostre aule c’è il crocifisso, sa che festeggiamo il Natale e la Pasqua. 
Che Vangelo stanno testimoniando i frati che vivono a Emmaus e quelli che vivono a Gerico? Stanno testimoniando che i cristiani vogliono bene anche ai musulmani e vogliono il bene anche dei musulmani. Stanno testimoniando il vangelo che Gesù dilata il nostro cuore e la nostra capacità di amare. Stanno testimoniando il cuore del vangelo che è esattamente l’amore gratuito di Dio per ognuno di noi.

5. Ain Karem, il villaggio natale di san Giovanni Battista, è invece un villaggio prevalentemente ebraico, dove c’è anche lì, una sola famiglia cristiana e alcuni santuari. Lì c’è un frate che insegna filosofia ai nostri giovani frati studenti, ma che ha un talento speciale per la cucina. Un po’ alla volta gruppi di ebrei locali hanno iniziato a venire lì il sabato sera, dopo che è terminato il giorno di riposo, per la cena di festa con la quale si chiude la giornata. Ed è nata una relazione di amicizia e di interesse reciproco. Quest’anno per la prima volta è stato possibile fare lì un convegno sulla figura del Battista, con la partecipazione di più di un centinaio di persone della comunità locale e al termine della celebrazione del 24 giugno, dopo che noi abbiamo cantato il Cantico di Zaccaria in latino, una cantante ebrea lo ha cantato in ebraico.

6. Potrei andare avanti nel raccontarvi molte altre storie, che io stesso ho scoperto e ho imparato a conoscere nel corso di quest’anno, ma non voglio sovraccaricarvi al termine di una giornata tanto intensa.
Quel che voglio dire è semplicemente questo: testimoniare il vangelo con la vita richiede anzitutto che noi abbiamo accolto il Vangelo, cioè Gesù, nella nostra vita. Poi richiede che nelle singole situazioni concrete entriamo con quello stile pacifico e fraterno che san Francesco ha appreso dal Vangelo, occorre che facciamo tutto con un’unica motivazione profonda “per amore di Dio” e occorre che sia chiara la nostra identità, che significa che dev’essere chiaro a chi apparteniamo, da chi ci sentiamo attratti e amati e salvati, chi amiamo e chi dà senso alla nostra vita: Gesù Cristo.
Vi invito a provare a pensare in questo modo anche alla situazione nella quale voi stessi vi trovate a vivere e vi invito a provare a vedere come anche voi potete stare dentro le situazioni senza fare liti e dispute, mettendovi a servizio di tutti con senso di gratuità, con un’unica motivazione “per amore di Dio”, ma anche con un’identità cristiana chiara. E – naturalmente – con la consapevolezza che la nostra vita non ci appartiene, ma è nelle mani del Signore.
Grazie.

 

Fr. Francesco Patton OFM
Custode di Terra Santa