Meditazione di fr. Alessandro Coniglio, 21 marzo 2024 | Custodia Terrae Sanctae

Meditazione di fr. Alessandro Coniglio, 21 marzo 2024

Pace e bene da Fra Alessandro,

professore di esegesi allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.

Negli ultimi giorni ci sta accompagnando il capitolo ottavo del Vangelo di Giovanni, percorso, soprattutto dal v. 12 in poi, da una domanda che riguarda l’identità di Gesù. Chi è Gesù di Nazareth?

Se questa domanda attraversa trasversalmente tutto il Vangelo di Giovanni, anzi, tutti i Vangeli in genere, come un fiume sotterraneo, ci sono punti dei Vangeli in cui la domanda si fa più esplicita, punti in cui questo fiume carsico riemerge alla superficie, e diventa interrogazione diretta rivolta ai lettori/ascoltatori del Vangelo.

Il Vangelo di oggi è uno di questi punti in cui la domanda riaffiora in modo espresso. Gesù, infatti, ha pronunciato parole che nessun uomo, che sia semplicemente uomo, potrebbe mai pronunciare: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno”! Gesù sta cioè dicendo che coloro che credono in Lui e quindi seguono i suoi insegnamenti, vivranno per sempre, non conosceranno come gli altri uomini il destino comune di ogni creatura, la morte. Ora, la morte sembra il limite invalicabile con cui ogni uomo è affrontato. Prospettare, come fa Gesù, che chi segue Lui non gusterà la morte, significa che Gesù ha la pretesa di essere un uomo speciale, un uomo diverso da qualunque altro uomo, un uomo capace di farci superare la stessa condizione umana, nella misura in cui stiamo uniti a Lui. Ma questo non era affatto scontato per i suoi ascoltatori del tempo, che quindi reagiscono, comprensibilmente, chiedendogli: “Chi credi di essere?”. Il loro ragionamento non fa una piega: se anche il patriarca Abramo e i profeti sono morti, chi ti credi di essere tu, per dichiarare che chi osserva la tua parola non sperimenterà la morte in eterno? E la risposta di Gesù a questa obiezione diventa allora una esplicita confessione della sua divinità, del suo essere non un uomo qualunque, ma il Figlio di Dio venuto nel mondo. Gesù parla infatti della gloria del Padre suo, che a lui è data, perché Lui, Gesù, osserva la parola del Padre celeste. Così dicendo Gesù vuole dire che anche i Giudei che lo ascoltavano avrebbero potuto comprendere la sua identità divina, se avessero anche loro compiuto la parola di Dio, suo Padre; e proprio per questo coloro che ascoltano la parola di Gesù, e la osservano, in realtà osservano la stessa parola di Dio Padre, e sono quindi partecipi della sua vita divina. Ecco perché non sperimenteranno la morte, perché in Dio non c’è la morte, e chi fa la volontà di Dio si fa uno con Lui! Abramo questo lo ha fatto, fino al punto che, per essere fedele alla parola di Dio che gli era stata rivolta, sarebbe stato disposto a sacrificare suo figlio Isacco. In questa disposizione ad obbedire in modo assoluto alla parola di Dio, Abramo sperimentò che Isacco era solo immagine del Cristo venturo. Gesù sarebbe stato il Figlio sacrificato dal Padre celeste per la vita del mondo; per questo Abramo, intuendo questo mistero che si sarebbe compiuto quasi due millenni dopo la sua morte, “esultò nella speranza di vedere” il giorno di Gesù. In Gesù infatti si compiva quanto Dio aveva chiesto ad Abramo: non Isacco sarebbe morto, ma il Figlio di Dio sarebbe un giorno morto. E come Abramo riebbe Isacco vivo, perché Dio non gli permise di sacrificarlo, così Dio avrebbe un giorno risuscitato da morte il suo Figlio Gesù, perché in Gesù anche noi avessimo parte alla vita divina del Risorto. Gesù condivide la vita e il Nome del Padre suo, rivelato a Mosè nell’Esodo, “Io sono” (Esodo 3,14): anche noi, che crediamo in Gesù, condivideremo la sua vita in questo eterno presente, perché, “se moriamo con lui, con lui anche vivremo” (2 Timoteo 2,11).

Pace e bene dalla Terra Santa.