Omelia della S. Messa in occasione della Festa della Repubblica italiana

Omelia della S. Messa in occasione della Festa della Repubblica italiana

di fr. Alessandro Coniglio

S. Salvatore, 3 giugno 2023: Sir 51,17-27 (NV); Sal 19; Mc 11,27-33

Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!

La pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, è attraversata dalla domanda sull’autorità: “«Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?»”, è quanto i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani chiedono a Gesù dopo l’atto di purificazione del tempio, compiuto da Gesù stesso subito dopo il suo ingresso messianico a Gerusalemme. Il senso di questa interrogazione è cercare quale sia l’identità di Gesù di Nazareth. È come se gli stessero chiedendo: chi sei tu, Gesù?

Ma la domanda sull’autorità è anche una domanda squisitamente ‘politica’, perché, da che mondo è mondo, l’uomo si interroga sulla legittimazione nell’esercizio del potere. E la coincidenza con questa festa dell’Italia, allora, può essere provvidenziale, per chiederci anche noi oggi, quale sia la fonte del potere politico. Storicamente le risposte a questa domanda sembrano essere state, come nella contro-domanda posta da Gesù, solo due: “Dal cielo o dagli uomini”.

Un tempo la legittimazione del potere politico veniva dall’alto, dal cielo, da Dio: come si esprime la Sapienza personificata nel libro dei proverbi: “Per mezzo mio regnano i re e i prìncipi promulgano giusti decreti; per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia” (Pr 8,15-16). Questi versetti del libro dei Proverbi sembravano trovare un’eco nel Nuovo Testamento, nella Lettera di Paolo ai Romani: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio”. L’autorità dunque viene da Dio, che legittima ogni potere. Dalla rivoluzione francese in poi, sembra invece che ogni legittimazione del potere venga dal basso: il popolo è sovrano e Dio stesso è stato sempre più estromesso dalle Carte costituzionali degli Stati moderni. Ma è proprio vero che allontanare Dio dalla sfera pubblica contribuisca al bene dell’uomo? Cerchiamo di rispondere guardando alle altre letture della liturgia della Parola odierna.

La I lettura è tratta dal libro del Siracide: essa descrive l’impegno dell’autore del libro, fin dalla sua giovinezza, nella ricerca della sapienza. La sapienza indica nell’antico Israele non solo una serie di conoscenze intellettuali, una serie di nozioni, frutto dello studio o dell’impegno accademico. La sapienza non coincide con l’acquisizione di dati di natura scientifica e non è solo il risultato di uno sforzo di natura mentale da parte dell’uomo. La sapienza indica piuttosto una conoscenza di natura pratica, una perizia nel saper orientare la propria vita, una saggezza nelle scelte concrete di fronte alle quali un uomo è chiamato a discernere cosa sia giusto o sbagliato per lui, cosa sia più conveniente per la sua vita e dove l’essere umano possa trovare migliore realizzazione delle sue aspirazioni al bene e alla felicità.

È interessante allora che l’autore indichi come prima fonte di questo sapere pratico il Signore Dio. La vera sapienza si ottiene nella preghiera, ed è un oggetto la cui ricerca non può conoscere mai fine: “Davanti al tempio ho pregato per essa, e sino alla fine la ricercherò”. È come se il Siracide ammettesse che il primo guadagno che la sapienza produce sia proprio il riconoscimento di Colui che è la fonte della sapienza stessa: saggio è colui che comprende per prima cosa che ogni dono di sapienza gli viene dal Datore di ogni bene, da Dio, che è la sorgente di ogni umano sapere. Il vero sapiente sa prima di tutto che esiste una gerarchia di beni nel mondo, e che al vertice di questa gerarchia sta il Sommo Bene, Dio stesso. Quasi facendo eco a questa verità, San Francesco, Patrono d’Italia, ha potuto scrivere nella Regola non bollata (cap. XXIII, FF 70): “Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e i giusti, di tutti i beati che godono insieme nei cieli”. Dio è, per Francesco, “il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, il solo buono”, come abbiamo ascoltato, e come tale è la fonte di ogni gioia e il fine a cui deve essere rivolto ogni anelito del cuore umano.

Conoscere chi è Dio, e rispondergli in modo adeguato, ecco la somma sapienza! Ecco il bene primario dell’uomo! Quanto bene gli Stati e i singoli potrebbero conseguire se riconoscessero questa verità di ordine naturale, prima che religioso. L’uomo è stato creato da Dio per conoscerlo e trovare in Lui il suo bene più vero e autentico. Questa è la sapienza che il Siracide ci indica e che lo ha portato a “incamminare il suo piede per la via retta… e con essa ha fatto progresso”, e lo ha reso “zelante nel bene… e diligente nel praticare la legge”: una vita cosciente del ruolo che in essa riveste Dio è una vita spesa nella pratica del bene e che zela anche il progresso della società in cui si trova.

Un uomo che ricerca la sapienza che viene dall’alto è un uomo più impegnato e coinvolto nel costruire una società a misura del vero bene dell’uomo. Riconoscere anche pubblicamente il ruolo di Dio quanto eleverebbe i singoli e le società! Il salmo responsoriale infatti ci ricordava quanto sia perfetta la legge del Signore, quanto stabile la sua testimonianza, quanto retti e capaci di far gioire il cuore i suoi precetti, quanto limpido il suo comando, quanto puro il suo timore, quanto fedeli e giusti i suoi giudizi… Se gli uomini tutti riscoprissero quale apporto di sapienza può derivare dall’aprirsi a Dio e alla sua legge, avremmo ovunque più pace, più civiltà, più benessere sociale, più equità, più giustizia, perché l’uomo è più autenticamente uomo quando riconosce che da Dio è uscito e alla comunione con Dio è destinato. Dio è il vero orizzonte di senso dell’uomo e la saggezza dell’uomo sta nel riconoscere che fuori di Dio, fuori del servizio al Dio vivo e vero, l’uomo finisce per ritrovarsi schiavo dell’altro uomo, oggetto di violenza, di sfruttamento, mezzo relativo per soddisfare i desideri dell’altro e non più fine assoluto dell’agire dell’altro.

Dio è essenziale al vero bene dell’uomo, e l’esercizio della religione contribuisce a questo bene, e dunque il diritto alla libertà religiosa è la base di tutti gli altri diritti dell’uomo, perché nel libero esercizio della fede sta il più fondamentale bene dell’uomo.

Preghiamo allora oggi per il popolo italiano, perché sull’esempio del suo celeste Patrono, San Francesco, si apra sempre più a Dio e alla sua potestà liberante, perché, come disse San Giovanni Paolo II nell’omelia per l’inizio del suo pontificato: “La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità e nella verità”. Possa la nazione italiana continuare a collaborare alla missione evangelizzatrice della Chiesa, che è sempre missione di promozione umana, perché indica all’uomo il suo fine trascendente, in cui consiste la vera felicità della persona umana. Possa la feconda collaborazione tra la Custodia di Terra Santa e lo Stato italiano continuare a crescere sempre di più, per promuovere il più autentico bene dell’uomo, perché, secondo le parole del Vaticano II, “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (GS 22).

fr. Alessandro Coniglio