Nascita di s. Giovanni Battista – Ain Karem

Il Signore ricorda la sua promessa di misericordia

Nascita di s. Giovanni Battista

Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80

Carissime sorelle, carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace!

L’autore del vangelo che abbiamo appena letto gioca sul significato dei nomi e ci fa scoprire ciò che Dio ha fatto attraverso Zaccaria, Elisabetta e il piccolo Giovanni. Zaccaria significa infatti “Il Signore si è ricordato”, Elisabetta può essere tradotto con “Dio ha giurato” e Giovanni vuol dire “Il Signore ha fatto misericordia”.

I nomi dei tre protagonisti di questo racconto richiamano perciò il contenuto stesso del “Benedictus” che anche noi canteremo al termine di questa celebrazione, scendendo alla grotta della nascita del Battista: Dio è colui che si ricorda delle sue promesse a Davide e del suo giuramento ad Abramo e per questo fa misericordia offrendo perdono, pace e libertà, salvezza e vita eterna.

La fa mandando il suo Figlio, del quale Giovanni sarà il battistrada e il precursore, ma anche il primo a indicarlo presente e ad invitare a seguirlo.

Zaccaria, Elisabetta e Giovanni sono perciò essi stessi un messaggio che Dio ci rivolge perché ci lasciamo coinvolgere nella sua alleanza ed entriamo liberamente al suo servizio. In particolare, il piccolo Giovanni ci ricorda che Dio è misericordia e fa misericordia; è grazia e fa grazia; è dono gratuito e si dona gratuitamente.

Celebrare la festa della nascita di san Giovanni Battista significa perciò celebrare ciò che Dio fa nella nostra storia suscitando la collaborazione di persone concrete che con le loro capacità e i loro limiti si mettono a servizio del progetto di salvezza di Dio sull’umanità.

Proviamo a scoprire brevemente come Zaccaria, Elisabetta e Giovanni vengono resi capaci di vivere la loro vocazione e di compiere la loro missione.

Anzitutto Zaccaria: è un sacerdote del tempio, è chiamato a svolgere il proprio turno di servizio per offrire l’incenso e in quella occasione ha la visione dell’arcangelo Gabriele che gli preannuncia la nascita di un figlio nonostante lui e la moglie siano anziani e ormai sterili.

A Zaccaria Dio fa un dono particolare: gli regala nove mesi di silenzio, lo rende muto perché non ha creduto. Questo non è un castigo ma un’occasione unica che viene offerta all’anziano sacerdote per rimettersi in ascolto della parola di Dio, per cominciare a dedicare il proprio tempo a ricordare quello che Dio aveva promesso di generazione in generazione. E dentro il silenzio matura una capacità nuova di fidarsi di Dio e di riconoscere ciò che sta operando attraverso di lui, attraverso sua moglie Elisabetta, attraverso quel bambino che nasce. Il “Benedictus” con la sua teologia della misericordia che si dispiega nella storia come frutto della fedeltà di Dio alle sue promesse è frutto di quei nove mesi di silenzio forzato.

Quanto bisogno abbiamo anche noi di silenzio per evitare di essere superficiali e banali nelle nostre riflessioni, nelle espressioni della nostra fede, nel nostro modo di vivere.

Anche da Elisabetta dobbiamo imparare qualcosa. Ricevuto il dono della maternità lei pure sceglie la via del nascondimento anziché quella del mettere tutto in piazza. La maternità è per lei un dono nel quale legge la benevolenza di Dio: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini» (cfr. Lc 1,25). La maternità di Elisabetta diventa poi un segno per Maria stessa, il segno che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Ed Elisabetta e Maria potranno entrambe, nel nascondimento di Ain Karem, condividere la gioia della maternità e insieme esultare per ciò che Dio ha operato in loro e per mezzo di loro.

Se Zaccaria ci insegna il valore del silenzio, Elisabetta ci insegna il valore del nascondimento che è l’esatto opposto della cultura social in cui siamo immersi, una cultura esibizionista e narcisista, che ci spinge a mettere in piazza tutto ciò che ci accade, tutto ciò che facciamo e tutto ciò che sentiamo e sperimentiamo.

Che Elisabetta ci aiuti a essere meno social e più attenti invece agli interventi di Dio nella nostra vita e nella vita delle persone che incontriamo.

Da ultimo Giovanni, che oggi è il nostro festeggiato principale. Prima ancora che con la sua predicazione, già con la sua nascita annuncia che Dio è misericordia, grazia, dono, che è fedele e si ricorda delle sue promesse di salvezza. Poi attraverso la predicazione ricorderà al suo popolo che per accogliere il perdono dei peccati e camminare nella via della pace occorre convertirsi, occorre accogliere il sole che sorge dall’alto, cioè Gesù. Infine, di nuovo, con il suo martirio, ricorderà il valore che ha per noi l’essere fedeli all’alleanza con Dio e il dare gratuitamente la vita per Lui, per fare in modo che il dono ricevuto si compia nel dono di sé.

Nella sua nascita Giovanni ci ricorda perciò che la vita è dono ricevuto e da restituire, che la vocazione è dono ricevuto e da far fruttificare, che noi siamo un dono nella misura in cui ci doniamo.

Zaccaria, Elisabetta e Giovanni ci insegnano perciò a ricordare sempre che Dio mantiene le sue promesse di misericordia. E questo ci permette di vivere con fiducia anche quando ci sembra che la nostra vita sia sterile e senza frutto.

Zaccaria, Elisabetta e Giovanni ci insegnano che per comprendere ciò che Dio ci sta donando in questo preciso momento della storia e della nostra vita abbiamo bisogno di silenzio e di nascondimento. A volte anche di un silenzio forzato, sempre e comunque di un nascondimento che ci sottrae alla banalizzazione delle esperienze, dei valori, dei pensieri, dei sentimenti e delle scelte.

E il piccolo Giovanni, l’infante Giovanni, ci ricorda che la vita è una promessa e un dono che Dio ci fa e che toccherà poi a noi fare in modo che la nostra vita un dono lo diventi realmente.