Un bambino da riconoscere e adorare | Custodia Terrae Sanctae

Un bambino da riconoscere e adorare

Solennità dell'Epifania

Is 60,1-6; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

 

 

1. Carissimi fratelli e sorelle,

 il Signore vi dia pace.

 Epifania significa manifestazione. Noi celebriamo oggi qui a Betlemme Gesù che si manifesta come Re delle genti e Dio incarnato per la salvezza dell’umanità intera.

L’apostolo Paolo nella seconda lettura ci dice che Dio ha manifestato un “mistero” nascosto alle precedenti generazioni, il suo progetto di salvezza lungamente preparato e lentamente fatto avanzare nel corso della storia: “che tutti i popoli sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3,5-6).

In un tempo difficile, di odio e di guerra tra i popoli, come quello che stiamo vivendo Dio ci dice che il suo progetto è di riconciliazione e di pace. Per questo ha mandato il suo Figlio e lo ha fatto nascere qui a Betlemme.

 2. Il Vangelo, per farci comprendere che Dio vuole manifestare il suo progetto di salvezza e di riconciliazione dell’umanità in Gesù, ci racconta il viaggio di alcuni saggi venuti dall’Oriente (i Magi) fin qui a Betlemme.

Studiando le stelle hanno intuito la nascita di un nuovo Re in Giudea e si sono lasciati guidare dalle loro conoscenze, che però sono sufficienti solo per arrivare fino a Gerusalemme.

Ma per incontrare e riconoscere Gesù non bastano le stelle, non basta la scienza, non basta la filosofia. Bisogna saper ascoltare la Scrittura, la profezia che rivela che la piccola (e insignificante) Betlemme è destinata ad essere la città dalla quale uscirà un capo che sarà il pastore del popolo di Dio (Mic 5,1 in Matteo v. 2,6).

 3. Quando questi saggi, che rappresentano tutta l’umanità, raggiungono la casa di Giuseppe e di Maria e vedono Gesù bambino compiono due gesti che sono di particolare importanza e che insegnano qualcosa di importante anche a noi: si prostrano in adorazione e offrono oro, incenso e mirra.

Sono gesti che stanno ad indicare la sottomissione al re che è nato e l’omaggio del tributo. Sono due gesti che ci insegnano come dovrebbe essere la nostra relazione con Dio che si manifesta nel bambino Gesù.

 4. Attraverso i tre doni ci viene indicato chi è questo bambino, che si chiama Gesù, e che è nato qui a Betlemme.

San Pietro Crisologo nel IV secolo spiega ai cristiani del suo tempo: “Con l’incenso lo riconoscono Dio, con l’oro lo accettano quale re, con la mirra esprimono la fede in colui che sarebbe dovuto morire” (Pietro Crisologo, Discorso 160).

Ecco chi è questo bambino cercato e desiderato da tutta l’umanità: è il Figlio di Dio, è il Signore della nostra vita e dell’intero universo, è colui che per salvarci ha scelto di condividere tutta la nostra esistenza umana, compresa la parte più difficile, quella in cui facciamo esperienza del dolore, della sofferenza e della morte.

 5. Se riconosciamo che quel bambino è il Figlio di Dio e il Signore della nostra vita e ci ama fino a morire per noi allora anche noi possiamo inginocchiarci, anzi prostrarci, davanti a lui e adorarlo.

Benedetto XVI, ha spiegato in modo semplice e profondo il significato di questa parola e di questo gesto: “La parola greca significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni… La parola latina per adorazione è ad-oratio cioè contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Benedetto XVI, Omelia 21 agosto 2005).

 6. Nell’Epifania Dio si rivela a noi nel bambino Gesù, anche noi lo riconosciamo come Signore e come Dio che ha scelto di condividere la nostra umanità fino alla morte. È quel bambino ad essere il dono di Dio per noi e il Dio che si dona a noi. Davanti a Lui anche noi pieghiamo le ginocchia con amore come i Magi, e lo mettiamo al centro della nostra vita.

 7. Anche se il presente che stiamo vivendo è difficile, soffocato com’è dall’odio e dalla guerra; anche se ci sembra di essere avvolti da una fitta tenebra è proprio quel bambino a illuminare la notte del nostro dolore e della nostra sofferenza ed è ancora quel bambino a rivelarci la speranza di poter far parte di un’umanità riconciliata e in pace.

 8. Concludo ripetendo le parole che il santo papa Paolo VI pronunciò il 6 gennaio 1964 al momento di lasciare Betlemme: “Lasciando Betlemme, questo luogo di purezza e di tranquillità dove è nato, venti secoli fa, quello che preghiamo come Principe della Pace, sentiamo il dovere imperativo di rinnovare ai Capi di Stato e a tutti coloro che hanno la responsabilità dei popoli il nostro pressante appello per la pace del mondo. Possano coloro che detengono il potere ascoltare questo grido del nostro cuore e continuare generosamente i loro sforzi per assicurare all’umanità la pace alla quale essa così ardentemente aspira. Attingano dall’Onnipotente e dal più intimo della loro coscienza umana un’intelligenza più chiara, una volontà più ardente e un rinnovato spirito di concordia e di generosità, per scongiurare a tutti i costi nel mondo le angosce e gli orrori di una nuova guerra mondiale, le cui conseguenze sarebbero incalcolabili. Possano collaborare ancora più efficacemente per instaurare la pace nella verità, nella giustizia, nella libertà e nell’amore fraterno” (Paolo VI, Betlemme, 6 gennaio 1964).