Arrivo alla Basilica
Percorrendo la via della Stella, come fecero i Magi d'Oriente e a loro volta i pellegrini, verso il Luogo santo della Natività di Gesù, in lontananza, prima di arrivare al piazzale dell'attuale basilica, si scorge l'incanto di un Luogo che da secoli richiama milioni di visitatori venuti da tutto il mondo per adorarlo.
Giungendo presso il piazzale lastricato antistante la basilica, si apre la visione del santuario della Natività. A prima vista non è facile comprendere la struttura architettonica del complesso basilicale, che è passato attraverso secoli di storia e di trasformazioni . L’edificio risale al VI sec. ed è opera degli architetti dell’imperatore bizantino Giustiniano, che volle ricostruire la basilica del IV sec. distrutta dopo la rivolta dei Samaritani, come è testimoniato da Eutachio, patriarca di Alessandria nel 876.
Osservando la facciata è possibile distinguere alcune delle parti che costituiscono il complesso della basilica e gli edifici annessi. L'aspetto di fortezza è la conseguenza dall'esigenza, manifestatasi nei secoli, di rendere sicura la struttura e le abitazioni dei religiosi che custodivano la basilica. Guardando la facciata, le mura sulla destra recintano il monastero armeno e quello greco, mentre a sinistra si trovano le costruzioni moderne del Casa Nova e del Convento francescano di epoca crociata.
In epoca costantiniana il piazzale attuale era parte dell’atrio della basilica e si presentava come uno spazio aperto e ampio. Questo è stato confermato dagli scavi che hanno riportato alla luce il perimetro della basilica del IV sec. Davanti all'ingresso sono state ritrovate delle cisterne di cui si possono riconoscere, sul lastricato, le bocche di apertura: vi si raccoglieva l'acqua piovana che veniva usata per i riti e per la vita quotidiana dei monasteri.
Attualmente il piazzale è circondato da un muro perimetrale collegato al monastero armeno, che si trova nella sommità del lato a sud-ovest. Il muro che si estendeva al lato ovest del piazzale finiva con un grande portale, che serviva da ingresso e delimitava la zona degli edifici sacri dal termine del villaggio. La presenza della porta ormai distrutta è testimoniata dai resti delle fondamenta e dai disegni di Bernardino d'Amico (XVI sec. )e del Mayr (XVIII sec.).
La facciata, la cui composizione si presenta poco chiara a causa delle continue modifiche, appartiene alla struttura di epoca giustinianea.
L’attenta osservazione consente di scorgere tre porte d'ingresso, che sono state nel tempo tamponate da muratura. La facciata bizantina si doveva presentare maestosa e imponente con tre portali d’accesso alle rispettive navate.
Diversamente dall’edificio costantiniano, la facciata bizantina, preceduta dal nartece, fu spostata in avanti dello spazio di un intercolumnio. La piccola porta d'ingresso è il risultato delle riduzioni che nel tempo furono apportate: si riconosce facilmente la grande porta centrale, di età bizantina, con architrave orizzontale e con pietre disposte in diagonale.
Con la venuta dei crociati la porta venne ridimensionata nello stile proprio dei cavalieri occidentali, per motivi di difesa del Luogo santo. Ne è testimonianza visibile il resto dell'arco a sesto acuto che si individua nella muratura.
In epoca Ottomana le dimensioni del portale furono ridotte ulteriormente creando l'attuale porta d’ingresso, realizzata per impedire l'accesso a coloro che volevano dissacrare il luogo di culto. Questo, in qualche modo, fa riflettere sulle alterne fasi della cristianità a Betlemme: periodi in cui la libertà di culto garantiva il riconoscimento della fede cristiana e altri in cui le persecuzioni e le intolleranze rendevano difficile la vita dei cristiani locali.
Le altre due porte bizantine, ormai coperte dai muri perimetrali della basilica e dai contrafforti posti in facciata in epoca crociata, permettono di intuire la maestosità e la bellezza della basilica bizantina e lo stupore che alla prima vista doveva suscitare su coloro che giungevano in pellegrinaggio.
Ingresso alla Basilica
Entrando dalla piccola porta si può accedere alla zona definita tecnicamente nartece, realizzato in età bizantina. Il nartece, nella tradizione cristiana antica, era l’area che aveva funzione di ingresso agli spazi sacri, destinata ai catecumeni che in alcuni momenti delle celebrazioni non potevano entrare nella basilica.
In epoca costantiniana non esisteva il nartece, ma un atrio che svolgeva una funzione simile, strutturato in maniera più ampia e aperta.
I due campanili costruiti in epoca crociata furono menzionati per la prima volta nell'itinerario di G. di Maundeville nel 1322 e vennero costruiti sicuramente in epoca crociata. Posti alle estremità del nartece, corrispondono oggi all'ingresso del convento armeno e alla cappella del convento francescano di Sant'Elena.
Avevano sia funzione di campanile che di torre di guardia a controllo del territorio. L'epoca di costruzione delle due strutture è confermata dagli spazi rimasti intatti ai piani inferiori, che sono caratterizzati da elementi architettonici crociati, come le arcate a sesto acuto.
Il pellegrino Bernardino di Nali (XV sec.) li descrisse, nelle sue memorie, come delle strutture molto eleganti. E’ impossibile pensare che vi fossero appese delle campane perchè, come ricorda p. Felix Faber (1480-83), i Saraceni non permettevano ai cristiani di avere campane. I campanili che si vedono oggi sono costruzioni successive facenti parte dei monasteri greco-ortodosso e armeno-ortodosso.
L’attuale ingresso è modificato rispetto allo spazio originale ed è molto ridotto. Il pavimento è quello originale del VI sec., ma le pareti, coperte da intonaco, non restituiscono la loro bellezza originaria, perché l’intera basilica doveva essere rivestita di lastre di marmo bianco con venature.
Si suppone, sulla base degli studi di architettura bizantina, che il nartece fosse decorato non solo da marmo, ma anche arricchito con mosaici. Dopo i restauri, che saranno effettuati a breve, e con la rimozione degli intonaci, potrebbero tornare alla luce le decorazioni musive parietali. Lo spazio del nartece giustinianeo è diviso in quattro zone.
In epoca crociata le aree alle due estremità opposte erano il piano inferiore dei campanili, torri che si alzavano su quattro piani.
Questi due spazi, caratterizzati da archi tipicamente crociati, sono ora adibiti uno a portineria del monastero armeno, l'altro a Cappella di Sant'Elena, proprietà dei frati francescani. Un quarto spazio, alla sinistra della porta d’ingresso, è utilizzato dai militari che presidiano e sorvegliano la basilica fin dall'epoca dei turchi.
Nell'ingresso del monastero armeno le pareti sono state ripulite e restituite all’originale stato: sono evidenti i fori nelle pietre della muratura, utili all’ancoraggio dei marmi di rivestimento.
Tornando al nartece, è interessante mettere in risalto il portale di legno antico che ha più di 700 anni di storia, voluto dal re Armeno Hetum, figlio di Costantino, nel 1227, come si legge nell'iscrizione scolpita in lingua araba e armena. Questo a testimonianza delle buone relazione tra i Latini e la chiesa Armena.
Il portale di fattura finissima, ma mal conservato a causa dell'usura del tempo e della poca cura, presenta una decorazione floreale tipica dello stile armeno. Ora non è totalmente visibile perché coperto da impalcature, poste dal governo palestinese, a sostegno delle travi del tetto, seriamente compromesse a livello statico. L'intonaco sulle pareti del nartece non aiuta a comprendere la dimensione delle porte laterali, visibili solo dall'interno della basilica dove la muratura è stata scrostata dell’intonaco.
La zona descritta è un passaggio obbligatorio per tutti i pellegrini che vogliono accedere alla basilica dal piazzale e rappresenta una zona comune alle tre Comunità. Per questo motivo risultano molto complessi gli interventi di manutenzione che sarebbero necessari per il consolidamento della struttura.
Interno della Basilica
Al suo interno la basilica ha conservato tutti gli elementi architettonici del VI sec. L'imperatore bizantino al momento della visione del progetto non approvò le scelte fatte dall’architetto, e lo accusò di aver sperperato i fondi, condannandolo alla decapitazione. Nonostante l’insoddisfazione dell’imperatore, la struttura ha dimostrato di essere ben solida, arrivando intatta fino a oggi.
Il pavimento, in epoca costantiniana era completamente rivestito di mosaico finemente lavorato, com’è stato accertato dagli scavi del governo inglese nel 1932. I mosaici finemente lavorati presentano decorazioni geometriche e floreali. Tra questi si può mettere in evidenza il mosaico conservato a sinistra del presbiterio, dove sollevando la botola in legno, si può osservare il monogramma ΙΧΘΥΣ, dal greco pesce, che gli antichi utilizzavano per indicare il nome di Cristo. Oggi il pavimento è ricoperto da un semplice lastricato in pietra grezza, mentre in epoca bizantina era realizzato con lastre di marmo bianche con venature particolarmente accentuate, di cui ne rimane un esempio nella zona del transetto nord.
Il pavimento costantiniano andava leggermente in salita rispetto all'attuale, che si trova a circa un metro di altezza sopra il livello originario. Lo spazio interno, diviso da colonne in cinque navate, è scuro e poco illuminato. Nel VI sec. la basilica doveva essere totalmente ricoperta di marmo: restano le traccie dai buchi trovati nelle mura ripulite dall'intonaco, e che servivano per fissare i marmi alle pareti.
Il colonnato, che oggi finisce all’altezza della zona absidale, doveva proseguire creando un deambulatorio intorno alla Grotta della Natività. Questo tipo di struttura architettonica è stata usata in diversi Luoghi santi, specialemnte per i Martyria, perché secondo la tradizione il pellegrino, girando ripetutamente intorno al luogo, poteva acquisirne le grazie. Le colonne e i capitelli, di pietra rossa betlemita, sono quelle originali di epoca bizantina, opera di artigiani locali. I capitelli, di fattura raffinata, erano dipinti in colore azzurro. Sulle colonne sono rappresentate delle immagini di santi orientali e occidentali, religiosi e laici. Anche gli architravi sono di questa epoca, ma le decorazioni risalgono al periodo crociato e manifestano la somiglianza con quelle coeve del Santo Sepolcro.
Le alte pareti della navata centrale presentano decorazioni musive di grande pregio, databili al XII sec., opera di maestri orientali. I mosaici sono divisi in tre registri e rappresentano, partendo dal basso: la genealogia di Gesù, i concili e i sinodi locali e infine, in alto, una processione di angeli. Una testimonianza greca del IX sec. dice che in precedenza esistevano altre decorazioni musive risalenti al periodo bizantino. Tra queste è ricordata particolarmente la rappresentazione dei Magi che arrivano a Betlemme ad adorare Gesù, che decorava la facciata. E’ singolare la vicenda dei soldati persiani che invasero la città nel 614 d.C. e che, intimoriti dalla visione del mosaico, si dissuasero dal saccheggiare la basilica, che rimase incolume. Leggende diffuse posteriormente raccontano l'episodio con elementi miracolosi, come nel caso del pellegrino Jean Boucher.
I transetti che ancora conservano l'originale pavimentazione in marmo di epoca bizantina, sono oggi decorati da icone e arredi sacri della tradizione Greca-ortodossa (transetto destro) e Armena (transetto sinistro). Anche questa parte della basilica conserva decorazioni musive di scene evangeliche abilmente realizzate.
Il pavimento della prima basilica costantiniana era totalmente ricoperto da un tappeto musivo. Questo è noto grazie agli scavi che tra 1932-1934 furono eseguiti dal governo inglese. Il pavimento del IV sec. saliva in direzione della zona absidale, con un dislivello che variava tra i 75 cm e i 31 cm. In epoca bizantina, a seguito della variazione delle dimensioni della pianta della basilica, la pavimentazione fu coperta da un rivestimento di lastre di marmo bianco venato. Attraverso le botole aperte nel pavimento è possibile, ancora oggi, godere della visione degli antichi mosaici.
La fattura è veramente minuziosa e raffinata, soprattutto nella navata centrale. E’ stato calcolato l’impiego di 200 tessere ogni 10 cm2 di superficie, quando mediamente, nei comuni mosaici, la densità di tasselli è di 100 ogni 10 cm2. Il dato aiuta a comprendere la preziosità di queste decorazioni, dove la maggiore densità di tasselli permetteva di elaborare immagini raffinate e di riprodurre maggiori sfumature di colore. Il risultato è quello di una decorazione musiva molto dettagliata, rappresentativa dell’importanza del Luogo santo.
Questi mosaici, che ricoprivano la navata centrale e l'abside, raffigurano elementi geometrici e decorativi (svastiche, tondi, cornici con nastri intrecciati). Più rari gli elementi vegetali, come foglie di acanto e viti.
Eccezionale è la rappresentazione di un gallo, nel transetto nord. L’assenza di figure animate è in rispetto della tradizione Medio Orientale che non usava figure animali o umane.
Un elemento molto interessante della decorazione musiva, è conservato nell'angolo sinistro della navata centrale dove, aprendo la botola di legno, si può vedere un monogramma con le lettere ΙΧΘΥΣ. Il segno usato nell'antichità per indicare il nome di Cristo (acronimo delle parole: "Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ", Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore), letteralmente significa “pesce”: questo è l'unico simbolo certo di cristianità del luogo. Un uso simile dell'acronimo veniva fatto in epoca classica all’ingresso delle case patrizie romane, assieme alla rappresentazione dei busti dei propietari. Per questo è stato ipotizzato che il simbolo segnasse il punto dell'antico ingresso alla zona sacra e alla "casa di Gesù".
Lo studio degli scavi inglesi ha portato all'ipotesi che l’accesso alla zona presbiteriale della basilica costantiniana avvenisse attraverso una scala che partiva precisamente dal punto in cui si trova il mosaico. Secondo padre Bagatti lo scalino usato per accedere alla zona presbiteriale fu sfondato per realizzare un’entrata diretta alla grotta.
La decorazione delle colonne, rimasta inosservata fino al 1891 quando padre Germer-Durant la studiò, rappresenta uno degli elementi più interessanti della decorazione interna. E' difficile riconoscere una continuità e un’organicità del progetto iconografico.
La tecnica utilizzata è quella dell'encausto, tecnica pittorica che imprime i pigmenti mescolati a cera con l’effetto del calore. Sia le mani degli artisti che il periodo di produzione sono diversi, per cui si pensa che i lavori venissero richiesti da singoli committenti a pittori diversi. E’ sicuro che tutte le immagini risalgano all’epoca crociata, epoca di passaggio di divisione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Questo è confermato anche dalla presenza di Santi sia della tradizione occidente che di quella orientale (si veda la photogallery).
I riquadri, tutti posti sulle colonne della navata centrale e della prima fila di colonne a sud, sono contornati da una striscia di colore rosso o biancastro, mentre le figure dei Santi spiccano su sfondo turchino. Ogni santo ha il proprio nome scritto in un cartiglio in alto o posto tra le mani. La funzione di queste immagini venne descritta dal pellegrino Arculfo che testimoniò l’usanza di celebrare delle messe in prossimità delle colonne nel giorno del Santo. Per gli ecclesiastici del tempo, le colonne dipinte servivano a richiamare metaforicamente la presenza di quei particolari Santi nel luogo.
E’ pensiero diffuso, oggi come allora, che i Santi rappresentino coloro che sorreggono il peso della Chiesa: le immagini dei Santi sulle colonne trasmettono con forza e semplicità questo concetto a tutti i fedeli che visitano la basilica. Possiamo definire queste pitture “affreschi” con finalità votive, perché è molto probabile che servissero come attestazione di un pellegrinaggio portato a termine. Inoltre i committenti avevano chiaro che le pitture avrebbero contribuito all’abbellimento della chiesa.
La navata centrale si presenta particolarmente scura a causa della mancata manutenzione che negli anni ha compromesso lo stato del Santuario. Resta comunque affascinante l'effetto dei mosaici con i fondi dorati e le argentee incrostazioni di madreperla che un tempo ricoprivano tutte le pareti della basilica. Le decorazioni parietali, sicuramente di epoca crociata, disposte su fasce diverse, sono in parte ricoperte da intonaco.
L’ultima relazione dei sopralluoghi relativi il restauro della basilica ha evidenziato che le tessere dei mosaici sono state posate inclinate verso il basso, per far risaltare la bellezza del mosaico osservato da diversi metri più in basso. In questo modo il pellegrino che entra nella basilica riceve un forte impatto visivo, anche se sfavorevolmente condizionato dal cattivo stato di conservazione dei mosaici.
La testimonianza più diretta e precisa della decorazione è quella del padre Quaresmi che nelle Elucidatio Terrae Sanctae (1626) descrisse con minuzia di particolare tutti i mosaici parietali.
Al primo livello, sul lato destro, sono rappresentati San Giuseppe e gli antenati di Cristo secondo il Vangelo di San Matteo, le cui iscrizioni sono in latino. Simmetricamente, secondo la testimonianza del Quaresmi, nel lato sinistro doveva essere rappresentata la genealogia secondo il Vangelo di Luca. Nella seconda teoria, intervallati da fasci di foglie d’acanto, sono rappresentati i sette Concili ecumenici (Nicea, 325; Costantinopoli, 381; Efeso, 431; Calcedonia, 451; Costantinopoli II, 553; Costantinopoli IIII, 680; Nicea II, 787), i quattro Concili Provinciali (Ancira , 314; Antiochia, 272; Sardica 347; Gargres, IV sec.) e i due Sinodi Locali ( Laodicea, IV sec.; Cartagine, 254).
Ogni concilio è rappresentato da un edificio sacro e spiegato con l'aiuto di un cartiglio in cui si esplicita la decisione presa in quella occasione. Nel livello più alto delle teorie troviamo la raffigurazione di Angeli in processione, diretti verso la Grotta della Natività, con fattezze femminili e vestiti di tuniche bianche. Ai piedi di uno di questi Angeli è stata rinvenuta la firma del mosaicista “Basil” di probabile origine siriana.
Nella crociera della basilica, oggi si possono ancora osservare scene desunte dai Vangeli canoni: l'incredulità di Tommaso, che sembra quella meglio conservata, l'Ascensione e la Trasfigurazione a nord; l'entrata di Gesù a Gerualemme a sud.
Nel catino dell’abside principale, secondo la testimonianza del Quaresmi, doveva essere rappresentata la figura della Vergine con il Bambino e nell'arco absidale l'Annunciazione di Maria, tra i profeti Abramo e Davide.
Sulle mura sottostanti si succedevano scene della vita della Madonna, tratte dagli scritti apocrifi.
In contro facciata, sopra il portale d’ingresso, era rappresentato l'Albero di Iesse con Gesù e i profeti. Il mosaico è ora coperto dall’intonaco bianco. Il pellegrino Focas nel 1168, dice di aver visto nella chiesa l'immagine del suo imperatore bizantino, Costantino Porfirogenito: questo precisa che anche dopo lo scisma del 1154, quando la basilica era sotto il controllo dei Crociati, esistevano strette relazioni tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente.
Un’iscrizione, fatta nell’abside principale, menziona insieme i nomi di Manuele Comneno e Manrico di Gerusalemme, perciò i mosaici devono essere stati realizzati prima del 1169, nelle ultime decadi della presenza crociata in Palestina che termina nel 1187. I committenti sono sia il re crociato di Gerusalemme che l’imperatore bizantino: un esempio di collaborazione che è praticamente unico nella storia e che esalta l’importanza che aveva al tempo il Santuario.
Gli ultimi studi effettuati dopo i rilievi per i restauri, hanno sollevato una nuova questione relativa all’origine delle maestranze impiegate nei mosaici. L’ipotesi punta l’attenzione sulla possibilità che siano stati degli artisti locali a lavorare al progetto decorativo, come avveniva normalmente, per motivi di praticità. Le firme dei mosaicisti, Efram e Basil, nomi di sicura origine siriana, sono un buon indicatore per l’attribuzione delle maestranze. E’ anche possibile ipotizzare che siano intervenuti dei maestri o dei progettisti greci, ma è anche chiaro che chi ha elaborato queste decorazioni conosceva bene i grandi monumenti della Terra Santa, realizzati da artisti provenienti da occidente.
Per esempio, nella fascia decorativa della navata che separa i Concili dalle grandi figure degli angeli in alto, dove sono le finestre, c’è una stretta fascia decorativa in cui compare una maschera animale tipica dell’arte romanica europea. Quindi, nei mosaici di Betlemme si riscontra questo rapporto stretto tra arte bizantina e arte occidentale, armonizzate insieme.
Le ultime ricerche affermano che, dal punto di vista musivo, nella basilica è contenuta la più grande esperienza artistica di epoca crociata, che si produsse nell’incontro tra arte bizantina e crociata. I mosaici presentano così il “volto” Ecumenico, che la basilica della Natività di Gesù è ancora oggi per coloro che la visitano: il punto di unione tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente.
L'iconostasi greca posta sul presbiterio risale al 1764. Questa area sovrastante la Grotta, nella primitiva basilica bizantina era di forma ottagonale, come è stato rilevato dagli scavi del 1932-1934.
Secondo le indagini e le ricostruzioni, nel IV sec. dalle scalinate che seguivano il perimetro ottagonale delle mura perimetrali si poteva accedere al presbiterio. In questa zona della basilica all'interno del perimetro dell'ottagono, sotto l'attuale pavimento, sono state rinvenute decorazioni a mosaico simili a quelle della navata centrale, ma molto più ricco con raffigurazioni animali e vegetali e con elementi geometrici.
La zona sacra descritta è quella che subì più trasformazioni in epoca giustinianea. Tutta l’area absidale fu ampliata in tre direzioni con l’aggiunta di tre ampie absidi in forma di croce.
Il baldacchino fu sostenuto da un vero e proprio presbiterio di forma lunare collocato al centro dell’area, in modo da far circolare liberamente i pellegrini intorno al Luogo santo. In questa occasione venne trasformato l’ingresso alla grotta e furono create due entrate.
Le Grotte
Le grotte sotterranee attigue alla Grotta della Natività, sono molteplici e articolate. Questa zona, destinata già nell'antichità ad uso funerario, ha mantenuto nel tempo questa vocazione. La grotta più ampia e vicina al Luogo della Natività è quella detta di S. Giuseppe, divisa in due spazi e comunicante con il Convento dei francescani.
Da questa è anche possibile accedere alla Grotta Santa tramite un passaggio privato dei latini, usato per la Processione Quotidiana al Luogo della Natività. Dando le spalle all'altare di S. Giuseppe, sulla destra si trovano due piccole grotte, la seconda delle quali è dedicata ai Santi Innocenti. Frontalmente è conservato un arco pre-costantiniano, appartenente a una cella funeraria, sfondato all'epoca di Costantino per costruire le fondazioni dell’edificio.
Si ipotizza che questo punto della grotta sia l'ingresso originario della spelonca, da qui poteva intravedersi nel fondo la scena del Santo Presepio. Sulla destra sta il passaggio per la grotta di San Girolamo e Santa Paola ed Eustachio: qui furono rinvenute le tombe dei santi insieme a 72 sepolcreti di diverse epoche, ora conservati tutti all'interno di un unico sepolcro.
L'ingresso è oggi posto lateralmente al luogo della nascita di Gesù, ma si ipotizza che nel IV sec. fosse collocato davanti, nella zona presbiteriale. Le piccole facciate dei due ingressi laterali risalgono al tempo dei crociati.
Scendendo la scala posta sulla destra dell'iconostasi si entra dentro la Grotta della Natività. Qui lo spazio è molto stretto e angusto e le mura, originariamente irregolari, formano un perimetro quasi rettangolare.
Le pareti naturali della grotta abbellite in epoca costantiniana, furono ricoperte di marmo in epoca bizantina. S’iniziò a venerare l'altare della Natività solo quando in epoca bizantina fu creato questo spazio in ricordo del luogo preciso della nascita di Gesù.
L’attuale struttura è ormai totalmente modificata da quella descritta dal pellegrino Focas e dall'Abate Daniele nel XII sec. Due colonne in pietra rossa e l'iscrizione «Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus» sovrastano l'altare, sopra al quale sono rappresentati la Vergine e il Bambino in fasce, la scena del lavacro e quella della venuta dei pastori. Sotto l'altare è posta la stella con l'iscrizione latina: «Hic de Virgine Maria Iesus Christus natus est» in ricordo del luogo preciso della Natività.
A destra dell'altare sta il luogo dove Maria pose Gesù dentro la mangiatoia, detto anche "del Presepio". In questo punto della Grotta il pavimento è più basso e il vano è costituito da colonne simili a quelle bizantine della navata centrale della basilica e da resti di due colonne crociate. Di fronte al Presepio c'è un piccolo altare dedicato ai Magi, dove i latini celebrano la Santa Messa. La struttura del presepio non è originale ma è il risultato di ritocchi derivati dalla continua usura del tempo e del passaggio dei pellegrini.
Dopo l'incendio del 1869 le pareti della Grotta furono ricoperte di amianto per prevenire gli incendi, donato dal Presidente della Repubblica Francese, il Maresciallo MacMahon, nel 1874. Al disotto del rivestimento sono ancora visibili i marmi crociati originari; mentre al di sopra si possono vedere dei dipinti su tavola.
Seguendo il percorso della Processione Quotidiana, uscendo dalla Grotta della Natività attraverso il cunicolo costruito dai francescani per garantire un passaggio diretto al Luogo santo, si accede alla Grotta di San Giuseppe. Questa, rivisitata in stile moderno dall'architetto Farina, doveva essere l’antro più vicino al Luogo della Natività.
Uscendo dal cunicolo si trova sulla destra l'altare di S. Giuseppe. Frontalmente sono conservate le fondazioni di un muro costantiniano e un arco pre-costantiniano che attestano come già tra I-II sec. il luogo fosse usato come sepolcreto “ad sanctos”. Infatti, l'abitudine di seppellire i morti vicino ai Luoghi santi era usanza comune, anche in occidente, per esempio a Roma.
Uscendo dalla zona sotterranea per entrare nella Chiesa di Santa Caterina, è possibile attraversare le mura di appoggio delle tre successive ricostruzioni dell'abside, una di epoca costantiniana e due diverse di età bizantina, una delle quali risulta un tentativo progettuale non realizzato.
Mantenendo le spalle all'altare di S. Giuseppe si apre, alla destra, la Grotta degli Innocenti, dove sono visibili tre arcosoli sotto i quali erano conservati dai due ai cinque sepolcreti.
Qui viene fatta memoria della Strage degli Innocenti provocata da Erode il Grande poco dopo la nascita di Gesù. Nei primi secoli, la memoria degli Innocenti era ricordata nella grotta vicina, che doveva essere una fossa comune in cui furono rinvenute molte ossa di cadaveri.
Nella grotta di passaggio tra la Grotta di San Giuseppe e quella di San Girolamo, troviamo due altari: uno è dedicato alle sante Paola ed Eustochio, madre e figlia seguaci di Girolamo, e l’altro ai santi Girolamo ed Eusebio, teologi e Padri della Chiesa.
Nel muro a destra del primo altare sono collocati tre sepolcri, disposti come era nello stile delle sepolture romane nelle campagne laziali. Questo aspetto potrebbe dare credito all'idea che fossero presenti a Betlemme dei fedeli delle comunità latine, che mantennero l'abitudine di seppellire come nell’uso romano delle catacombe, dove i corpi venivano deposti in nicchie all’interno della parete.
Dall'ultima grotta, intitolata a San Girolamo per la sua assidua frequentazione orante di questo complesso di grotte, è possibile accedere direttamente al Chiostro crociato attraverso delle scale interne.
Costruzioni intorno alla Basilica
Il complesso monumentale degli edifici sacri, di cui la basilica della Natività è il cuore, copre un'area di circa 12 mila m2 , e comprende, oltre alla basilica, i conventi latino (Nord), greco (Sud-Est), armeno (SudOvest) e la chiesa cattolica di S. Caterina di Alessandria con il chiostro di S. Girolamo.
La Chiesa di Santa Caterina è accessibile per tre vie: tramite il transetto nord della Basilica della Natività, attraverso le grotte sotterranee, passando per il Chiostro di San Girolamo. La Chiesa, che appartiene al complesso del convento crociato, ha subito notevoli trasformazioni negli anni, ultima tra tutte quella fatta in occasione del giubileo dell’anno 2000.
Il luogo dedicato a Santa Caterina d'Alessandria già dal 1347, inizialmente era solo una piccola cappellina interna al Convento francescano, che corrisponde oggi allo spazio dell'altare dedicato a Santa Caterina. L'antica struttura descritta dalle piante di Bernardino Amico, è ora modificata definitivamente e lo spazio è stato ingrandito nel tempo.
L'attuale edificio sacro è molto spazioso e luminoso, costituito da tre navate con abside sopraelevato in cui è posto il coro dei frati. Nell'abisde è rappresentata la scena della Natività su vetrata, fatta in epoca moderna, risalente alle modifiche dell’anno 2000. In fondo alla navata di destra è posto l'altare dedicato a Santa Caterina; ancora dallo stesso lato, in uno spazio che rientra, troviamo l'altare della Vergine con la statua del bambin Gesù, risalente al XVIII sec, usata durante le celebrazioni delle solennità natalizie a Betlemme.
Meritano una nota particolare gli archi crociati ancora conservati all’ingresso della chiesa, ormai inglobati nella struttura, che facevano parte del chiostro detto anche di San Girolamo. In questo spazio è conservato il basso rilievo donato dal Papa in occasione del Giubileo del 2000.
Il Chiostro di San Girolamo, chiamato così per l'accesso diretto alla grotta dedicata al Santo, fu restaurato dall’architetto Antonio Barluzzi nel 1947. Per l’occasione l'architetto aiutò p. Bagatti nei rilevamenti archeologici delle grotte sottostanti. Per restaurare il chiostro fu necessario inserire colonne sostitutive per il sostegno della struttura.
Questo inserimento fu fatto nel rispetto della conservazione della struttura: un chiaro esempio sono i capitelli moderni, semplici e lineari, che si alternano a quelli crociati più ricchi nelle decorazioni.
Entrando dal Chiostro si accede alla cappella di S. Elena, ricavata nella base del campanile crociato, con affreschi del XII sec, poco conservati ma stilisticamente molto interessanti.
Lungo il chiostro, sulla destra, è visibile una porta d’accesso alla basilica usata dai Latini per gli ingressi ufficiali del Papa, perché il diritto di ingresso dalla porta principale è dato solo al Custode di Terra Santa e ai Patriarchi.
Sul lato opposto sta l'ingresso al Convento francescano, ampliato rispetto a quello crociato di cui restano la sala d'ingresso con archi a sesto acuto, le mura perimetrali con l'accesso al lato nord al convento, il deposito e le cisterne, alcune anche di epoche più antiche. Attraverso i sotterranei del convento è possibile accedere al luogo che la tradizione attribuisce al Lavacro di Gesù.
Entrando nel Chiostro di San Girolamo e dirigendosi verso la Basilica, è possibile accedere tramite una piccola porta alla Cappella comunemente chiamata di Sant’Elena.
In periodo crociato il nartece giustinianeo fu suddiviso e uno di questi luoghi fu adibito a cappella. Questa presenta elementi dell’architettura crociata e affreschi medievali di pregevole qualità, risalenti al XIII sec. secondo lo studioso P. Vincent, oggi in cattivo stato di conservazione. Nell’abside è rappresentato Cristo in trono tra la Vergine e Giovanni evangelista.
Nell’arcata è raffigurato un’interessante medaglione con l’etimasia, tema iconografico bizantino, che rappresenta un trono vuoto pronto per l’arrivo del Cristo durante il Giudizio Universale. Nelle altre pareti sono rappresentate immagini di Santi.
Convento francescano
Il Convento fu costruite sopra i resti delle grotte dei primi monaci che s’insediarono vicino alla Grotta della Natività e del primo convento crociato dei canonici Agostiniani.
La struttura essenziale del convento resta quella crociata, anche se ampliata e modificata. Segni chiari dell'architettura crociata sono rimasti ancora nell'ampio salone di ingresso del Convento, ma anche negli spazi sotterranei. E' possibile ancora accedere all'antico spazio di deposito crociato e attraverso l'area destinata oggi agli ascensori è possibile individuare l'antica cisterna crociata.
La facciata e l'accesso al Convento crociato erano disposti nel lato nord dell'edificio e cioè lungo l'attuale spazio dedicato a parcheggio Conventuale e ingresso al Casa Nova.
Il luogo detto del «Lavacro di Gesù» è accessibile solo dal convento. Il sito, carico d’interesse storico e archeologico, non è stato ancora adeguatamente studiato. E’ certo però che la roccia, in questo luogo, non ha subito trasformazioni, mantenendo le stesse caratteristiche del tempo in cui la Sacra Famiglia sostò a Betlemme.
Questo aspetto di grande suggestione introduce alla grotta circolare, al centro della quale è scavata una vasca rotonda, ricordata dalla tradizione come luogo del primo bagno di Gesù.
La scena del lavacro non manca mai nelle icone orientali e nelle rappresentazioni antiche della Natività. Lo spazio venne riscoperto da un intraprendente sacrestano alla fine del XIX sec.
La sacralità del luogo è tramandata da alcuni antichi come Arculfo (De locis sanctis, 670 d.C., Lib. II, cap. 3), che racconta di esservisi lavato il viso per devozione. Il sito deve essere ancora studiato, ma è possibile ipotizzare che venisse usato fin dall'antichità .
La struttura del convento che ospita i francescani è ancora quella di epoca crociata. Diversi spazi del convento realizzati nel medioevo sono ancora visibili, come la Sala crociata, oggi adibita a cappella per i pellegrini, un tempo usata come magazzino. Accanto a questa sala sono conservate antiche cisterne di grandi dimensioni, che raccoglievano l'acqua della stagione invernale per il fabbisogno annuale.
Il tetto della Basilica
A differenza di numerose chiese orientali la copertura del tetto non era a volta ma a travatura coperta, come viene descritto da Ludovico de Rochechouart prima dei restauri nel 1461: “Nel tetto v’è una struttura lignea costruita in antichi tempi. Questa di giorno in giorno va in rovina soprattutto nel coro. I Saraceni non vogliono permettere né di edificare, né di riparare, così è un miracolo del Piccolo che ivi è nato se resta ancora”.
Il tetto della Basilica della Natività subì un notevole rifacimento nel 1479 per volontà dell’allora guardiano Giovanni Tomacelli. Il legname, pagato da Filippo il Buono di Borgogna venne trasportato dalle navi veneziane, mentre il piombo per la copertura fu regalato dal re Edoardo IV d’Inghilterra. Un successivo rifacimento a opera dei Greci venne effettuato nel 1671; in questa occasione fu sostituito il legno di cedro con quello di pino come testimoniato dal padre Nau.
L’enorme impiego di materiali e risorse economiche produsse il felice risultato di un tetto che dura fino ad oggi, anche se fortemente deteriorato, degrado che provoca infiltrazioni d'acqua alle decorazioni musive parietali. In particolare la struttura in piombo, che in estate raggiunge temperature altissime, si modifica con il calore causando gli spostamenti della struttura che provocano le infiltrazioni. Proponiamo ai visitatori una interessante visione aerea della basilica, dal tetto da Chiesa di Santa Caterina che permette di godere della costruzione triabsidale del Santuario, e aiuta a comprendere i cambiamenti del perimetro dell’edificio avvenuti nei diversi secoli.
Il tesoro della Basilica
Il tesoro di Betlemme è oggi conservato presso il Museo Archeologico dello Studium Biblicum Franciscanum. Il tesoro è composto da una serie di oggetti in bronzo e argento che appartenevano alla Basilica della Natività in epoca crociata. Questi furono casualmente ritrovati in due diversi momenti, nel 1863 durante i lavori di restauro presso la cucina del convento francescano e nel 1906 durante lo scavo della fondazione del nuovo ospizio per i pellegrini.
Il "tesoro" venne nascosto con molta cura e per cause oggi sconosciute ma che dovevano servire a proteggerlo da eventuali saccheggi. È possibile che questo avvenne dopo il divieto del 1452 di Muhammad II, che proibiva ai cristiani l’uso di campane. Il tesoro è composto da:
- Un Pastorale smaltato;
- Tre Candelieri anch’essi smaltati e due in argento con iscrizioni;
- Un Carillon composto da 13 campane;
- Canne di Organo di varie dimensioni;
- Infine una croce armena in metallo rinvenute negli scavi del 1962-64 da p. Bellarmino Bagatti.
Inoltre, sono conservati sempre all’interno del Museo della Flagellazione, altri oggetti d’arte, ugualmente appartenuti alla basilica della Natività.
Betlemme nell'iconografia
Le rappresentazioni della Basilica della Natività nella storia
Già nell’antichità cristiana Betlemme fu rappresentata in molti mosaici e miniature, sia da artisti che hanno visitato il luogo sia da quelli che non conoscevano realmente il santuario. Tra questi possiamo fare una breve elencazione di alcune tra le rappresentazioni che offrono l'immagine dello sviluppo del santuario:
- Il mosaico parietale di S. Pudenziana a Roma del IV sec., che ha a destra del Redentore un edificio ottagonale e a sinistra un altro che comunemente viene identificato come il Sepolcro.
- Il mosaico pavimentale di Madaba del VI sec. in cui è rappresentata la costruzione giustinianea con i tre absidi a trifoglio che identificano la struttura.
- La miniatura medievale (XIII sec.) conservata a Cambrai in Francia, in cui viene rappresentata la facciata della basilica al tempo dei Crociati con i due campanili.
- La xilografia contenuta nel Viaggio in Palestina (1483) di B. von Breidenbach in cui viene disegnata la Basilica con elementi che oggi non sono più visibili, come il muro di cinta, gli edifici abitati dai Greci e Armeni, la forma arcuata delle finestre della basilica e le tre croci che indicano le indulgenze.
- Infine possiamo ricordare tutti i disegni del p. Bernardino Amico (XVI sec.) e del p. Ladislao Mayr (XVIII). Quest’ultimo offre particolari interessanti, tra i quali quelli del chiostro.
Il "Bambinello" di Betlemme
La statua di Gesù bambino che viene portata in processione nel punto dove è ricordato il santo Presepio la notte di Natale e che, dopo l’Epifania, ritorna all’altare della Madonna nella chiesa di Santa Caterina, fu commissionata da fra Gabino Montoro ofm nel 1920, alla Casa Viuda Reixach di Barcellona. Questa venne realizzata dall’artista Francisco Roges. Egli è anche l’autore della statuetta del Bambino in trono che viene portata processionalmente dal padre Custode il giorno dell’Epifania. Tutte e due le statuette sono in legno di cedro. Furono preparati vari modelli e tra questi fu scelto il bambinello con le mani giunte.
La tradizione dei bambinelli a Betlemme risale ad epoche antiche, come lo dimostra la cronaca edita dal Golubovich nella "Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell' Oriente francescano", che racconta un episodio della sparizione della statuetta:
"Come il Bassà di Gerusalemme si prese dai frati una statuetta di Legno di Gesù Bambino onde poter cavar denaro.
Essendo concorse alli 3 di giugno in Bettelem quasi tutte quelle nationi scismatiche per solennizzare non so che lor festa, mentre, entrate nel nostro convento per visitar quei santuari e chiese, se ne stavano nella nostra sacristia mirando una bellissima scultura d’un piccolo bambino, che sogliono i nostri frati metterlo la notte della Natività del Signore nel Santo Presepio, dimandando che cosa fusse; fu da un calogero greco risposto, che quello Dio delli Franchi idolatri, e che se gli ministri del Turco ci l’havessero tolto, resterebbe senza Dio. Non passò un’hora ch’entrato nella nostra chiesa di Santa Caterina il Bassà, che ivi a caso si trovava con tutta la sua corte, volle che gli fusse portato il Bambino, perché lo voleva vedere; tenutolo un pezzo con molto suo gusto nelle mani, lo restituì al nostro torcimanno, senza dir altro. Mentre la sera se ne stava nella nostra chiesa grande (dove sogliono far residenza e pernottare tali personaggi grandi) discorrendo di ciò, gli fu detto: che fè molto male a restituirgli il bambino, poiché se l’havesse appresso di sé ritenuto, bisognava che i Franchi l’havessero con buone migliaia di piastre riscattato, essendo da loro ritenuto et adorato per figliuolo di Dio. Giudicando il Bassà di guadagnar con questa honesta occasione qualche cosa, mandò tosto il suo torcimanno per il bambino, con promessa di non farlo partire o in qualche modo guastare, e con questa vana speranza se lo portò a casa sua in Gerusalem. Il p. Guardiano che fu ciò visato, se ne stè sempre quieto, senza farne con lui già mai menzione veruna. Passati tre mesi, vedendo che i frati non glie ne facevano parola veruna, chiamantosi il nostro torcimanno, gli disse che molto si maravigliava che i Franchi tenessero quel loro Dio in tanta poca stima. Risposegli il torcimanno che il Dio Trino e Uno, che i Franche adoravano. Era in cielo, e che quello Bambino rappresentava solamente il figliuolo di Dio in carne humana, qual mettevano i frati la notte della sua Natività in quel Santo Presepio, per rapresentare il mistero della sua Natività. Gli sogiose il Bassà: che ben sapeva, che quello era il loro reale e vero Dio, ma per non far spesa di riscattarlo, andavano in quella maniera tergiversando; pur, perché non voleva più tenerlo in casa sua, se l’havesse riportato in Bettelem con qualche buona cortesia; e consignatecelo nelle mani, gli disse che gli portasse almeno 100 piastre. Se contentò alla fine, dopo molte repliche, con due vesti di seta, e doi panni col sangeffo. A laude di Cristo. Amen”(T.S. 1969, p. 378)
E’ chiaro come la tradizione della rappresentazione di bambinelli sia molto antica e legata alla devozione, che già Francesco d’Assisi e i suoi frati contribuirono a divulgare e accrescere. E’ documentata la spedizione di alcune statuette di bambinelli dalla Terra Santa all’Italia nel 1414, usanza che prosegue fino ai giorni nostri. Anche oggi infatti, non solo i Francescani ma gli stessi pellegrini amano portarsi a casa come ricordo del Luogo santo della Natività le statuette di Gesù Bambino.
Lo Statu Quo a Betlemme
Dal secolo XVI in poi iniziarono le prime dispute sui diritti della proprietà della Basilica tra Francescani e Greci-ortodossi. Questa situazione d’instabilità è attribuibile anche alla corruzione della Sublime Porta ottomana, che garantiva diritti agli uni o agli altri a seconda del favore che le nazioni d'appoggio avevano presso di essa.
Le dispute iniziarono quando nel 1634 Murat IV dichiarò che i Luoghi santi fossero di proprietà dei Greci, dopo aver esaminato un firmano attribuito a Omar risalente al 636, che si rivelò falso. A causa di questo i Francescani dovettero riferirsi alle autorità Europee che spinsero Murat IV a emanare un nuovo decreto nel 1636, che accusasse i Greci di avergli estromesso la concessione. Nell'anno successivo, tuttavia, questi revocò l'ultimo decreto e concesse i diritti sulla Basilica ai Greci.
Solo dopo forti proteste, nel 1690 la Basilica venne restituita ai Francescani i quali posero sul luogo della Natività di Gesù una stella in argento con scritto: "Hic de Virgine Maria Iesus Chistus natus est".
La tregua (1757) all'interno del luogo santo fu interrotta dall'occupazione della Basilica e dalla estromissione dei francescani da parte di un migliaio di cristiani ortodossi locali. Così fu fatta sparire la stella che i francescani avevano posto sul luogo della nascita dei Gesù, che attestava i loro diritti. Tale stella fu poi reintrodotta dopo la guerra di Crimea, quando la Sublime Porta fu costretta dai vincitori a fare riposizionare la stella “dei latini” come una delle condizioni post-belliche.
A causa dei continui disordini, fu stata stabilita prima dall'Impero Ottomano e poi dai governi successivi, la sorveglianza di polizia che ha un suo luogo all'ingresso della Basilica.
Nel 1852 con un decreto del governo ottomano, scaturito dalla necessità di fermare le continue dispute tra Francescani e Greco-ortodossi, venne stabilito provvisoriamente uno stato sulla proprietà dei santuari (Sepolcro, Tomba di Maria, Basilica della Natività). Il firmano stabilì lo "statu quo" nei Luoghi santi, cioè che ogni comunità manteneva momentaneamente il diritto sui santuari e sulle parti di santuari che deteneva al momento della emissione del suddetto firmano. Da allora, tutto rimane fermo e non vengono presi nuovi provvedimenti.
Le chiavi per l'apertura della porta sono conservate da tutte e tre le comunità, ma l'apertura ufficiale spetta ai Greci-ortodossi.
Per quanto riguarda la Grotta della Natività la proprietà è condivisa tra Francescani e Greci ortodossi, mentre le altre comunità hanno diritto di uso. Qui è possibile per i Latini celebrare ogni giorno messa solo sull'altare dei Magi ubicato nella parte della mangiatoia, mentre possono incensare l'altare e la stella della Natività. I francescani mantengono una porticina d’ingresso privato dal convento alla Grotta, da cui si può passare per l'abituale Processione Quotidiana.
Artigianato a Betlemme
Tra le attività economiche più importanti della città di Betlemme possiamo sicuramente elencare quella dei prodotti di artigianato locale in legno di ulivo, madreperla e corallo. La storia di questo artigianato è direttamente collegata alla storia della fraternità francescana di Betlemme che, a partire del cinquecento, costituì dei centri appositi per l’insegnamento dell’arte dell’intaglio e della lavorazione della madreperla, favorendo l’apertura di botteghe artigiane dedite a queste tecniche, per realizzare arredi liturgici, presepi e altri manufatti.
Ancora oggi l’economia di molte famiglie di Betlemme dipende da questo, soprattutto grazie all'economia dei pellegrinaggi.
La prima testimonianza dell’uso di queste tecniche risale al 1586 quando il pellegrino belga Giovanni di Zuallardo, descrivendo il suo pellegrinaggio nei Luoghi santi, parlerà così di Betlemme: “fanno corone e crocette di oliva, cedro e simili” (Il devotissimo viaggio di Gerusalemme, Roma 1595, p. 206).
L’insegnamento della tecnica è sicuramente da far risalire alla costituzione della scuola nel 1347 dove, oltre allo studio delle materie teoriche, veniva promosso l’insegnamento di discipline pratiche e d'artigianato.
Da questa fucina di artigiani, oltre alla produzione di materiale semplice, iniziò anche la fabbricazione di oggetti di grande arte e valore, tra i quali i modellini dei Luoghi santi e i presepi in madreperla e legno d’olivo. Questo avvenne quando dagli studi prospettici di Bernardino Amico, che fu in Gerusalemme e Betlemme tra 1593-1597, vennero realizzati dei capolavori di modellismo, specialmente in madreperla.
Sotto l’Impero Ottomano, l’artigianato locale vide l’arresto della produzione per la diminuzione dei pellegrini.
Solo all’inizio del XX secolo l’industria riprese con maggiore vigore. Questo si deve anche al contributo di p. Pacifico Riga che riscoprì e valorizzò l’insegnamento di quest’arte, in quanto direttore e insegnante di disegno della scuola di Betlemme per ben 24 anni.
Tra i manufatti più famosi dell’artigianato locale di Betlemme possiamo ricordare: presepi, sepolcri, quadri in madre perla, reliquiari e candelabri, oltre ai monumentali modelli in miniatura che riproducono i Luoghi santi.