L'Orto degli Ulivi
L’idea comune di chi visita per la prima volta la Terra Santa è che l’orto degli Ulivi, chiamato nei Vangeli anche “giardino”, sia un ampio appezzamento di terra ricco di piante e fiori, immerso nella quiete della natura, esente dalla confusione della Città Santa. Ma se al tempo di Gesù buona parte del Monte degli Ulivi doveva essere effettivamente cosparso di piante e coltivazioni, oggi la situazione generale appare non esattamente la stessa. Eppure, il piccolo podere con pochi ulivi secolari, resta l’ambiente naturale tra i più fedeli alla Gerusalemme di duemila anni fa.
Gesù si ritirava in questi poderi coltivati per trascorrere la notte e pregare. E quella sera di giovedì, dopo l’ultima cena e prima dell’arresto, vi si ritirò con i discepoli. Come raccontano i vangeli sinottici, fu in questo luogo che Gesù provò la più profonda angoscia, decidendo di affidarsi, in totale abbandono, alla volontà del Padre.
L’orto degli Ulivi, si trova a oriente della valle del Cedron, all’incrocio del sentiero che sale al Dominus Flevit e la trafficata Jerico Road. Posto all’ingresso del santuario del Getsemani, il giardino occupa un’area di circa 1.200 m2. Una cancellata permette ai pellegrini di girare attorno ai secolari alberi di ulivo e allo stesso tempo li protegge dall’alto numero di visitatori.
A fianco degli otto alberi più antichi, sono stati piantati nuovi ulivi che hanno sostituito i cipressi e le diverse piante da fiore che nell’Ottocento erano usate per le decorazioni floreali del Santo Sepolcro.
Gli ulivi antichi, dai tronchi cavi e contorti, posseggono un diametro di oltre 3 metri. Recentissimi studi hanno verificato la perfetta salute degli alberi e hanno datato la parte aerea al XII secolo. Ma il dato più sbalorditivo, emerso dalle ricerche, è la fratellanza degli otto ulivi: essi posseggono lo stesso DNA, a significare che provengono da talee, ovvero rami recisi e innestati, appartenenti a una stessa pianta madre. Il dato fa pensare che sia stato scelto appositamente un particolare ulivo, forse ritenuto testimone della notte di agonia di Gesù. Le più antiche piante dell’orto, dunque, sono giunte intatte dall’età Crociata, sopravvivendo alla distruzione della chiesa e agli anni di abbandono, terminati nel 1681, quando i Padri Francescani entrarono ufficialmente in possesso del podere.
Interessante la testimonianza del pellegrino Giorgio Cucci, che nel 1384 descrive gli ulivi dell’orto come “antichissimi”, “numerosi e belli”.
Camminando lungo la recinzione dell’orto è possibile vedere anche l’ulivo piantato da Paolo VI, il 4 gennaio 1964, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa.
Ogni anno, dall’orto degli Ulivi parte la processione del Giovedì Santo, guidata dal Custode francescano: calata la notte, tutti i fedeli e i pellegrini si riuniscono al Getsemani per vegliare in preghiera nell’Ora Santaper poi dirigersi verso il Gallicantu, dove Gesù trascorse la notte in carcere.
Per la cura dell’uliveto contribuiscono alcuni volontari che vengono da tutto il mondo per aiutare i frati della Custodia soprattutto al momento della raccolta e della potatura.
La facciata e il portico della Basilica
Sulla sommità di una monumentale scalinata s’innalza la Basilica, affacciata sulla valle del Cedron, proprio di fronte all’antica Porta d’Oro che si apre lungo le mura merlate di Gerusalemme.
L’atrio della Basilica è formato da tre grandi arcate a tutto sesto, sostenute da pilastri fiancheggiati da colonne monolitiche, decorate con capitelli corinzi che richiamano quelli dell'originaria chiesa bizantina. Sulla cornice, in corrispondenza delle colonne, si elevano le statue dei quattro evangelisti, modellate dal Tonnini.
L’attenzione del visitatore è richiamata dal maestoso mosaico del timpano, eseguito con sfavillanti tessere colorate su fondo dorato. Il soggetto, ideato da Giulio Bargellini e realizzato dalla ditta Monticelli nel 1930, è un inno a Gesù, rappresentato come mediatore tra Dio e l’umanità. L’umanità è divisa in due gruppi: a sinistra quello dei sapienti che piangono i loro limiti, a destra quello dei semplici e degli afflitti. Entrambi i gruppi si flettono in preghiera davanti a Gesù che raccoglie le suppliche dell’intera umanità a braccia aperte e, alzando il capo, le riconsegna al Padre, inizio e fine di ogni cosa. Un angelo, alla destra di Gesù, prende il suo cuore carico delle sofferenze degli uomini. Sotto la scena, un versetto della lettera agli Ebrei accompagna e chiarisce l’intento teologico del mosaico: “PRECES SUPPLICATIONESQUE CUM CLAMORE VALIDO ET LACRYMIS OFFERENS EXAUDITUS EST PRO SUA REVERENTIA” (“Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime: per la sua riverenza venne esaudito”: cf. Eb 5,7)
Sulla sommità di una monumentale scalinata s’innalza la Basilica, affacciata sulla valle del Cedron, proprio di fronte all’antica Porta d’Oro che si apre lungo le mura merlate di Gerusalemme.
L’atrio della Basilica è formato da tre grandi arcate a tutto sesto, sostenute da pilastri fiancheggiati da colonne monolitiche, decorate con capitelli corinzi che richiamano quelli dell'originaria chiesa bizantina. Sulla cornice, in corrispondenza delle colonne, si elevano le statue dei quattro evangelisti, modellate dal Tonnini.
L’attenzione del visitatore è richiamata dal maestoso mosaico del timpano, eseguito con sfavillanti tessere colorate su fondo dorato. Il soggetto, ideato da Giulio Bargellini e realizzato dalla ditta Monticelli nel 1930, è un inno a Gesù, rappresentato come mediatore tra Dio e l’umanità. L’umanità è divisa in due gruppi: a sinistra quello dei sapienti che piangono i loro limiti, a destra quello dei semplici e degli afflitti. Entrambi i gruppi si flettono in preghiera davanti a Gesù che raccoglie le suppliche dell’intera umanità a braccia aperte e, alzando il capo, le riconsegna al Padre, inizio e fine di ogni cosa. Un angelo, alla destra di Gesù, prende il suo cuore carico delle sofferenze degli uomini. Sotto la scena, un versetto della lettera agli Ebrei accompagna e chiarisce l’intento teologico del mosaico: “PRECES SUPPLICATIONESQUE CUM CLAMORE VALIDO ET LACRYMIS OFFERENS EXAUDITUS EST PRO SUA REVERENTIA” (“Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime: per la sua riverenza venne esaudito”: cf. Eb 5,7)Il massicio portale d’ingresso della Basilica, opera dell’ingegner Pietro Adelchi Ricci, è stato realizzato grazie al contributo economico di padre Giovanni Gramiccia, Commissario Generale di Terra Santa, e dei benefattori napoletani.
Si tratta dell’ultima opera dell’artista, morto per malattia ad Amman a soli 30 anni. Durante la sua permanenza a Gerusalemme, in cui fu assistente del Barluzzi, il Ricci ebbe modo di studiare la nuova fabbrica e le intenzioni dei vari artisti che vi avevano collaborato.
Il portale, realizzato solo nel 1999 e in forme più semplici rispetto al progetto originario, fu modellato dallo scultore Tonnini. Rappresenta l’albero della vita con quattro tralci che racchiudono i simboli degli evangelisti. Nei quattro cartigli sono incisi, in lingua latina, i brani dei Vangeli che raccontano l’agonia di Gesù. Ai piedi dell’albero è cesellato lo stemma della Custodia con la croce di Terra Santa e le due braccia incrociate, di Gesù e San Francesco, che recano sul palmo della mano i segni rispettivamente delle piaghe della crocifissione e delle stimmate.
Oltrepassato il portale, un suggestivo albero di ulivo in bronzo, dell’artista S. Gabai , dalle fronde contorte e nodose come i centenari Ulivi dell’orto sacro, decora la vetrata della bussola. La forte luce del sole filtra all’interno della chiesa attraverso le fronde dell’albero, rappresentazione di quegli ulivi che furono muti testimoni dell’agonia di Gesù.
La Basilica del Getsemani
L’interno della Basilica, intervallato da due file di sei colonne rosate che sostengono le 12 volte uniformi, ricalca, con dimensioni più ampie, la chiesa teodosiana, di pianta basilicale a tre navate, terminanti in absidi semicircolari.
Nel progetto del Barluzzi tutto concorre a rievocare la scena notturna di quel giovedì di Pasqua, quando tra le fronde degli ulivi e al chiaro di luna, Gesù patì l’agonia e l’abbandono alla volontà del Padre.
La luce all’interno della Basilica è concepita dall’architetto come elemento caratterizzante: l’oscurità interna, in marcato contrasto con la bianca luminosità dell’esterno, è volutamente ottenuta grazie ai vetri opalescenti con colori violacei delle finestre che scandiscono le pareti della chiesa. I diversi toni del viola filtrano tra i trafori geometrici disegnando il motivo della croce.
L’ambientazione notturna creata all’interno della Basilica è rafforzata dai mosaici delle 12 volte dove, su uno sfondo azzurro cupo, si accende il cielo stellato incorniciato tra i rami di ulivo. Al centro di ogni volta sono rappresentati diversi motivi che richiamano la passione e morte di Gesù assieme allo stemma della Custodia di Terra Santa. Per ricordare tutte le Nazioni che contribuirono alla realizzazione della Basilica, furono riprodotti i loro emblemi nelle cupole e nei mosaici dell’abside. Iniziando dall’abside della navata di sinistra, sono ricordate l’Argentina, il Brasile, il Cile ed il Messico; nella navata centrale l’Italia, la Francia, la Spagna e l’Inghilterra; nella navata di destra il Belgio, il Canada, la Germania e gli Stati Uniti. Grazie a questa collaborazione internazionale la chiesa è anche chiamata “Basilica delle Nazioni”.
Per la decorazione del pavimento l’architetto ebbe la moderna intuizione di riprodurre i mosaici e la pianta dell’antica basilica Teodosiana su cui fu rialzata l’attuale. Le fasce di pietra grigia seguono il perimetro delle murature della chiesa bizantina, affiancate da una striscia con marmi bianchi e neri a zigzag che indicano la posizione delle canaline di scolo delle acque piovane che finivano nella cisterna. Grazie ai resti di mosaico ritrovati negli scavi, l’artista Pietro D’Achiardi ricostruì il disegno a motivi geometrici del pavimento del IV secolo: percorrendo la basilica s’incontrano diversi inserti, ricoperti da lastre di vetro, che permettono di osservare i tasselli del pavimento originario. Mentre per le navate laterali la fedele ricomposizione del mosaico antico propone dei riquadri a motivi geometrici, bordati da cornici a nastri intrecciati, per la navata centrale fu eseguito un nuovo disegno che tiene in considerazione i colori delle tessere che costituivano l’antico mosaico. Il nuovo mosaico si basa sui motivi tradizionali dell’arte bizantina del IV secolo: un bordo a volute di foglie d’acanto con fiori e uccelli su sfondo nero, incornicia il sobrio riquadro centrale che vede rappresentata, dentro a una treccia, la croce stilizzata con il monogramma, detto costantiniano, simbolo usato già dai primi cristiani, che nasce dall’intreccio delle lettere greche X e P, “chi” e “rho”, abbreviazione di “Christós”.
Entrando nella basilica lo sguardo è attratto dalla scena dell’agonia di Gesù rappresentata nell’abside centrale. La composizione, ideata dal maestro Pietro D’Achiardi, è volutamente semplice e resa con forme stilizzate, con lo scopo di aiutare l’osservatore ad avvicinarsi all’umanità di Gesù, alla tristezza dell’Uomo-Dio che sceglie liberamente di affidarsi alla volontà del Padre.
Al centro della scena è Gesù, accasciato, sulle rocce che lo sostengono, nella cornice notturna dell’orto degli Ulivi. I tre apostoli che furono presi dal sonno “per la tristezza”, come racconta l’evangelista Luca, si scorgono poco distante, dietro agli ulivi. La buia volta celeste accentua l’ambientazione notturna, dove risplende dall’alto l’angelo che scende per portare conforto a Gesù. La scena rappresentata è quella del racconto dell’evangelista Luca, di cui vengono riportati, in latino, i versetti più densi di significato: “APPARUIT AUTEM ILLI ANGELUS DE COELO CONFORTANS EUM. ET FACTUS IN AGONIA PROLIXIUS ORABAT. ET FACTUS EST SUDOR EIUS SICUT GUTTAE SANGUINIS DECURRENTIS IN TERRAM” (“Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra”, Lc 22, 43-44). Il Commissariato ungherese sostenne le spese per la realizzazione del mosaico, motivo per cui lo stemma nazionale si trova alla base dell’opera assieme a quelli della Custodia Terra Santa.
I mosaici delle due absidi laterali sono opera di Mario Barberis. Nonostante la diversità compositiva e artistica rispetto a quello centrale, l’uso della stessa gamma cromatica e l’ambientazione notturna nell’orto degli Ulivi, conferisce all’insieme una buona uniformità.
Nell’abside della navata di sinistra è rappresentato il bacio, descritto da Matteo e Luca, con cui Giuda tradì Gesù: quello era il segno concordato con le guardie e i sommi sacerdoti per identificarlo. Gesù è abbracciato da Giuda al centro della scena, mentre gli apostoli, coronati di aureola, stanno sulla sinistra e le guardie, che si fanno luce con una fiaccola, sulla destra (Mt 26, 30; Lc 22, 48). Lo Stemma dell’Irlanda, che sostenne le spese dell’opera, trova posto in basso a destra.
Nell’abside della navata di destra, il mosaico del Barberis ritrae la scena raccontata nel vangelo di Giovanni, conosciuta come “EGO SUM”, ovvero “Io sono”. E’ la risposta che Gesù diede alle guardie che cercavano il Nazareno, e che le fece indietreggiare e cadere a terra (Gv 18, 6). Gli apostoli, sulla sinistra, sono rappresentati da Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre Pietro tiene un pugnale pronto a difendere il suo Signore. Sulla destra le guardie sono concitate e alcune cadute a terra. Al centro, Gesù, tiene le braccia aperte in segno d’accoglienza del suo destino ed è contornato di luce, a sottolineare la potenza della sua parola, che fa cadere a terra le guardie. La Polonia, che si assunse l’onere delle spese, è rappresentata nello stemma in basso a destra.
Il fulcro della Basilica è costituito dalla nuda roccia, lasciata esposta alla venerazione, una pratica comune a molti Luoghi Santi e testimoniata fin dall’antichità. Infatti, sicuramente fin dal XIV secolo, i pellegrini al Getsemani avevano l’usanza di prostrarsi davanti alle “Rocce degli apostoli”, dove si sarebbero addormentati Pietro, Giacomo e Giovanni durante l’agonia di Gesù, e che ancora oggi si trovano all’esterno della Basilica, nella zona retrostante. Ma questo tipo di venerazione doveva già esistere, se, come sembra, in entrambe le chiese, bizantina e crociata, la nuda roccia fu lasciata in vista all’interno dell’edificio, perchè i fedeli potessero toccare quella stessa pietra testimone del sudore di sangue e delle sofferenze di Gesù.
Anche oggi i pellegrini possono inginocchiarsi davanti alla roccia, presso il presbiterio, al di là di una balaustra che imita quelle paleocristiane. La roccia, che dopo quasi un secolo di ossequio inizia a mostrare le tracce della venerazione, è racchiusa in una corona di rovi intrecciati in ferro battuto e argento, alta circa 30 cm, e leggermente inclinata all’interno. L’opera dell’artista Alberto Gerardi è completata da due colombe morenti, realizzate in argento, che decorano gli spigoli, e da tre calici cui si abbeverano due colombe, uno per ogni lato della recinzione: la simbologia dell’opera allude alla Passione di Cristo e al suo martirio.
Presso le absidi si vede la roccia naturale, con l’antica scalpellatura, su cui poggiano le mura della basilica. Si possono ancora vedere alcune pietre della basilica teodosiana ritrovate durante gli scavi archeologici: una nell’abside di destra e due in quella di sinistra, che conservano le tracce dell’antico canale di scolo delle acque piovane.
I resti della Chiesa Crociata
Oltrepassato il portico della Basilica, sul lato sud, sono visibili le rovine dell’antica Basilica crociata dedicata al Salvatore, della fine del XII secolo: furono i primi resti ritrovati a fine Ottocento e scavati dai francescani a partire dal 1909. La chiesa fu costruita sensibilmente ruotata verso sud rispetto alla precedente bizantina, e aveva dimensioni più ampie. Era a tre navate con pilastri cruciformi e absidi semicircolari. Un restauro successivo sostituì i pilastri con massicci basamenti ottagonali.
Gli scavi e la successiva costruzione della Basilica moderna hanno prodotto l’abbassamento dei livelli originari della chiesa: oggi si possono facilmente osservare le possenti mura laterali ma non il pavimento, esportato durante i lavori. Il banco roccioso, che s’innalza verso le absidi, doveva emergere dal pavimento ed essere in vista anche nel periodo crociato.
A testimoniare la ricchezza della decorazione della chiesa resta solo un frammento di affresco con un volto di angelo oggi conservato al museo archeologico dello Studium Biblicum Franciscanum, presso il Convento della Flagellazione. A fianco del volto dell’angelo vi è un’aureola con croce gemmata, che è attribuita alla figura del Cristo. Le interpretazioni della scena sono due: quella dell’agonia descritta da Luca, in cui un angelo apparve a Gesù per confortarlo, e quella di una maestà con Cristo assiso in trono circondato dagli arcangeli.
Non tutti i resti di colonne e capitelli sparsi nei dintorni appartengono alla chiesa bizantina e crociata del Getsemani perché, in questo luogo, sono conservate anche le colonne dell’Anastasis della chiesa del Santo Sepolcro, molto danneggiate e per questo sostituite durante il restauro del XX secolo.
Grotta del Getsemani
La grotta, detta comunemente del Getsemani, che in aramaico indicava il luogo del frantoio, si trova alla destra della Tomba della Vergine e si apre alla fine di un corridoio. La tradizione, sin dal IV secolo, colloca qui il tradimento di Giuda. Dopo l’agonia avvenuta nell’orto degli Ulivi, Gesù andò incontro agli apostoli che sostavano nella grotta, e qui lo raggiunse Giuda accompagnato dalle guardie.
I francescani entrarono in possesso di questo luogo nel 1361 e, a differenza della Tomba di Maria, ne detengono ancora la proprietà. A seguito di una alluvione avvenuta nel 1955, la Custodia di Terra Santa, per mano di padre Virgilio Corbo, condusse degli scavi che consentirono di studiare la struttura della grotta e fare interessanti scoperte sulle diverse fasi della sua storia.
La grotta, che misura circa metri 19x10, con una altezza di metri 3,5, ha sempre mantenuto un aspetto abbastanza naturale nonostante le varie trasformazioni. Inizialmente era un ambiente a vocazione agricola con cisterne e canaline dell’acqua e forse un frantoio; a partire dal IV secolo divenne una chiesa rupestre a vocazione funeraria; in età crociata fu decorata con una volta dipinta di stelle e scene evangeliche.
Dall’ingresso, che fu aperto a seguito di un’alluvione che nel 1655 rese impraticabili i precedenti passaggi, si scendono alcuni scalini che portano all’interno della grotta. La volta rocciosa e intonacata, in parte naturale e in parte tagliata artificialmente, è sostenuta da pilastri rocciosi o di muratura. In occasione dell’anno giubilare 2000 è stato eseguito un restauro alla volta dipinta in età crociata: resti di affreschi e numerosi graffiti lasciati dai pellegrini sono tornati alla luce. I tre dipinti racchiusi in riquadri che rappresentano la preghiera di Gesù nel giardino, il Cristo con gli apostoli e l’angelo che consola il Salvatore, fanno parte della decorazione crociata della volta.
Un’iscrizione in lingua latina, composta di tre righe con lettere capitali in bianco su fondo rosso e nero, è dipinta sulla volta, alla destra del presbiterio. La traduzione proposta è: “Qui il Re Santo ha sudato sangue. Il Signore e Cristo ha spesso frequentato questi luoghi. Padre mio, se vuoi, allontana da me questo calice”. Probabilmente altre iscrizioni come queste separavano le scene rappresentate, con lo scopo di descriverle.
I quadri, realizzati ad affresco, sono opera dell’artista Umberto Noni. Quello dietro all’altare ha per soggetto la preghiera quotidiana di Gesù tra gli apostoli, ambientata all’interno di una grotta, come quella del Getsemani.
Dando le spalle all’altare, a sinistra delle scale di accesso, si può osservare parte dell’antica cisterna, all’inizio utilizzata come serbatoio d’acqua e poi trasformata in sepolcreto in età bizantina. Un’apertura sul pavimento permette di vedere parte del fondo della cisterna, con il piano suddiviso da semplici muretti in almeno cinque tombe. All’interno della cisterna, sulla parete di sud, fu realizzata una tomba in arcosolio. L’ingresso bizantino alla Grotta era posto su questo lato, al di sopra della cisterna. Da un’apertura quadrangolare lasciata alla base del muro, si vedono i gradini che, dal lato nord, conducevano al sepolcreto. Di fronte all’ingresso che in età bizantina conduceva alla grotta, si conserva un lacerto di mosaico pavimentale in tessere bianche con un’iscrizione greca in tessere rosse e contornata da riquadro nero. Si tratta di un’iscrizione funeraria di cui resta la prima riga che recita: “KE ANAPAUS(ON)” , “Signore, dona il riposo”.
Nuove ricerche nel Giardino degli Ulivi
Nel 2009 è stata avviata un’indagine sullo stato di salute degli antichi Ulivi dell’Orto sacro. I risultati delle indagini, resi noti nel 2012, hanno fatto luce anche su un tema tanto dibattuto quale l’età delle piante.
La ricerca è stata condotta da un team di professionisti e ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), assieme a varie università italiane, coordinati dal prof. Giovanni Gianfrate e dal prof. Antonio Cimato.
Le indagini hanno riconosciuto alle piante, oltre che un ottimo stato di salute, anche un’età di circa 900 anni, facendo risalire all’epoca crociata la parte aerea degli ulivi, ovvero del tronco e delle fronde. Ma la scoperta più singolare è venuta dall’analisi del DNA: gli otto ulivi presentano, infatti, lo stesso profilo genetico, ovvero appartengono allo stesso “genotipo”, un unico albero da cui sono stati prelevati dei rami più o meno spessi da mettere a dimora nel giardino.
Sembra dunque verosimile che, assieme alla costruzione della Basilica, i crociati abbiano risistemato il giardino, con il fine di “moltiplicare”, all’interno di uno spazio sacro, un’albero in particolare, forse perchè antico e venerato in riferimento alla preghiera di Gesù al Getsemani, allo stesso modo in cui si venerano anche oggi gli Ulivi.
La sacralità dell’Orto, grazie ai nuovi risultati, acquista maggiore forza: gli Ulivi sono davvero i testimoni della fede radicata della comunità cristiana di Gerusalemme, che assieme ai tanti pellegrini, non si stanca di annunciare la Risurrezione di Cristo al mondo intero.
Getsemani: progetto restauro mosaici
Un progetto per conservare la Basilica del Getsemani, e formare i restauratori e i mosaicisti del domani.
Il progetto
L'intervento di restauro e conservazione si è svolto grazie al coordinamento di Associazione pro Terra Sancta e Mosaic Center di Gerico, con la supervisione scientifica di un’apposita commissione dello Studium Biblicum Franciscanum.
Gli obiettivi:
- Conservare e restaurare da un punto di vista architettonico e artistico uno dei Luoghi Santi più importanti di Gerusalemme e di tutta la Terra Santa.
- Formare giovani di Gerusalemme, attraverso un corso pratico di restauro dei mosaici.
- Accrescere la consapevolezza della popolazione locale e di tutta la comunità internazionale circa il valore storico e culturale di questo Luogo.
Le attività:
- Documentazione e pulitura dei mosaici che ricoprono le volte interne e la facciata esterna della Basilica.
- Risanamento del tetto della Basilica, del pavimento, e di tutte le parti danneggiate, sia interne che esterne.
- Realizzazione di corsi pratici di restauro dei mosaici per giovani di Gerusalemme, tenuto da esperti locali del Mosaic Center di Gerico.
- Organizzazione di attività e visite alla Basilica per i giovani delle scuole di Gerusalemme.
Attraverso il restauro realizzato alla Basilica del Getsemani i tanti pellegrini che giungono in Terra Santa possono ora continuare a visitare e celebrare in uno dei Luoghi Santi più importanti di Gerusalemme. Allo stesso tempo, è stata coinvolta la comunità locale nella preservazione del patrimonio storico e artistico di questa città, formando restauratori e mosaicisti e accrescendo il legame dei giovani locali con il proprio territorio, così ricco di storia.