Gli scavi nella proprietà francescana
Fra Benedict Vlaminck fu il primo a indagare il sottosuolo attorno alla sacra grotta. Pubblicò i risultati delle sue scoperte nel 1900, nel suo “A Report of the Recent Excavations and Explorations conducted at the Sanctuary of Nazareth”. Nel 1892 egli scoprì una seconda grotta affrescata, detta poi di Conone, posta a ovest di quella venerata e con i resti bizantini di pavimenti in mosaico. In quell’occasione fu fatto il primo rilievo della pianta della chiesa crociata, che racchiudeva i resti bizantini.
Nel 1889 e poi tra il 1907 e il 1909, altre indagini furono continuate da padre Prosper Viaud e i risultati furono prontamente pubblicati nel 1910, arricchiti di belle illustrazioni nel volume “Nazareth et ses deux églises de l'Annonciation et de Saint-Joseph”. Le scoperte ottennero un’eco immediata grazie al rinvenimento del mosaico con la corona e il monogramma di Cristo, insieme ai famosi capitelli crociati raffiguranti storie degli Apostoli, trovati nascosti dentro ad una grotta sotto il pavimento del parlatorio del convento. Sembra certo che i capitelli, forse mai messi in opera, siano stati nascosti alla fine del periodo crociato per proteggerli dalle depredazioni e distruzioni musulmane.
Altri scavi furono praticati durante la costruzione del nuovo convento francescano nel 1930, ma i diari con le annotazioni andarono perduti durante la seconda guerra mondiale.
Il progetto della costruzione della nuova Basilica dell’Annunciazione, inaugurata nel 1969, fu l’occasione per iniziare più approfondite ed estese ricerche sul passato del villaggio e i resti antichi. Le indagini archeologiche furono dirette da padre Bellarmino Bagatti, uno dei padri fondatori della tradizione archeologica dello Studium Biblicum Franciscanum, esperto conoscitore delle antichità del paese.
Nel marzo 1955 furono abbattute le strutture della chiesa francescana costruita nel 1730 ed ampliata nel 1877, del vecchio convento e delle scuole. Lo spazio che si trovava a nord della sacra Grotta, finalmente libero da strutture, fu esplorato tra l’aprile e il giugno dello stesso anno, con l’aiuto di più di 120 operai locali che scavando giornalmente, sotto l’attento sguardo di p. Bagatti e del suo collaboratore p. Gaetano Pierri, ripulirono un’area di circa 90 x 60 metri. Le indagini erano finalizzate soprattutto alla conoscenza del villaggio, delle sue caratteristiche materiali e del suo sviluppo nel tempo.

I lavori permisero di esplorare la zona a est, a sud e a nord della Grotta e misero in luce i resti della chiesa crociata, di quella bizantina e dell’antico villaggio.
Della chiesa crociata, oltre al muro nord e qualche altra struttura già ben documentata in passato, furono riportati completamente alla luce le absidi e i muri perimetrali, fu scoperto il cimitero che si sviluppava ad est e nel contempo furono recuperati moltissimi elementi di colonne di granito e blocchi scolpiti che appartenevano alla decorazione del ricco santuario.
Del complesso di età bizantina furono indagati: la chiesa -con le absidi, le tre navate e la sacrestia-, il monastero -con i resti dei pavimenti musivi degli ambienti posti a meridione della chiesa- e, infine, lo spazio riservato all’atrio dove venne alla luce anche una cisterna per l’acqua.
Lo scavo del villaggio, i cui resti sono ancora oggi visitabili all’interno dell’area archeologica a fianco della Basilica, mise in luce un sistema di grotte naturali e artificiali che erano parte integrante delle abitazioni. Furono trovati anche diversi silos per le granaglie e cisterne per l’acqua, il cui svuotamento ha restituito ceramica che testimonia una frequentazione del sito dall’età del ferro a quella moderna. Furono trovate anche una serie di tombe che risalgono fino al Medio Bronzo.
Durante la costruzione del nuovo santuario nacque anche l’esigenza di conservare meglio i mosaici bizantini. Per questo furono rimossi e adagiati su una nuova base. Conseguentemente, si colse l’occasione per investigare anche le aree sottostanti i mosaici. Con somma sorpresa di p. Bagatti e dei suoi collaboratori, tornarono alla luce i resti di un più antico edificio pre-bizantino con evidenti e abbondanti segni di venerazione cristiana.
I risultati, nel complesso, furono principalmente tre:
- il ritrovamento della parte più meridionale del villaggio di Nazaret, di cui faceva parte anche la casa della Grotta venerata, che confermò l’esistenza dell’abitato all’epoca di Gesù;
- una più ampia comprensione delle strutture e dell’organizzazione degli spazi delle due chiese, bizantina e crociata;
- la straordinaria scoperta dei resti del primo luogo di preghiera costruito sulla Grotta venerata, che testimonia un’ininterrotta conservazione della memoria del luogo sacro a Maria dai primi secoli cristiani fino ad oggi.
P. Bagatti descrisse le sue scoperte nei due volumi dedicati a “Gli scavi di Nazareth” dalle origini al XII secolo e dal XII secolo ad oggi, dati alle stampe rispettivamente nel 1967 e nel 1984, seguiti dalla pubblicazione tradotta in lingua inglese.
L'edificio pre-bizantino
Nel 1959, durante la costruzione della nuova Basilica, i mosaici bizantini furono staccati per essere conservati al meglio e ricollocati al termine dei lavori. Una volta tolti, con grande sorpresa, si scoprì che sotto il pavimento della chiesa e del convento si trovavano diversi blocchi di pietra con intonaci dipinti e graffiti che appartenevano a un edificio di culto più antico.
In particolare, sotto il mosaico della navata centrale, proprio nello spazio in cui sono raffigurate le piccole croci e il monogramma di Cristo, venne alla luce una vasca tagliata nella roccia, di forma quadrata, con lati di circa due metri, profonda metri 1,60, con gradini lungo il fianco sud. La vasca presenta sul fondo, all’angolo di nord est, un pozzetto circolare con un ulteriore avvallamento presso l’angolo. Nell’intonaco delle pareti si trovano tracce d'incisioni eseguite quando la malta era ancora fresca e interpretate da P. Testa come raffigurazioni di scale (allusioni alla “scala cosmica”), croci e barche.
La vasca risulta essere stata chiusa e riempita con diversi pezzi di pietra, ceramica datata fine IV secolo e, nello strato superiore, con molti frammenti d’intonaco bianco e colorato che conservano tracce di scritte graffite in lingua siriaca. Questa vasca somiglia, nella forma, a quella della cripta di San Giuseppe, ma non è rivestita di mosaico. P. Bagatti, che pensò inizialmente ad una vasca per il vino, si convinse poi che fosse invece servita per il culto. La somiglianza con quella di San Giuseppe lo portò a supporre che si trattasse di una vasca battesimale per l’iniziazione giudeo-cristiana. Non tutti gli studiosi condividono quest'interpretazione. La Taylor, in modo particolare, considera entrambe le vasche -di San Giuseppe e dell’Annunciazione- meglio riconducibili alle attività agricole del villaggio, per la raccolta della spremitura del vino.
Anche sotto la navata sud e nella zona del convento sono stati trovati diversi materiali di risulta edile, utilizzati per rialzare il livello del pavimento: pezzi d'intonaco dipinti e graffiti, ceramica, monete non leggibili, frammenti di tegole per il tetto e frammenti di lastre di marmo da rivestimento di pareti o di pavimenti. Sono stati recuperati anche una settantina di grossi pezzi architettonici, anche intonacati, che dovevano appartenere a un edificio di culto abbattuto: capitelli, rocchi e basi di diverse colonne in pietra locale chiamata “nari”, blocchi da cui partivano gli archi della navata (imposte di doppio arco), diverse cornici lavorate, stipiti di porta e pietre squadrate.
L'Antico villaggio di Nazareth
Gli scavi eseguiti a partire dal 1955 da P. Bellarmino Bagatti hanno portato alla luce parte dell’area occupata dall’antico villaggio, oggi incluso nella Nazaret moderna. È stato indagato, in particolare, lo spazio che era occupato, fino al 1930, dal convento francescano, costruito a sua volta sopra il palazzo vescovile di epoca crociata.
L’abitato scendeva lungo il pendio della collina, nello spazio che oggi separa i due santuari francescani di S. Giuseppe a nord e dell’Annunciazione a sud. Il villaggio era circondato a settentrione da una specie di anfiteatro naturale, formato da colline che raggiungono i cinquecento metri di quota, mentre a oriente e occidente era delimitato da valli che scendevano verso la piana di Esdrelon. Il ripido fianco della collina, sul versante est, scendeva a precipizio: oggi la valle orientale è ancora riconoscibile lungo Via Paolo VI, che collega la parte bassa della città alla moderna Nazaret Illit. Lo sviluppo moderno della città ha invece coperto la valle occidentale, che doveva concludersi nella zona dell’attuale suk, dove vi era anche una fonte d’acqua.
I limiti nord, sud e ovest del villaggio sono stati identificati grazie al ritrovamento di tombe datate dal Medio Bronzo all’età bizantina. L’abbondante presenza di sorgenti d’acqua naturali, che facilitavano la vita del villaggio, è testimoniata dalla “fonte di Maria” posta a nord del villaggio evangelico, che oggi sgorga dalla roccia racchiusa nella chiesa greca di S. Gabriele e che è chiamata dai locali “Ain Sitti Maryam”.
Gli scavi condotti da P. Bellarmino Bagatti, hanno messo in luce i resti di un villaggio agricolo frequentato a partire dall’età del ferro II (900-600 a.C.), via via strutturatosi attorno a semplici abitazioni che sfruttavano le grotte sotterranee, scavate nella tenera roccia calcarea. Esse erano parte delle case ed erano usate per i lavori domestici e come ricovero di animali. Mentre le abitazioni vere e proprie, in muratura, erano situate in superficie o addossate alle grotte.
A causa dei diversi edifici costruiti via via nell’area, restavano ben poche tracce delle case antiche e quando P. Bagatti iniziò le indagini adottò la scelta di scavare subito fino alla roccia naturale. La raccolta dei dati archeologici si è perciò spesso limitata alle tracce ritrovate nella roccia.
Il carattere agricolo del villaggio è testimoniato principalmente dai numerosi silos, buche a forma di pera con un’imboccatura circolare tappata da una pietra, scavati nel tenero calcare roccioso. I silos dovevano conservare le granaglie raccolte e raggiungevano anche i due metri di profondità. Erano ingegnosamente disposti uno sopra l’altro, in più livelli, e collegati da gallerie che facilitavano lo stoccaggio delle merci e l’areazione delle granaglie. Insieme con i silos furono ritrovate le cisterne che raccoglievano l’acqua piovana. Pressoi per l’olio e per l’uva affiancati da celle olearie e vinarie, facevano parte di un complesso produttivo di cui sono state trovate anche le macine di pietra.
Studiando i collegamenti tra i silos e la disposizione delle cisterne per l’acqua è stato possibile rintracciare i limiti ipotetici tra le varie proprietà: queste dovevano essere autosufficienti dal punto di vista idrico. P. Eugenio Alliata ha potuto intercettare almeno quattro aree distinte, dotate di grotte e silos collegati, che si suppone appartenessero a quattro nuclei abitativi diversi.
La grotta venerata, posta sul versante meridionale del borgo, apparteneva con ogni evidenza a uno di questi complessi che, a un certo punto, sviluppò anche un’area produttiva, dotata di frantoio, di cui restano un pressoio con vasca di raccolta della spremitura e delle celle vinarie o olearie.
Come già evidenziato, le grotte scavate nella roccia, come quella dell’Annunciazione, erano ambienti sotterranei delle case. Queste erano composte da una o più stanze in muratura, forse fornite anche di piani superiori. Le grotte erano usate come magazzini in cui stivare le merci dentro ai silos, oppure come stalle per gli animali; ma potevano servire anche per le varie attività domestiche e per ospitare piccoli forni.
Un ottimo esempio di abitazione semi-rupestre è visitabile nell’area archeologica a fianco della Basilica. Si osserva una grotta con una cameretta antistante di cui resta il primo filare di pietre. In questa grotta, scavando sotto il pavimento del parlatorio del convento, P. Viaud scoprì i cinque splendidi capitelli crociati ora conservati al museo. Nella grotta si conserva ancora un forno ricavato nello spigolo di nord-ovest, e si possono vedere alcune bocche di silos nel pavimento. Maniglie ricavate nella roccia e una mangiatoia, rimandano all’utilizzo della grotta come stalla, almeno per un certo periodo.
La storia dell’occupazione umana di Nazaret è riassunta da alcuni gruppi di tipologie ceramiche esposte nel museo: vanno dal II millennio a.C. al 1500 d.C.
I vasi del Medio Bronzo I e II (2000-1550 a.C.) e del Tardo Bronzo (1550-1200 a.C.) provengono dalle tombe ritrovate all’esterno del muro meridionale della basilica crociata. Quelli del Ferro I (1200-1000 a.C.) da una tomba scoperta sulle pendici della montagna nel quartiere occidentale del centro abitato (casa Mansour). Il Ferro II (1000-586 a.C.) è rappresentato da una giara a collo stretto con doppio manico e imbuto, trovata in un silos a est della basilica. Le lucerne e le pentole del periodo romano provengono dalla suppellettile funeraria della tomba detta “Laham” scoperta a sud del santuario nel 1923 nella proprietà di Wasif Laham, tomba formata da una stanza sepolcrale con 13 loculi a “kokhim”. I piatti invetriati coprono il periodo medioevale, fino al XVI secolo, e provengono da diverse aree, testimoniando, così, una buona vitalità economica della città.
Recenti scavi archeologici (2009) realizzati all’interno della proprietà che accoglie il “Centro Internazionale Maria di Nazaret”, che si trova poco a nord della vasta proprietà francescana, hanno portato alla scoperta di una modesta abitazione di età erodiana simile a quelle ritrovate negli scavi francescani. Quest'edificio era costituito da due stanze e un cortile, in cui erano scavati dei pozzi e una cisterna per la raccolta dell’acqua.
La Chiesa Bizantina
Secondo la tradizione pervenuta da Epifanio ("Panarion" XXX.II.10) fu il conte Giuseppe di Tiberiade, un ebreo convertito al tempo di Costantino, a chiedere di poter costruire la prima chiesa cristiana, nel villaggio di Nazaret, entro la prima metà del IV secolo. Non vi sono testimonianze certe sull’effettiva riuscita del Conte nel tentativo di costruire una chiesa, ma questa ipotesi è ritenuta probabile. Verso il 383, la pellegrina Egeria vide “una grande e splendida grotta” in cui la Vergine Maria sarebbe vissuta, con un altare all’interno e un giardino in cui il Signore si intratteneva dopo il ritorno dall’Egitto.
Nei testimoni dei primi secoli si riscontra la tendenza a non parlare dei luoghi di culto non appartenentI alla propria tradizione. Ne sono un esempio S. Girolamo ed Epifanio. Nel caso specifico di Nazaret si è ipotizzato che esistesse fin da subito un luogo di preghiera sulla casa di Maria ma che non sia stato rilevato dagli autori di ceppo gentile, in quanto custodito dalla comunità giudeo-cristiana. Girolamo, infatti, scrivendo del pellegrinaggio fatto in compagnia di Paola e Eustochio, non parla di chiese a Nazaret ma cita il villaggio. Se ne deduce che Nazaret faceva parte dei luoghi visitati dai pellegrini fin dai primi secoli.
Per ottenere una menzione diretta della chiesa bisogna attendere il 570, con la visita dell’Anonimo di Piacenza ("Itinerarium", V). Egli osservò il villaggio, ma anche la “casa di Maria” trasformata in chiesa, nonché la sinagoga officiata da ebrei.
Della situazione successiva alla conquista araba del 638 resta la descrizione del pellegrino Arculfo, che all’abate Adamnano raccontò di aver visto a Nazaret due chiese molto grandi: “una, nella quale fu nutrito il nostro Salvatore”, l’altra “che è nota per essere stata costruita sul luogo della casa dove l’Argangelo Gabriele si rivolse a Maria”.
Di queste due chiese in seguito rimase solo quella dell'Annunciazione, come si deduce dalla testimonianza di Willibaldo nel 724-26, il quale parla solo dell’Annunciazione, ormai in balia dei musulmani.
L’ultima testimonianza pre-crociata è dello storico arabo al Mas’udi, del 943: scrive di aver visitato Nazaret e di avervi trovato “una chiesa molto venerata dai cristiani e dove si trovano dei sarcofagi di pietra con ossa di morti, dai quali trasuda un unguento simile a sciroppo col quale si ungono i cristiani per devozione”. Probabilmente si tratta di sepolcri posti nella chiesa e molto venerati dai fedeli.
Della chiesa bizantina, le cui vestigia, sopravvissute al decadimento, lasciarono spazio al nuovo edificio ecclesiastico costruito dai crociati, rimangono solo alcuni muri a livello di fondazioni e lacerti di pavimenti in mosaico. Gli scavi dello scorso secolo hanno complessivamente permesso di rintracciare la pianta degli edifici: essi consistevano in una chiesa orientata est-ovest, preceduta da un atrio e affiancata sul lato sud da un monastero. Nel complesso, tali edifici abbracciavano un’area di 48 metri di lunghezza da ovest ad est, per 27 metri da nord a sud.
Gli architetti bizantini inserirono all’interno della chiesa gli ambienti naturali formati dalle Grotte: non si tratta di una novità, infatti erano diverse le chiese bizantine, come quella di Tabga o Getsemani, che racchiudevano all’interno le rocce venerate, o come la Natività, costruita attorno alle grotte.
La chiesa era formata da tre navate, di cui quella centrale era chiusa da un’abside semicircolare. Le grotte, almeno due, erano incorporate all’interno della navata di nord e si trovavano a un livello più basso: motivo per cui dalla navata centrale si discendeva alla laterale attraverso scale. In fondo alla navata di sud si trovava un ambiente rettangolare, che è stato interpretato come sacrestia. La chiesa all’esterno era lunga 19,50 metri e, compreso l’atrio, 39,60. La navata centrale aveva una larghezza di 8 metri.
L’atrio che precedeva la chiesa copriva una grande cisterna rimasta in uso fino al 1960 e chiamata comunemente “cisterna della Vergine”. Del monastero restano una fila di stanze, mentre la zona più vicina alla chiesa è stata irrimediabilmente distrutta dagli edifici crociati.
L’aspetto più conosciuto della chiesa bizantina sono i mosaici pavimentali, presenti sia nella zona delle grotte sia nelle navate e nel monastero. Il confronto con alcuni mosaici, orientati verso settentrione, anziché verso est, fece supporre che non tutti fossero stati realizzati per la chiesa bizantina ma che costituissero piuttosto il pavimento di un edificio più antico orientato verso le grotte.
Il mosaico della navata centrale, già notato durante gli scavi di p. Prospero Viaud, è orientato verso nord. Disegna su fondo bianco il monogramma di Cristo racchiuso dentro ad una corona legata in basso con due nastri; nel campo inferiore sono disposte delle croci tra cui una cosmica, con quattro crocette ai lati. Da notare che per l’esecuzione di questo mosaico furono impiegate tessere di dimensioni diverse.
Il mosaico all’ingresso delle grotte fu invece rinvenuto da fra Benedetto Vlaminck, mentre effettuava qualche sondaggio al di là dei muri della cripta settecentesca. Egli trovò, lungo il fianco ovest della Grotta dell’Annunciazione, i resti di un’altra grotta affrescata, che aveva al suo ingresso un mosaico con iscrizione in greco, in cui si cita il diacono Conone di Gerusalemme, quale donatore del mosaico, omonimo del Conone di Nazaret, parente di Gesù, martire nel II secolo. Anche questo mosaico è orientato verso nord, come il mosaico della navata centrale, e disegna un tappeto a riquadri legati da linee diagonali intervallate da rombi; all’interno dei quadrati sono raffigurate croci e altri motivi geometrici. L’iscrizione è situata presso un angolo all’ingresso della grotta detta appunto “di Conone”. In questa grotticella vi è un pavimento che, sempre su sfondo bianco, presenta un riquadro più grande legato con linee diagonali a un riquadro centrale, più piccolo, e affiancato da rombi; anche qui compare il monogramma di Cristo.
I mosaici propriamente realizzati per la chiesa bizantina sono quelli orientati verso est, che si notano nella navata laterale di sud: restano le tracce delle cornici geometriche che dovevano riquadrare l’intera navata. Un mosaico più antico fu successivamente coperto da un secondo. Il mosaico primitivo era con cornice a squame di pesce con all’interno un piccolo fiore, sostituito poi da una cornice più elaborata che presenta un intreccio di cerchi e rombi. Questo secondo mosaico si discosta da tutti gli altri ritrovati, perché molto più elaborato.
All’estremità orientale di questa stessa navata, dentro alla sacrestia, vi sono le tracce di un altro mosaico, sullo stile di quello della navata centrale e della grotta di Conone, con riquadri e rombi su sfondo bianco.
Anche gli ambienti del monastero erano pavimentati con mosaici, conservati soprattutto in due sale attigue, una più piccola e una rettangolare più grande. Nella prima si riscontra una cornice a fascio di corde intrecciate; nella seconda vi è un incrocio di rametti fioriti che formano rombi e una cornice intrecciata sormontata da cerchi, limitata alla parte est della sala. In questa stanza più grande, verso il centro, furono rinvenuti anche i resti di una giara di terracotta infissa nel pavimento.
Quello che rende tutti questi mosaici particolarmente preziosi è la presenza di segni inequivocabilmente cristiani, come le croci semplici, cosmiche e monogrammate. Questo elemento, che ben si conforma allo spazio religioso bizantino, contribuisce a stabilire il "terminus ad quem" entro cui collocare la fattura del pavimento, poiché un decreto di Teodosio II, nel 427 (Cod.Just. i.8.I), interdisse la raffigurazione di croci nei pavimenti.
Il confronto più vicino per i mosaici di Nazaret è quelli della chiesa di Shavei Zion del V secolo, che oltre a presentare la croce conservano delle evidenti somiglianze nei motivi geometrici.
Alla chiesa bizantina appartenevano anche alcuni frammenti architettonici ritrovati negli scavi: ad esempio cinque pulvini in pietra bianca decorati con croci sui fianchi, la cui collocazione era probabilmente tra i capitelli di stile corinzio e l’inizio dell’arco della navata. Sono ritornate alla luce anche sei alte basi di colonne, che probabilmente già appartenevano all’edificio più antico. Diversi altri frammenti appartengono invece alle balaustre che dividevano la navata dal presbiterio: i pilastrini di forma quadrata sostenevano i pannelli in marmo decorati con tralci d’uva, croci e corone e iscrizioni in greco di cui resta qualche frammento.
Secondo p. Bagatti, mettendo insieme gli elementi stilistici e architettonici, la chiesa bizantina si può collocare in un periodo molto vasto che va dall’inizio del V fino al VII-VIII secolo.
Diverse grotte erano scavate nella collina rocciosa che scendeva da nord a sud, usate come parte di abitazioni o per gli impianti produttivi. Tra queste, soltanto due entrarono a far parte del Santuario: una più ampia, venerata per l’Annunciazione, e una più piccola e irregolare conosciuta come la grotta di Conone. Le grotte subirono molte trasformazioni soprattutto in età medievale, quando quella dell’Annunciazione fu ampliata e quella di Conone in parte abbattuta e interrata. Ma è abbastanza plausibile che fin dal loro primo inserimento all’interno del luogo venerato esse fossero già state modificate nella forma.
La grotta dell’Annunciazione oggi si presenta come uno spazio irregolare di metri 5,50 da nord a sud e 6,14 da ovest ad est, con una piccola abside nella parete est. Di età bizantina restano, sul fianco nord, alcuni lacerti di intonaco a più strati, che ricopriva verosimilmente tutta la roccia nuda della Grotta. Molto interessante, nel secondo strato, qualche traccia di graffito con scritte.
La seconda grotta, detta di Conone, anticamente potrebbe essere stata uno spazio memoriale con un bancone rialzato. L’ambiente fu interrato nel medioevo. Sulla parete di est ci sono ben sei strati di intonaco sovrapposti. Oggi è visibile l’intonaco più antico, quello che rappresenta una fascia con piante fiorite e corona e un’iscrizione dipinta in lingua greca. Secondo Bagatti e Testa l’iscrizione dipinta nomina Valeria “serva del Signore Cristo”, che fece “una memoria per la luce”, ossia fece decorare la grotta con la rappresentazione di un Paradiso fiorito in memoria di un martire, forse lo stesso Conone di Nazaret. Nell’intonaco furono graffiti anche una serie di nomi e invocazioni a Cristo; una moneta data questo intonaco più antico alla seconda metà del IV secolo.
La Chiesa Crociata
Con la conquista crociata di Gerusalemme (1099), il Principato di Galilea fu affidato a Tancredi d’Altavilla, che stabilì la capitale a Tiberiade. Il Principato rimase sempre vassallo del Regno di Gerusalemme, assegnato a famiglie originare del nord della Francia e in particolar modo, a partire dal 1120, alla dinastia dei Bures dell’ Île-de-France.
Un vescovo latino di nome Bernardo è già attivo a Nazareth nel 1109-1110, alla testa di un capitolo di canonici regolari che si occupavano del servizio liturgico e dell’accoglienza dei pellegrini. Sotto il vescovo Guglielmo (William: 1125-1129), successore di Bernardo, Nazaret diviene arcidiocesi metropolitana con giurisdizione su tutta la Galilea e con due sedi suffraganee guidate dall’abate del Monte Tabor e dal vescovo di Tiberiade.
La Grotta dell’Annunciazione, fu inglobata in una nuova solenne costruzione e tornò a essere meta di copiosi pellegrinaggi. La prima testimonianza scritta sulla basilica crociata risale al 1106-1107 ed è del pellegrino russo Daniele, che racconta di aver visto elevarsi, nel centro del villaggio, una grande e imponente chiesa, che conservava al suo interno la grotta in cui l’Angelo rivolse l’annuncio a Maria.
Stando alla testimonianza, i lavori per la costruzione dell’imponente basilica iniziarono molto presto, probabilmente grazie alle ricche donazioni che Tancredi fece alla chiesa di Nazaret. La basilica, servita da canonici regolari, era affiancata dal palazzo vescovile e dotata di ospitale per l’accoglienza dei pellegrini e di una ricca biblioteca. Inoltre l’arcivescovo aveva a suo servizio sei cavalieri e circa centocinquanta sergenti. L’arcidiocesi divenne molto ricca tanto da vantare possedimenti dal levantino fino all’Italia del sud, paese che contava, nel 1172, ben sedici chiese facenti capo a Nazaret.
E’ indubbio che la cattedrale di Nazaret, nelle sue forme raffinate, così come dimostrato dai resti archeologici, rispecchiasse il benessere e il prestigio dell’arcivescovado. I crociati, oltre all’Annunciazione, costruirono almeno altre due chiese, quella di San Giuseppe e quella di San Gabriele, che includeva il pozzo in cui Maria, secondo il Protovangelo di Giacomo, incontrò l’Angelo prima di ricevere l’annuncio presso l’abitazione.
Anche se non è verificabile l’entità dei danni che la cittadina subì nel catastrofico terremoto che il 29 giugno del 1170, colpì duramente la Siria e la città di Tiro, è certo che Nazaret fu presa di mira dai saccheggi musulmani che seguirono il terremoto. I nazaretani e i religiosi furono catturati e incarcerati. Nel dicembre dello stesso anno, papa Alessandro III, spinto da un appello di Letardo, Arcivescovo di Nazaret, scrisse ai cristiani della Francia perché prestassero soccorso alla cittadina. Padre Bagatti, che diresse gli scavi di Nazaret, sostenne che anche la chiesa subì i danni del terremoto. Secondo l’archeologo, il sisma fa da spartiacque tra il momento di costruzione e quello di decorazione dell’edificio, resa possibile dal contributo della Francia. Il legame tra Nazaret e la Francia deve essere stato molto stretto, dato che lo stesso stile architettonico e scultoreo con cui la cattedrale venne riccamente decorata è quello francese del XII secolo, in particolare della Borgogna, l'Ile-de-France, il Viennois e la Provenza.
Il pellegrino greco Giovanni Focas del 1177 (o forse del 1185) descrive una grotta dell’Annunciazione mutata rispetto a quella d’inizio secolo e splendidamente decorata. Gli indizi portano a pensare che la costruzione e parte dell’ornamento della cattedrale fossero già terminati entro la fine del secolo e prima degli attacchi saraceni. Nel 1183 gli abitanti di Nazaret furono presi d’assalto per la prima volta dalle truppe di Saladino, che si accamparono sulle alture circostanti costringendo l’intero villaggio a rifugiarsi nella chiesa costruita con possenti mura.
La chiesa servì da fortezza e riparo anche a seguito della disfatta dei corni di Hattin, nel luglio del 1187, quando gli abitanti furono presi d’assedio dall’emiro di Saladino, Muzafar al-Din Kukburi. L’assedio portò alla conquista di Nazaret, allo sterminio dei cittadini e alla profanazione dell’edificio sacro, che però non fu distrutto.
Per circa quarant’anni la città e la sua arcidiocesi rimasero in mano musulmana e solo una serie di tregue e concessioni permisero ai religiosi di riprendere a celebrare nella basilica e di dare ospitalità ai pellegrini.
Nazaret e la via che la collegava ad Acri tornarono formalmente sotto il controllo cristiano nel gennaio del 1229, grazie all’accordo fatto tra Federico II e il Sultano al-Malik al Kamil; il controllo franco della città fu confermato ancora nel 1241, ma pare che l’arcivescovo vi abbia fatto ritorno non prima del 1250.
L’ultima ricca donazione di arredi, paramenti e vestimenti sacerdotali alla cattedrale fu elargita dal re di Francia Luigi IX, che si recò in pellegrinaggio a Nazaret nel marzo del 1251.
Infine, nell’aprile del 1263 la cittadina fu presa d’assalto da uno degli emiri del sultano Baibars: il villaggio fu razziato e l’imponente basilica crociata distrutta per sempre. Risparmiata dalla distruzione, la Grotta dell’Annunciazione rimase fino al 1730 l’unico luogo ancora accessibile ai cristiani del luogo e ai pellegrini, i quali però erano tenuti a pagare una tassa ai guardiani musulmani.
La Chiesa Settecentesca

Nel secolo XVIII, a Nazaret, le comunità cristiane vissero un momento di maggiore tranquillità. Ne è prova il fatto che nel 1730 il Pascià concesse la costruzione di una nuova chiesa sulla sacra Grotta, da realizzarsi in sei mesi, il tempo necessario per il suo pellegrinaggio alla Mecca. Il 15 ottobre 1730 il Custode Pietro da Luri consacrava la nuova chiesa, che finalmente poté accogliere la locale comunità Latina ormai in continua crescita. Il giorno dell’inaugurazione, infatti, fu conferita la cresima a più di cento cattolici. L'accrescimento della comunità spingerà la Custodia a commissionare, nel 1877, l’allungamento della stessa chiesa, grazie al sostegno di padre Cipriano da Treviso, commissario di Terra Santa.
L’edificio aveva un orientamento nord-sud, con la grotta dell’Annunciazione, preceduta da una breve anticamera, inglobata nella cripta sotto il presbiterio. La chiesa fu descritta, nelle cronache di Terra Santa contemporanee, come la più bella posseduta dalla Chiesa Latina in Oriente. Padre Elzear Horn, nel 1742, realizzò diversi disegni che indicano bene la disposizione della Grotta sotto il presbiterio, raggiungibile da una scalinata. Nell’anticamera alla Grotta vi era la Cappella dell’Angelo, con volte a crociera sorrette dalle quattro colonne in granito tutt’oggi visibili. Nell’anticamera, sulla sinistra, c’era l’altare dedicato a San Gabriele. Nella grotta era situato sul fondo l’altare ligneo, riccamente decorato con un dipinto raffigurante l’Annunciazione e, sotto l’altare, il punto esatto dell’Incarnazione, segnalato dalla scritta in argento: “Verbo Caro hic factum est”. Tutte le raffigurazioni settecentesche mostrano la colonna spezzata e quella integra, che da secoli indicano il luogo in cui si trovavano l’Angelo Gabriele e la Vergine durante l’Annuncio. L’ambiente era collegato, da un antico cunicolo, alla grotta chiamata la “Cucina di Maria” e al convento francescano.
La chiesa superiore aveva due altari lungo i fianchi dedicati uno a San Francesco e l’altro a Sant’Antonio da Padova, e due altari laterali nelle zona absidale, dedicati a San Giuseppe, sposo di Maria e a Sant’Anna, madre della Vergine.
La Nuova Basilica
Già alla fine della prima guerra mondiale la Custodia manifestò, a Papa Pio IX, l’idea di costruire un santuario più degno, nel luogo dell’Annunciazione. Diversi anni dopo, nel 1954 si presentò l’occasione propizia: il primo centenario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Per celebrare questa ricorrenza il padre Custode Giacinto Faccio, decise di intraprendere i lavori, che comportarono l’abbattimento di tutte le strutture settecentesche e le indagini archeologiche dei resti antichi.
Il noto architetto Antonio Barluzzi, che aveva realizzato importanti santuari per la Custodia, come il Getsemani, il Tabor e il Dominus Flevit, fu il primo a ricevere l’incarico della progettazione del nuovo santuario. Un articolo con i disegni del suo progetto fu pubblicato sulla rivista di Terra Santa del 1954. Il progetto prevedeva una grande chiesa con pianta centrale, coperta da cupola e affiancata da quattro campanili; era concepita, come la Basilica del Santo Sepolcro, con la Grotta venerata al centro.
La riscoperta dell’antico villaggio e dei resti archeologici dei vari edifici di culto succedutisi nei secoli, manifestava un’antica e ininterrotta venerazione mariana, perciò divenne un elemento indispensabile da considerare nella progettazione del nuovo santuario. Su questa linea era anche la Santa Sede, da cui partì l’invito di conservare al meglio i resti del villaggio antico e delle diverse chiese. Sollecitazione che portò la Custodia a promuovere un nuovo progetto, questa volta affidato all’architetto italiano Giovanni Muzio, su proposta del Padre Custode Alfredo Polidori, che valutò l’esperienza di Muzio nel progettare edifici religiosi, in particolare per i Frati Minori, per i quali a Roma aveva realizzato la chiesa di S. Maria Mediatrice e l’annessa Curia Generalizia.
Le necessità da soddisfare erano diverse: costruire un nuovo santuario mariano che potesse accogliere milioni di pellegrini da tutto il mondo; conservare il più possibile in vista i resti crociati, bizantini e pre-bizantini a testimonianza della lunga venerazione sul luogo; ovviare alle difficili condizioni topografiche dovute al forte declivio del colle; pensare ad un luogo pratico e facilmente gestibile anche da un numero limitato di religiosi e che potesse altresì ospitare le attività della comunità parrocchiale di Nazaret. L’architetto si appassionò talmente al progetto che rinunciò al suo onorario.
Egli concepì una chiesa fondata sulle mura crociate e suddivisa in due livelli, in modo che in quello inferiore, i fedeli potessero fermarsi in preghiera davanti alla grotta dell’Incarnazione del Verbo, in un ambiente semplice ma capiente al tempo stesso, mentre in una grande chiesa superiore si celebrasse la glorificazione di Maria attraverso i secoli e i continenti. Per questo scelse di decorare le pareti con le diverse manifestazioni mariane avvenute in varie regioni del mondo. Muzio pensò anche ad un grande oculo centrale aperto sopra la Grotta, in modo che le due chiese potessero fondersi in un tutt’uno, incoronate da una cupola poligonale a forma di corolla di fiore rovesciata terminante in una lanterna, con la funzione di indicare da lontano, come una stella, il Santo luogo.
Con l’approvazione della Santa Sede i lavori iniziarono e proseguirono senza sosta. La Custodia fece fronte agli ingenti costi dell’opera anche grazie alla generosa risposta di molti donatori che, attraverso le pagine della rivista “La Terra Santa” e il prezioso aiuto dei Commissari di Terra Santa, rimanevano aggiornati sulle fasi di costruzione.
I lavori per la sistemazione del luogo cominciarono nel 1959 e l’accordo con la ditta esecutrice fu firmato nel settembre del 1960. Nel 1964, Papa Paolo VI, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, si recò a visitare il nuovo Santuario ancora in costruzione.
Domenica 23 marzo 1969, dopo otto anni di lavoro, il santuario fu finalmente consacrato alla presenza del Cardinale Gabriele Maria Garrone - l’allora Prefetto della S. Congregazione per l’Educazione Cattolica -, del Patriarca Latino di Gerusalemme S.B. Monsignor Gori, del Ministro Generale dell’Ordine Francescano padre Costantino Koser, del Custode di Terra Santa Rev.mo P. Alfonso Calabrese. I custodi che si alternarono durante la pianificazione e la realizzazione dell’opera furono P. Giacinto Faccio, P. Angelo Lazzeri, P. Alfredo Polidori, P. Lino Cappiello e P. Alfonso Calabrese.
I Francescani a Nazareth
Bonifacio da Ragusa, che fu due volte Custode di Terra Santa, scriveva nel 1567 che circa vent’anni prima i frati stavano a Nazaret, dove custodivano la chiesa dell’Annunciazione e che, a un certo punto, a causa di disordini nel paese, dovettero rifugiarsi a Gerusalemme lasciando le chiavi ad un cristiano del luogo che “fino ad ora custodisce la casa, apre e chiude la chiesa e tiene accese due lampade con l’olio che gli dà il padre Custode”.
Con un firmano -decreto del sultano- ottenuto dal padre superiore di Terra Santa, il 15 giugno 1546 si concede ai francescani di restaurare la loro chiesa di Nazaret. Evidentemente si trattava della chiesa dell’Annunciazione costruita dai Crociati e andata distrutta, tra le cui rovine continuò la venerazione nella grotta. La chiesa, però, non fu restaurata proprio per i continui attacchi contro i cristiani che allontanarono i frati.
Dal 1620 la presenza francescana a Nazaret è ufficiale. In quell’anno il Custode Tommaso Obicini da Novara ottenne dall’Emiro druso di Sidone, Fakhr ad-Din II, la donazione della Grotta venerata. Assicurata la grotta ai francescani, il padre Jacques de Vendôme, un frate di nazionalità francese, coraggioso ed energico, vi rimase a guardia assieme ad altri due confratelli che lo raggiunsero da Gerusalemme. Egli costrì qualche cella provvisoria sulle rovine crociate e un piccolo ambiente adiacente alla Grotta, utilizzato per celebrarvi le funzioni.
A partire dal 1635, con l’uccisione dell’emiro, i frati persero la protezione e i cristiani di Nazaret furono presi di mira dai turchi nei due secoli a seguire: la Grotta fu più volte saccheggiata, spogliata di arredi e danneggiata e i frati picchiati, incarcerati e anche uccisi.
Nel XVII e XVIII secolo si rese ripetutamente necessario l’abbandono del convento di Nazaret e la ritirata forzata all’ospizio francescano di Acco o a Gerusalemme. In particolar modo, nel XVII secolo le estorsioni e i saccheggi da parte del governatore di Safed portarono più volte i frati a chiedere giustizia davanti alla corte Imperiale di Istanbul, sia per riavere in dietro i loro beni, che perché cessassero le estorsioni di denaro e fosse ripristinata la legalità nel paese. Nonostante questo, la tenacia lì porto ad aprire la prima scuola parrocchiale nel 1645 e a dare ospitalità ai pellegrini nell’ospizio allestito tra le semplici celle del piccolo convento. Anche le pellegrinazioni -le processioni legate alle festività religiose-, nonostante venissero ostacolate, partivano da Nazaret alla volta dei vicini luoghi delle memorie evangeliche come Cana e Tiberiade.
Nel 1697, viste le continue difficoltà, i francescani pensarono a una soluzione poter meglio fronteggiare l’instabilità continua. Per questo “presero in affitto” il villaggio di Nazaret e, col tempo, altri tre villaggi poco lontani (Yaffia, Mugeidel e Kneifes). Per mantenere l’affitto i frati dovevano pagare un pesante canone. Questa consuetudine rimase fino al 1770, quando rinunciarono a causa dell’insostenibile tassazione. In pratica, il padre guardiano di Nazaret assumeva l’incarico di funzionario civile e giudiziario, riscuotendo tasse per il Pascià di Saida e per il governatore di Acco. Era una carica paragonabile a quella di Emiro, in altre parole, di Signore del luogo.
Durante l’Ottocento l’impero Ottomano iniziò a risentire delle spinte nazionaliste interne che stavano animando il mondo arabo. Ne conseguì una politica più liberale e riformista del sultano Abdülmecid I, che concesse una maggiore apertura anche verso le diverse espressioni religiose. A Nazaret, ad esempio, nel 1867 i frati poterono aprire il noviziato per la formazione dei giovani religiosi francescani, che fu chiuso nel 1940. Fu un secolo di crescita per tutti: i Latini, che nel 1848 contavano 600 fedeli, entro la fine del secolo erano diventati il doppio. Anche le opere sociali e parrocchiali crebbero: è datata 1842 l’apertura della prima scuola femminile, che affianca le altre che la Custodia stava inaugurando anche e Gerusalemme e Betlemme. Nel 1837 fu costruito un ospizio per i pellegrini, andato distrutto da un terremoto e da un’alluvione. L’attuale Casa Nova, edificata di fronte alla basilica, è del 1896: oltre a ospitare personaggi illustri come Napoleone Bonaparte, la Casa Nova accolse anche numerosi profughi palestinesi della guerra arabo-israeliana nel 1948.
Oggi i francescani vantano a Nazaret una comunità parrocchiale di 5000 fedeli raccolti attorno al Santuario dell’Annunciazione. Il Terra Santa College, la scuola francescana, occupa un ampio edificio collegato al convento e conta circa 800 studenti cristiani e musulmani, favorendo così l’integrazione religiosa. Altre attività sociali sono rivolte agli anziani della casa di riposo e ai disabili che fruiscono di un centro apposito. Inoltre la Custodia ha costruito alcune abitazioni per sostenere i più bisognosi.