I due grandi amori di Papa Wojtyla | Custodia Terrae Sanctae

I due grandi amori di Papa Wojtyla

Ricordi di Lui

“La grandezza è il segno che si addice a Wojtyla” affermava l’amico vaticanista scrittore Domenico del Rio nel “Wojtyla, il nuovo Mosè”, mentre, con intuito profetico, nel “Karol il Grande” pubblicato postumo, il giornalista sottolineava di Giovanni Paolo II “la passione di rivelare al mondo ciò che di più grandioso può esserci sulla terra: l’amore di Dio”.

Possiamo dire che tutta la vita di Papa Wojtyla è stata un canto di amore: per la Chiesa, per l’umanità intera, per la sua amata nazione polacca, ma anche per la creazione e l’universo. Dicendo “universo” penso a Teilhard de Chardin che Giovanni Paolo II cita in parecchi suoi scritti. Lo scienziato e teologo gesuita scriveva: “Oggi un cristiano può dire al suo Dio che lo ama, non soltanto con tutto il corpo e con tutta l’anima, ma con tutto l’universo!”

Ho avuto il piacere di conoscere Giovanni Paolo II da Vescovo e da Cardinale quando, arrivando a Roma dalla sua Polonia, non mancava di recarsi in Segreteria di Stato per conferire con l’allora Sostituto Angelo Dell’Acqua di cui io ero segretario. Dell’Acqua aveva un debole per la Polonia e la Chiesa polacca. Era amico del suo Primate, il cardinale Stefan Wyszynski. Ogni volta che il cardinale giungeva a Roma, normalmente in treno, il Sostituto Dell’Acqua non mancava mai di recarsi personalmente alla stazione Termini per accogliere il Porporato. Era anche un gesto, e quanto mai significativo, della speciale attenzione da parte della Segreteria di Stato nei riguardi della Chiesa polacca in tempi difficili di regime comunista. L’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla fu elevato alla porpora il 26 maggio 1967 assieme al Sostituto Dell’Acqua. Tra i due l’amicizia si rinsaldò.

Ma fu a Bruxelles che io ebbi l’opportunità di conoscere meglio e più da vicino Giovanni Paolo II. E fu durante la sua permanenza di qualche giorno nella sede della Nunziatura dove io vi lavoravo come addetto di quella Rappresentanza pontificia. Il Papa volle recarsi appositamente a Bruxelles i primi di giugno ’95 per elevare agli onori degli altari padre Damiano De Veuster, fiammingo, martire della carità e noto come l’apostolo dei lebbrosi che spese la sua vita nell’assistere i malati di lebbra nell’isola hawaiana di Molokai dove morì, lebbroso tra i lebbrosi, non ancora cinquantenne.

Rammento che la visita del Papa avvenne in un momento di vivace contestazione da parte di intolleranti e insofferenti gruppuscoli del progressismo cattolico. A Giovanni Paolo II si contestavano alcuni recenti documenti vaticani come il netto divieto alle donne di accedere al sacerdozio, provvedimenti disciplinari giudicati eccessivamente severi come la rimozione di Mons. Jacques Gaillot dalla sua diocesi di Evreux in Francia, il centralismo romano…

In Nunziatura non si celava la preoccupazione di eventuali gesti e spiacevoli reazioni lungo i percorsi che la papamobile avrebbe dovuto percorrere per recarsi ai luoghi convenuti per lo svolgimento delle cerimonie e delle visite ufficiali di cortesia. In quell’occasione il Papa non perse la sua abituale serenità di spirito e, come se nulla fosse, condusse e concluse la sua visita in Belgio tutta impostata in piena dimensione pastorale.

Ciò che ci colpì maggiormente durante la sua breve permanenza in Nunziatura fu l’intensità della sua pietà eucaristica, della sua preghiera, manifestazione di profonda e vissuta comunione con Dio. Impressionò il modo con cui si abbandonava alla preghiera; si notò in lui un trasporto direi mistico che lo assorbiva completamente, un atteggiamento raccolto e nello stesso tempo connaturale e spontaneo, espressione di una preghiera convinta e gustata. Quanto succedeva attorno a lui sembrava non toccarlo, non riguardarlo. Di primo mattino lo trovavamo assorto in preghiera nella cappella della Nunziatura. Era edificante osservare da vicino il Pontefice avvolto in un’aura di intensissimo raccoglimento. Ancora si ricorda la veglia di preghiera svolta nella chiesa parrocchiale francescana di Chant d’Oiseau a due passi dalla Rappresentanza pontificia. Il Papa, inginocchiato, immerso in profonda preghiera, il volto trasfigurato e assorto, il capo chino appoggiato a una mano e la corona nell’altra, sembrava che non volesse alzarsi più. Sembrava che avesse occhi e anima per vedere Dio. Come Papa Giovanni XXIII, prima di ogni decisione importante ci pregava sopra e a lungo. Più seria era la decisione da prendere, più prolungata si faceva la sua preghiera. Nei due Papi si verificava perfettamente l’amorevole sintesi tra preghiera e azione.

Un’altra cosa ci impressionò profondamente: la sua fortissima devozione mariana. Lo vedevamo sempre con la corona del santo Rosario in mano, aveva sempre la corona in tasca. Maria è stata il grande amore di un’intera esistenza. Nel suo testamento il Papa metterà in calce le parole Totus Tuus, un’invocazione mariana ripresa dalla preghiera alla Madonna di San Luigi Grignon de Monfort nel suo “Trattato sulla vera devozione a Maria”. I suoi biografi raccontano che quel libro il giovane Karol lo leggeva di notte, nelle pause di lavoro allo stabilimento chimico della Solvay. Quando nel luglio 1958 venne nominato vescovo ausiliare di Cracovia il suo pensiero andò immediatamente a quel Totus Tuus che volle accanto a una grande M mariana nel suo stemma episcopale che lo accompagnò per quasi cinquant’anni. Perfino subito dopo l’intervento di tracheotomia, non riuscendo a parlare scrisse significativamente su un pezzetto di carta: “Ma io sono sempre Totus Tuus”.

Alla Madonna Giovanni Paolo II si è sempre affidato con grande semplicità, con lo spontaneo trasporto di un bimbo per la madre, con l’affettuoso trasporto di un innamorato senza cadere in espressioni infantili o sdolcinate. Sarà al canto del Salve Regina ad accompagnare la modestissima bara che scenderà nel sepolcro, estremo atto di affidamento a Maria del Papa del Totus Tuus. Si racconta che mentre i “sampietrini” lavoravano alla sistemazione della sepoltura, i cardinali e i vescovi presenti recitavano i misteri gloriosi del Rosario. Quel Totus Tuus accompagnava il Papa per sempre. Anche dopo la morte. Eucaristia e Maria: due grandi amori che Papa Wojtyla ha voluto trasmettere e testimoniare a noi che restiamo con l’Enciclica Ecclesia de Eucharistia e la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariæ. Non poteva essere diversamente.

Davanti al piccolo schermo ho rivissuto l’agonia straziante che fu di Giovanni XXIII durata tre giorni, tra assopimenti e sprazzi di lucidità. Ho rivissuto quell’indimenticabile 3 giugno 1963, la visione di quella piazza gremita di gente in preghiera e tutte quelle persone inginocchiate che guardavano verso la finestra del Papa morente che rendevano omaggio a due grandi Pontefici che hanno avvicinato la gente e che la gente li ha amati.

Ora, con negli occhi e nel cuore l’edificante indimenticabile ricordo del Papa che ci ha appena lasciati, siamo colmi di fiducia per il nuovo Pontefice ben sapendo che il Signore, come ha provvidenzialmente inviato Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, ci ha donato Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, uomo da Lui preparato fin dall’eternità per condurre al largo la barca di Pietro.

Fra Marco MALAGOLA OFM