Jaffa-Tel Aviv, 24 dicembre 2010 - veglia di Natale
Un mio caro amico che si definisce ateo afferma con decisione che noi siamo e rimaniamo solamente terra che cammina. Afferma che, scientificamente, la terra si trasforma in frutti che vengono mangiati e trasformati in carne, la nostra carne, in sostanza noi come corpo.
Quante “terre camminanti” percorrono ogni anno in lungo e in largo la Terra Santa? I pellegrini vengono da ogni parte del mondo!
Spesso mi sono venute alla mente questi pensieri quando ho percorso con il pellegrinaggio della comunità indiana cattolica presente in Terra Santa la strada che da Gerusalemme porta a Betlemme l’11 dicembre scorso, nella prima tappa del loro cammino di preparazione verso il Natale, una strada percorsa duemila anni fa da Giuseppe e Maria in attesa che nascesse Gesù. Anche loro, “terre camminanti” di Galilea. Ero con loro, italiano tra gli indiani, a camminare su una terra che non ha visto nessuno di noi nascere e crescere.
Eravamo “terre camminanti” diverse in una terra che non era la nostra, proprio come i re Magi, anche loro provenienti da terre lontane. Padre Jaya, il cappellano dell’OFM che segue questa comunità, continuava a ripeterci che il nostro era un cammino di preparazione fisica, mentale e spirituale. Io, di mio, la preparazione fisica la sentii parecchio in quella prima tappa, soprattutto il giorno dopo, quando le gambe hanno cominciato a ricordarmi la marcia del giorno prima fatta per un buon tratto sotto la pioggia con tutta l’attrezzatura fotografica.
Più che Giuseppe e Maria, mi sentivo l’asinello che li accompagnava. Davanti a quel mistero immenso vecchio di duemila che fa alzare gli occhi al cielo, io pensavo alla “terra che cammina”. Per un brevissimo momento poi, noi terre camminanti, attraversando il checkpoint, siamo stati delle “terre” che hanno unito le due parti: Israele e Palestina. Pensieri di un asino che sotto il peso della fatica guarda in basso, guardare la terra, con il suo andamento lento e poco aggraziato.
La seconda tappa di preparazione di questa comunità è stato il pellegrinaggio dal Campo dei Pastori alla Grotta delle Natività il 18 dicembre. Il cammino più corto ha permesso a molte più famiglie di partecipare. Eravamo quasi mille persone. I pastori, gli ultimi della società, i non considerati e i più poveri sono in primi a ricevere il Lieto Annuncio dagli Angeli. Come non pensare ai tanti immigrati che avevo attorno a me, alle loro vite, alle loro difficoltà. Sono venuti qui a lavorare per vivere spesso in un contesto sociale che osteggia la loro fede. Alcuni di loro mi raccontavano che pregano in bagno nelle case dei loro padroni che non vogliono vedere simboli cristiani.
Noi, “terre camminanti” diverse, in questa terra tanto amata quanto difficile, ci ritrovavamo assieme a capire che quello che sarebbe accaduto da lì a qualche settimana era prima di tutto un Novità per chi è nella difficoltà. Era come se qualcuno ci dicesse “Alzatevi in piedi, sollevatevi dalla terra”. Io mi son sentito da asino quale sono, che sgraziatamente cammina sotto il peso della fatica guardando a terra, di alzare il muso e tentare di sollevare lo sguardo da terra. La festante presenza dei bambini era poi un messaggio di speranza immenso. Un domani diverso è possibile e questi bambini ne sono il segno, come il bambinello che sarebbe nato da lì a poco.
Oggi sono qui a Jaffa per celebrare la messa della veglia di Natale con la comunità indiana. Sono qua con la mia famiglia, mia moglie e i miei figli con questa comunità che oramai è un po’ anche la mia. Siamo lontani dal centro dell’evento che questa sera il mondo guarda. Tutti i riflettori sono puntati su Betlemme. Noi siamo qui nella chiesa di sant’Antonio a Jaffa, tanti lavoratori, tante famiglie, tanti bambini. In quante chiese del mondo si ripeterà la stessa scena.
Eppure è un Natale diverso dagli altri. Sono più di millecinquecento i fedeli radunati sul piazzale. Si celebra fuori dalla chiesa, dentro non ci si sta. Molti vestiti in abiti tradizionali indiani. Le donne, spesso mamme con bimbi in braccio o nel grembo, sono bellissime in quegli abiti colorati.
L’asino che è in me, alza il muso da terra e si sta guardando attorno. Presiede la messa padre Arogia Swami ofm affiancato da padre Praveen Dsovza ofm e dall’immancabile padre Jaya. Nell’omelia in lingua Konkani tradottami da fr Jaya, padre Arogia invita ad una conversione di incarnazione: così come il Verbo di Dio si fa carne nel Bambinello, anche noi che udiamo la Parola dobbiamo farla diventare viva in noi, dandole carne nelle nostre vite di ogni giorno.
Come non pensare alla fatica delle tante famiglie presenti. Festeggiamo la nascita di un bambino piccolo, inerme, che ha bisogno delle cure della sua giovane mamma. Festeggiamo la nascita di un bambino il cui babbo spesso andava in giro per lavoro e la cui famiglia è stata migrante in Egitto. Siamo qua a ricordare che tutta questa tribolazione ha un senso, il cammino ha una direzione.
Siamo a Jaffa, un tutt’uno con Tel Aviv, la capitale del divertimento d’Israele, la città che non dorme mai, a festeggiare un qualcosa in un clima esterno completamente diverso. Siamo qua in una città dove vivono tutti questi lavoratori di origine indiana nei posti più umili, il loro Nazareth. Siamo qua, a pochi passi dal mare il cui odore si sente forte e mi ricorda che appena al di là di quest’acqua c’è la mia terra, l’Italia. Suggestivo quando i sacerdoti verso la fine della celebrazione, portano il bambinello tra la gente che si mette in fila per baciarlo, per baciare l’Emmanuel.
Guardo con ammirazione la devozione di questa moltitudine che si esprime nei loro gesti rituali. Rimango colpito dall’offertorio abbondantissimo e dal taglio della “torta di Natale”. Padre Jaya mi spiega che oggi è il compleanno di Gesù e tutti i bambini nati in Terra Santa vengono benedetti e il più piccolo che ha poche settimane esegue con la mamma il taglio della torta. Alla fine della messa verrà fatta una specie di asta per i poveri e la torta comperata per 4000 NIS che andranno ad aiutare le famiglie che fanno più fatica.
Facciamo la veglia, aspettiamo mezzanotte, aspettiamo la luce. No, caro amico che ti definisci ateo, non siamo solo terra che cammina, siamo molto di più. Cosa siamo? Non chiederlo a me, sono solo un asino! Sento però che c’è qualcosa di più, lo vedo in questa gente. Arriva mezzanotte, il Salvatore ancora una volta viene alla luce, porta la Luce. È proprio quella Luce che fa alzare pesantemente la testa all’asino che ammirato rimane a contemplare un qualcosa che non riesce a descrivere qui, in queste poche righe. Siamo terra che cammina, ma destinata al cielo!
Buon Natale a tutti.
Marco Gavasso
Un mio caro amico che si definisce ateo afferma con decisione che noi siamo e rimaniamo solamente terra che cammina. Afferma che, scientificamente, la terra si trasforma in frutti che vengono mangiati e trasformati in carne, la nostra carne, in sostanza noi come corpo.
Quante “terre camminanti” percorrono ogni anno in lungo e in largo la Terra Santa? I pellegrini vengono da ogni parte del mondo!
Spesso mi sono venute alla mente questi pensieri quando ho percorso con il pellegrinaggio della comunità indiana cattolica presente in Terra Santa la strada che da Gerusalemme porta a Betlemme l’11 dicembre scorso, nella prima tappa del loro cammino di preparazione verso il Natale, una strada percorsa duemila anni fa da Giuseppe e Maria in attesa che nascesse Gesù. Anche loro, “terre camminanti” di Galilea. Ero con loro, italiano tra gli indiani, a camminare su una terra che non ha visto nessuno di noi nascere e crescere.
Eravamo “terre camminanti” diverse in una terra che non era la nostra, proprio come i re Magi, anche loro provenienti da terre lontane. Padre Jaya, il cappellano dell’OFM che segue questa comunità, continuava a ripeterci che il nostro era un cammino di preparazione fisica, mentale e spirituale. Io, di mio, la preparazione fisica la sentii parecchio in quella prima tappa, soprattutto il giorno dopo, quando le gambe hanno cominciato a ricordarmi la marcia del giorno prima fatta per un buon tratto sotto la pioggia con tutta l’attrezzatura fotografica.
Più che Giuseppe e Maria, mi sentivo l’asinello che li accompagnava. Davanti a quel mistero immenso vecchio di duemila che fa alzare gli occhi al cielo, io pensavo alla “terra che cammina”. Per un brevissimo momento poi, noi terre camminanti, attraversando il checkpoint, siamo stati delle “terre” che hanno unito le due parti: Israele e Palestina. Pensieri di un asino che sotto il peso della fatica guarda in basso, guardare la terra, con il suo andamento lento e poco aggraziato.
La seconda tappa di preparazione di questa comunità è stato il pellegrinaggio dal Campo dei Pastori alla Grotta delle Natività il 18 dicembre. Il cammino più corto ha permesso a molte più famiglie di partecipare. Eravamo quasi mille persone. I pastori, gli ultimi della società, i non considerati e i più poveri sono in primi a ricevere il Lieto Annuncio dagli Angeli. Come non pensare ai tanti immigrati che avevo attorno a me, alle loro vite, alle loro difficoltà. Sono venuti qui a lavorare per vivere spesso in un contesto sociale che osteggia la loro fede. Alcuni di loro mi raccontavano che pregano in bagno nelle case dei loro padroni che non vogliono vedere simboli cristiani.
Noi, “terre camminanti” diverse, in questa terra tanto amata quanto difficile, ci ritrovavamo assieme a capire che quello che sarebbe accaduto da lì a qualche settimana era prima di tutto un Novità per chi è nella difficoltà. Era come se qualcuno ci dicesse “Alzatevi in piedi, sollevatevi dalla terra”. Io mi son sentito da asino quale sono, che sgraziatamente cammina sotto il peso della fatica guardando a terra, di alzare il muso e tentare di sollevare lo sguardo da terra. La festante presenza dei bambini era poi un messaggio di speranza immenso. Un domani diverso è possibile e questi bambini ne sono il segno, come il bambinello che sarebbe nato da lì a poco.
Oggi sono qui a Jaffa per celebrare la messa della veglia di Natale con la comunità indiana. Sono qua con la mia famiglia, mia moglie e i miei figli con questa comunità che oramai è un po’ anche la mia. Siamo lontani dal centro dell’evento che questa sera il mondo guarda. Tutti i riflettori sono puntati su Betlemme. Noi siamo qui nella chiesa di sant’Antonio a Jaffa, tanti lavoratori, tante famiglie, tanti bambini. In quante chiese del mondo si ripeterà la stessa scena.
Eppure è un Natale diverso dagli altri. Sono più di millecinquecento i fedeli radunati sul piazzale. Si celebra fuori dalla chiesa, dentro non ci si sta. Molti vestiti in abiti tradizionali indiani. Le donne, spesso mamme con bimbi in braccio o nel grembo, sono bellissime in quegli abiti colorati.
L’asino che è in me, alza il muso da terra e si sta guardando attorno. Presiede la messa padre Arogia Swami ofm affiancato da padre Praveen Dsovza ofm e dall’immancabile padre Jaya. Nell’omelia in lingua Konkani tradottami da fr Jaya, padre Arogia invita ad una conversione di incarnazione: così come il Verbo di Dio si fa carne nel Bambinello, anche noi che udiamo la Parola dobbiamo farla diventare viva in noi, dandole carne nelle nostre vite di ogni giorno.
Come non pensare alla fatica delle tante famiglie presenti. Festeggiamo la nascita di un bambino piccolo, inerme, che ha bisogno delle cure della sua giovane mamma. Festeggiamo la nascita di un bambino il cui babbo spesso andava in giro per lavoro e la cui famiglia è stata migrante in Egitto. Siamo qua a ricordare che tutta questa tribolazione ha un senso, il cammino ha una direzione.
Siamo a Jaffa, un tutt’uno con Tel Aviv, la capitale del divertimento d’Israele, la città che non dorme mai, a festeggiare un qualcosa in un clima esterno completamente diverso. Siamo qua in una città dove vivono tutti questi lavoratori di origine indiana nei posti più umili, il loro Nazareth. Siamo qua, a pochi passi dal mare il cui odore si sente forte e mi ricorda che appena al di là di quest’acqua c’è la mia terra, l’Italia. Suggestivo quando i sacerdoti verso la fine della celebrazione, portano il bambinello tra la gente che si mette in fila per baciarlo, per baciare l’Emmanuel.
Guardo con ammirazione la devozione di questa moltitudine che si esprime nei loro gesti rituali. Rimango colpito dall’offertorio abbondantissimo e dal taglio della “torta di Natale”. Padre Jaya mi spiega che oggi è il compleanno di Gesù e tutti i bambini nati in Terra Santa vengono benedetti e il più piccolo che ha poche settimane esegue con la mamma il taglio della torta. Alla fine della messa verrà fatta una specie di asta per i poveri e la torta comperata per 4000 NIS che andranno ad aiutare le famiglie che fanno più fatica.
Facciamo la veglia, aspettiamo mezzanotte, aspettiamo la luce. No, caro amico che ti definisci ateo, non siamo solo terra che cammina, siamo molto di più. Cosa siamo? Non chiederlo a me, sono solo un asino! Sento però che c’è qualcosa di più, lo vedo in questa gente. Arriva mezzanotte, il Salvatore ancora una volta viene alla luce, porta la Luce. È proprio quella Luce che fa alzare pesantemente la testa all’asino che ammirato rimane a contemplare un qualcosa che non riesce a descrivere qui, in queste poche righe. Siamo terra che cammina, ma destinata al cielo!
Buon Natale a tutti.
Marco Gavasso