At 13,44-52; Sal 97; Gv 14,7-14
1. Reverendissima Madre Vitaliana, Carissime Suore Francescane del Cuore di Gesù, carissimi fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
C’è una parola molto breve, di appena sei lettere, una parola che spesso facciamo fatica a pronunziare e che è così importante nella nostra vita, è la parola “grazie”.
Oggi siamo insieme a celebrare, qui in chiesa attorno alla mensa eucaristica e poi in refettorio attorno alla mensa della fraternità, semplicemente per dire “grazie”.
Grazie anzitutto al Signore, altissimo, onnipotente e buono, per aver donato - attraverso di voi - al nostro Convento di san Salvatore, alla nostra infermeria e al cuore della Custodia che è il Santo Sepolcro, la presenza di sorelle e madri che per quasi 40 anni hanno condiviso la nostra vita e la nostra missione qui a Gerusalemme.
In secondo luogo, grazie a voi, care Suore Francescane del Cuore di Gesù, per tutto quello che avete fatto in questi anni a sostegno di questa nostra fraternità, per il bene dei nostri fratelli infermi e anche per aiutarci a mantenere decorosi gli altari sui quali quotidianamente si celebra nel luogo più santo di tutta la cristianità, cioè al Santo Sepolcro.
2. Tutti noi comprendiamo bene che questo grazie che stiamo dicendo ora nel modo più solenne, attraverso l’Eucaristia e che poi diremo anche nella modalità più fraterna, cioè attraverso la condivisione della mensa, è un grazie velato anche da una certa malinconia, perché è il grazie prima di una partenza, al termine di una missione che si è compiuta.
Sappiamo e comprendiamo bene che nel momento in cui una nuova missione si apre ci sono tanti sogni e speranze, c’è trepidazione nel cuore, ma anche la gioia dei nuovi inizi. E sappiamo altrettanto bene che nel momento in cui una presenza si chiude sentiamo una fitta nel cuore e ci sembra un po’ di morire. Lo abbiamo sperimentato tante volte pure noi frati della Custodia, non solo nei secoli passati, quando abbiamo dovuto chiudere presenze a noi care perché toccati dalla persecuzione, ma anche negli ultimi decenni, quando abbiamo dovuto chiudere presenze secolari perché non avevamo più le forze sufficienti per continuare.
Fa parte della vita delle persone ma anche delle famiglie e delle istituzioni lo sperimentare le varie fasi della vita, quelle in cui la vita cresce e quelle in cui le forze calano.
3. Cosa possiamo fare e cosa siamo chiamati a fare in questi momenti e in queste stagioni che, ripeto, appartengono all’esperienza personale, ma anche a quella delle nostre Province e dei nostri Istituti?
Credo che il tempo pasquale in cui ci troviamo e il Vangelo di quest’oggi ci diano alcune indicazioni preziose.
Il tempo pasquale ci invita a leggere tutto alla luce della Pasqua di Gesù. Spesso lo predichiamo agli altri, a qualcuno lo diciamo magari sotto forma di consiglio, ma poi occorre che lo diciamo anche a noi stessi!
Leggere tutto alla luce della Pasqua di Gesù vuol dire leggere la nostra esistenza personale alla luce del saperci di passaggio. San Francesco ama citare l’espressione della Prima Lettera di san Pietro e della Lettera agli Ebrei in cui ci viene ricordato che siamo “pellegrini e forestieri in questo mondo”. Siamo di passaggio in questo mondo e anche nei luoghi di questo mondo. Lo siamo noi, lo sono anche le istituzioni alle quali apparteniamo.
E pur amando questa Gerusalemme di quaggiù, sappiamo che “la nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20) e che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13,14).
Amiamo questa Gerusalemme terrena nella quale ci viene dato la grazia di vivere la nostra vocazione e di servire il regno di Dio per qualche tempo, ma sappiamo che la Gerusalemme nella quale desideriamo e potremo rimanere per sempre è quella di cui ci parla l’Apocalisse, quella in cui l’unica occupazione è la lode di Dio nella comunione con tutta l’umanità e tutte le creature, in un contesto di cieli nuovi e terra nuova, senza più tensioni, conflitti, lacrime, malattie, sofferenza e morte.
4. Il Vangelo di oggi poi, ambientato durante l’ultima cena e in un momento in cui emerge la tristezza e il turbamento degli apostoli perché Gesù parla della sua dipartita, ci invita a fissare il volto di Gesù, ci invita a rivolgerci a Lui con fiducia, sapendo che attraverso di Lui possiamo vedere il Padre e scoprire che il Padre è glorificato nel Figlio proprio nel momento in cui il Figlio dona la propria vita per amore nostro, e dell’umanità intera.
Nel turbamento e nella tristezza che può accompagnare un passaggio come questo, è bene rileggere non solo questi pochi versetti, ma tutto il capitolo quattordicesimo di Giovanni, con le parole di Gesù che sono molto dirette: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,1-3).
Occorre saper leggere nelle parole di Gesù quel messaggio che ci invita a non restare intrappolati nella mentalità umana che vede con turbamento, solo un lato del mistero pasquale. Bisogna invece vedere anche il frutto promesso di quel mistero, di quell’accettare di morire, di quel dare la vita: “In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò” (Gv 14,12-14).
5. Concludo ritornando alla parola con cui ho cominciato questa omelia: “Grazie”.
Noi frati minori della Custodia di Terra Santa, in questa Eucaristia diciamo grazie al Padre per il dono del suo Figlio Gesù, ma anche per il dono che siete state voi, carissime sorelle e le sorelle che qui vi hanno preceduto e già hanno lasciato questo luogo per ragioni di età o di salute.
Noi frati minori della Custodia di Terra Santa, in questa Eucaristia diciamo grazie anche a voi per tutto quello che siete state per noi e per la nostra missione qui a Gerusalemme nel corso di questi quasi 40 anni.
Ma, nonostante e forse proprio perché questo è un momento velato da tristezza, vi invito care sorelle, ad avere una memoria riconoscente di quello che il Signore vi ha donato in questi quasi 40 anni vissuti a pochi passi dal Luogo della Pasqua.
E che si possa realizzare per voi e per noi, quello che abbiamo chiesto come preghiera nella colletta che ha preceduto le letture: “Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi il mistero della Pasqua, perché, con la tua protezione possiamo portare molto frutto e giungere alla pienezza della gioia eterna, non per noi stessi, ma per Cristo nostro Signore”. Amen.