Ho aderito alla vera dottrina

Ho aderito alla vera dottrina

Giustino: Gd 1,17.20-25; Sal 62; Mc 11,27-33

Carissime sorelle e carissimi fratelli, il Signore vi dia Pace!

Siamo ormai al termine di un anno accademico particolarmente importante per vari motivi: perché siamo nell’ottavo centenario del dono delle stimmate al Serafico Padre, perché siamo nel centenario di fondazione dello Studio Biblico Francescano, perché oggi è la memoria liturgica di san Giustino martire, palestinese di Nablus e filosofo.

Tutte queste ricorrenze, lette alla luce della Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato illuminano anche il bilancio di fine anno accademico, sia quello dei docenti sia quello degli studenti.

Come ci suggerisce il Salmo responsoriale, tutto il senso della nostra vita è nella ricerca di Dio. È di Lui che abbiamo sete come terra riarsa perché sappiamo che il suo amore vale più della vita. L’ottavo centenario delle stimmate ci ricorda che la ricerca del nostro fondatore è durata per tutta la vita e che è stata una continua ricerca del Signore motivata dall’amore misericordioso sperimentato fin dalla giovinezza e motivata dal desiderio di riuscire a rispondere all’amore con l’amore. Quando Francesco prega sul monte della Verna, la notte al termine della quale riceverà le stimmate, chiede la scientia crucis: «O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch’ io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori» (Terza Considerazione sulle stimmate: FF 1919).

E dopo aver ricevuto il dono delle stimmate ed essere perciò entrato anche fisicamente nella comprensione della scientia crucis, commenta Bonaventura: “Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato. […] Perciò l’uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava con sé l’effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente” (Bonaventura, Leggenda Maggiore, XIII,5: FF 1228)”.

Al termine di questo anno accademico è allora bene chiedersi: è cresciuta la mia comprensione esistenziale del mistero del Cristo Crocifisso e Risorto? Lo studio di quest’anno mi ha portato a una crescita nell’amore che trasforma l’amante nell’amato? Diversamente, da un punto di vista puramente francescano, anche se avessimo ottenuto i massimi risultati nell’insegnamento o nello studio avremmo perso tempo.

Tutta la nostra vita è un continuo render ragione della nostra fede. Lo stesso Gesù è continuamente sottoposto a domande che spesso i suoi avversari gli fanno per metterlo in difficoltà. Gesù non si sottrae al confronto né nel passo che abbiamo appena letto, né nei vari interrogatori ai quali sarà sottoposto fino alla fine, fino al tribunale del sinedrio e a quello di Pilato. Ma Gesù risponde spesso a domanda con domanda, e provoca i suoi interlocutori a uscire da prospettive di ricerca che banalizzano il suo mistero, la sua persona e la Parola di Dio.

Il filoso Giustino, di cui oggi celebriamo la memoria liturgica, è – in questo e in molto altro – un discepolo esemplare. Al prefetto Rustico che gli chiede: “«Quale dottrina professi?». Giustino risponde: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani, sebbene questa non trovi simpatia presso coloro che sono irretiti dall’errore». Al che Rustico replica: «Sei dunque cristiano?». Giustino risponde: «Sì, sono cristiano».

Il prefetto allora incalza Giustino: «Ascolta, tu che sei ritenuto sapiente e credi di conoscere la vera dottrina; se dopo di essere stato flagellato sarai decapitato, ritieni di salire al cielo?». Giustino risponde: «Spero di entrare in quella dimora se soffrirò questo. Io so infatti che per tutti coloro che avranno vissuto santamente, è riservato il favore divino sino alla fine del mondo intero»” (Cfr. «Atti del martirio» dei santi Giustino e Compagni, Cap. 1-5; cfr. PG 6, 1366-1371). Alla fine, Giustino non si limiterà a professare la sua fede in Gesù Cristo ma testimonierà la sua fedeltà, cioè il suo amore a Gesù Cristo e morirà martire.

Anche questo secondo spunto di riflessione dovrebbe portarci a riflettere sul nostro modo di studiare e di insegnare. Per il filosofo Giustino è chiaro che il centro della sua filosofia, cioè della sapienza che ha certato per tutta la vita, è Gesù Cristo, ed è altrettanto chiaro che questo lo rende disponibile a testimoniare fino al martirio. A noi che siamo stati chiamati per divina ispirazione a vivere “tra i saraceni” san Francesco dice: “E tutti i frati, dovunque sono, si ricordino che hanno donato se stessi e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: «Colui che perderà l’anima sua per me, la salverà per la vita eterna» (Cfr. Lc 9,24.; Mt 25,46)” (Cfr Rnb XVI,10-11: FF 45).

Lo studio di qualsiasi materia teologica o profana, così come la carriera accademica di un frate minore non sono finalizzati ad avere titoli e diplomi da esporre o fama di cui gloriarsi, ma sono finalizzati semplicemente a rendere testimonianza a Gesù Cristo e a donare se stessi per lui, se necessario anche attraverso il martirio.

È bello e significativo allora riascoltare l’ammonimento della lettera di san Giuda: “Voi, o carissimi, ricordatevi delle cose che furono predette dagli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo.

Costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede, pregate nello Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna.

Siate misericordiosi verso quelli che sono indecisi e salvateli strappandoli dal fuoco; di altri infine abbiate compassione con timore, stando lontani perfino dai vestiti, contaminati dal loro corpo.

A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e colmi di gioia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e per sempre. Amen” (cfr Gd 1,17.20-25).

Da 100 anni lo Studio Biblico Francescano cerca di offrire un’esperienza di studio fondata sul far memoria e approfondire l’insegnamento degli Apostoli attraverso lo studio della Sacra Scrittura e dell’ambiente biblico.

Da 100 anni lo Studio Biblico Francescano si distingue anche come una comunità religiosa di studiosi e non semplicemente una comunità di accademici. Uno dei nostri grandi della ricerca biblica archeologica, p. Bellarmino Bagatti, così scriveva nel 1975 al Provinciale di p. Virginio Ravanelli, che si sentiva non all’altezza del suo compito alla Flagellazione: “Egli potrà fare molto bene perché è colto e studioso”. Subito dopo aggiungeva: “P. Ravanelli è un religioso esemplare, sotto ogni rispetto, e qui ci bisogna proprio dei Padri del suo stampo. Come Lei sa è una casa di formazione e vogliamo che gli studenti si occupino di pregare e di studiare per prepararsi all’apostolato di domani”.

Che il Signore vi doni la grazia di continuare ad essere una comunità di vita e di studio, che possiate – come scrive san Francesco a sant’Antonio – studiare e insegnare “la sacra teologia ai frati, purché in questa occupazione voi non estinguiate lo spirito dell'orazione e della devozione, come sta scritto nella Regola” (LAnt 2: FF 252).

Così sia.