Manteniamo ferma la professione della nostra fede - Let us keep firm the profession of our faith | Custodia Terrae Sanctae

Manteniamo ferma la professione della nostra fede - Let us keep firm the profession of our faith

Professione solenne - Solemn Profession

Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

  1. Carissime sorelle, carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace!

Carissimi fra George, Aubin, Luc, Jean, Vianney e Antonios,

come abbiamo cantato all’inizio della celebrazione lo Spirito Creatore venga e visiti le vostre menti e riempia i vostri cuori e, – come ci suggerisce san Francesco in una sua preghiera (LOrd FF 233) – vi purifichi, vi illumini e vi accenda interiormente, perché possiate seguire le orme del Signore nostro Gesù Cristo, e giungere al Padre. Questa è la nostra vita!

La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato ci aiuta a comprendere il senso del passo che oggi voi fate e illumina anche il vostro cammino futuro: voi potete professare di vivere il Vangelo e impegnarvi in una relazione personale di totale e piena appartenenza al Signore Gesù Cristo perché Lui ha già condiviso la nostra vita e ci ha messi in grado di accostarci a Lui e di seguirlo con fiducia. Lui è la nostra forma di vita e ci mette in guardia anche da un modo sbagliato di interpretare la chiamata a seguirlo.

  1. Bisogna prima di tutto che scopriamo quello che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, ha fatto per noi.

In tutte e tre le letture che abbiamo ascoltato ci viene detto a chiare lettere che il Figlio di Dio, il Cristo, che si è incarnato e rivelato in Gesù di Nazareth, ha vissuto in modo pieno la nostra umanità e l’ha fatto per introdurci nella vita stessa di Dio. Ci dice la Lettera agli Ebrei: “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). La conseguenza è che possiamo accostarci a Lui con piena fiducia per trovare grazia e misericordia ed entrare con Lui nei Cieli, cioè nella comunione con Dio e nella vita stessa di Dio.

La nostra vocazione francescana consiste perciò, ci direbbe santa Chiara d’Assisi, nell’accogliere “Il Figlio di Dio che si è fatto nostra via, così come ce l’ha indicato Francesco d’Assisi vero amante e imitatore di Lui” (TestSCh 1).

  1. Io non so se ci rendiamo conto di quella che è la grandezza, la bellezza e la profondità della nostra vocazione. Confesso onestamente che quando ho fatto la professione solenne 35 anni fa, ed ero un giovane frate di 23 anni, ero molto meno cosciente di oggi di cosa significa accogliere e abbracciare questa chiamata nella sua bellezza e profondità, così come ero meno cosciente di quali sarebbero state le fatiche e le prove da affrontare. Eppure bellezza e fatiche, grandezza e prove, tutto questo fa parte della nostra chiamata a seguire la vita e le orme del Figlio di Dio incarnato, per imparare a diventare autenticamente umani.

Uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, Giuseppe Ungaretti, in una sua poesia ha salutato Gesù Cristo con queste parole: “Cristo pensoso palpito, / Astro incarnato nell'umane tenebre, / Fratello che t'immoli / perennemente per riedificare / umanamente l'uomo” (G. Ungaretti, Mio fiume anche tu).

Se vogliamo comprendere il senso di una vita autenticamente umana e se vogliamo vivere una vita autenticamente umana non abbiamo altra via se non quella di seguire Gesù Cristo, di identificarci con Lui, di essere disponibili a bere il calice che Lui ha bevuto, e di arrivare a dare la vita attraverso il servizio, anziché cercare onore e gloria attraverso il potere, l’apparire e il farsi servire. La vera gloria la troviamo solo assieme a Lui, è la gloria di una vita donata per amore, è la gloria della croce, della sua croce e della nostra croce quotidiana.

  1. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato poco fa ci viene detto anche qual è l’insidia più pericolosa per chi è chiamato a seguire Gesù Cristo: è quella di considerare la nostra vocazione in termini di onore, successo e potere umano. Giacomo e Giovanni chiedono di poter sedere uno alla destra e uno alla sinistra nel Regno di Dio e pensano a un onore umano, quello di avere i posti più importanti accanto a Gesù. Gli altri 10 si sdegnano con loro perché sono stati battuti sul tempo: avrebbero voluto chiedere anche loro lo stesso onore, ma sono stati meno veloci dei due figli del tuono.

Cari giovani confratelli che oggi fate la vostra bella professione di “osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (Rb I,1), nella nostra vita è molto facile cominciare con il proposito di seguire Gesù in modo radicale, disposti perfino a dare la vita e poi via via rimangiarsi tutto.

  1. È molto facile rimangiarsi l’impegno di obbedienza, che è l’impegno a fidarsi. Lo facciamo quando cominciamo a negoziare questo e quello, facendo il muso al Maestro, al Guardiano e poi anche al Custode o al Ministro provinciale se non ci concede quello che chiediamo. L’obbedienza deve portarci a crescere nella disponibilità personale, deve portarci a fare volentieri ciò di cui c’è bisogno, anche quando si tratta di tappare un buco! Altrimenti avremo capito poco dell’obbedienza di Gesù, che lo ha portato a svuotarsi del suo essere Dio per diventare uomo e lo ha portato ad abbandonarsi nelle mani del Padre sulla croce, non su un cuscino di piume. L’autore della Lettera agli Ebrei dice che “pur essendo Figlio, tuttavia imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8).
  1. È molto facile rimangiarsi anche l’impegno di povertà. A me torna spesso alla mente la valigia di cartone con la quale sono entrato in seminario minore nel 1974 e con la quale sono andato anche al noviziato nel 1982. Ci stava dentro tutto quello di cui avevo bisogno, compresi gli scarponi. Poi non bastava più. Dopo essere andato a studiare avevo bisogno del pullmino per poter fare il trasloco da un convento all’altro. Grazie a Dio i frequenti traslochi imposti dall’obbedienza mi hanno riportato all’essenziale. Oggi fate voto di vivere “sine proprio” per sempre, allenatevi a spogliarvi ogni giorno di qualcosa. Provate a pensare a cosa siete più attaccati, e cominciate a liberarvene. Tutta la nostra vita dev’essere un cammino di spogliazione perché il giorno del nostro transito, la morte ci sarà sorella solo se avremo imparato a rimanere nudi sulla nuda terra, come san Francesco. Impariamo a essere poveri materialmente e impariamo a spogliarci anche interiormente, delle pretese, delle ambizioni, dei pregiudizi, delle maschere, della permalosità, dei condizionamenti delle nostre culture di provenienza, dei legami con la famiglia, e di tutto il resto…
  1. È molto facile anche rimangiarsi l’impegno di vivere casti, che è l’impegno ad amare il Signore con cuore indiviso e a tenerlo come il vero bene, l’unico bene, il sommo bene, il vero amore, l’unico amore, il sommo amore della nostra vita. Non ci rimangiamo il voto di castità solo se commettiamo mancanze nella sfera della sessualità, in modo reale, con la fantasia, o in modo virtuale: ci rimangiamo il voto di castità se smettiamo di amare Gesù Cristo al di sopra di ogni altra realtà e persona e ci rimangiamo il voto di castità quando smettiamo di amare i nostri fratelli e sorelle con cuore puro e cominciamo a cercarli per riempire il vuoto del nostro cuore, o cominciamo a cercarli per usarli anziché per servirli.
  1. Carissime sorelle e carissimi fratelli, preghiamo per questi giovani perché siano sinceri e perseveranti nel proposito di seguire Gesù nella via del servizio e fino al dono della propria vita. E preghiamo perché altri giovani si sentano attratti a seguire Gesù nella vita consacrata sia maschile che femminile.

Carissimi giovani confratelli, che oggi fate la vostra professione solenne davanti a tutta la Chiesa, vi auguro che possiate davvero, al termine della vostra esistenza terrena, incontrare il Dio uno e trino, bellezza infinita, ed essere trasfigurati nella sua luce e vivere nella pienezza del suo amore per sempre. Amen.

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Is 53: 10-11; Sal 32; Heb 4: 14-16; Mk 10: 35-45

  1. Dear Brothers and sisters,

May the Lord give you peace!

Dear Brothers George, Aubin, Luc, Jean, Vianney and Antonios,

As we sang at the beginning of this celebration, in the “Veni Creator Spiritus” may that Same Spirit come and visit your minds and fill your hearts and - just as St. Francis reminds us in one of his prayers (LOrd 50-52) - may He inwardly cleanse, interiorly enlighten and inflame you, so that you may be able to follow in the footsteps of our Lord Jesus Christ, and come to the Father. This is our life!

The Word of God that we have just heard helps us to understand the meaning of the step you are taking today and also illuminates your future path: You will profess to live the Gospel and commit yourselves to a personal relationship of totality and in fullness to belong to the Lord Jesus Christ because He has already shared our life and has enabled us to draw close to Him and to follow Him with confidence. He is our form of life, and He also warns us of wrong ways of interpreting the call to follow Him.

  1. We must first of all discover what the Son of God, Jesus Christ, has done for us.

In all three of the readings we have heard today, we are told clearly that the Son of God, Jesus Christ, who became incarnate and revealed in Jesus of Nazareth, lived our humanity to the full and did it to introduce us to the very life in God. The Letter to the Hebrews tells us: “For we do not have a high priest who does not know how to share in our weaknesses: He Himself was tested in everything like us, except sin” (Heb 4,15).

The consequence is that we can approach Him with full confidence to find grace and mercy and to enter with Him into heaven, that is, into communion with God and into the very life of God. Our Franciscan vocation therefore consists, as St. Clare of Assisi tell us, in welcoming “the Son of God who made Himself our guide, as Francis of Assisi, showed us, a true lover and imitator of Him” (Test SCh 1).

  1. Do we truly realize the greatness, the beauty and the depth of our vocation? I honestly confess that when I made my solemn profession 35 years ago, as a young 23-year-old friar, I was much less aware than today of what it means to welcome and embrace this call in its beauty and depth, just as I was less aware of what would be the hardships and trials to be faced. Yet beauty and fatigue, greatness and trials, are all parts of this call to follow the life and footsteps of the Incarnate Son of God, also a call to learn how to become authentically human.

One of the greatest Italian poets of the twentieth century, Giuseppe Ungaretti, in one of his poems, greeted Jesus Christ with these words: “Christ pensive heartbeat, / aster incarnate in human darkness, / Brother who immolates you / perennially to rebuild / humanly the human person”(G. Ungaretti, My river too).

If we want to understand the meaning of an authentically human life and if we want to live an authentically human life, we have no other way than to follow Jesus Christ, to identify with Him, to be available to drink the cup that He drank, and to arrive to give life through service, rather than seeking honour and glory through power and being served. True glory is found only when we are united to Him. It is the glory of a life given in love, and it is the glory of the Cross, of His Cross and of our own daily Cross.

  1. In the Gospel we heard a little while ago we are also told what is the most dangerous pitfall for those called to follow Jesus Christ: is that of considering our vocation in terms of honour, success and human power. James and John ask to be able to sit one on the right and one on the left in the Kingdom of God and they were thinking of a human honour, that of having the most important places next to Jesus. The other ten are indignant with them because they have been forged by time: they wanted to ask for the same honour too, but they were slower than the two sons of thunder.

My dear young confreres, you who to-day are making your wonderful profession of “observing the Gospel of our Lord Jesus Christ, living in obedience, without anything of your own and in chastity” (Rb I,1), in our life it is very easy to begin with a firm purpose to follow Jesus in a radical way, even willing to give our lives and then gradually to go back on everything we have promised.

 

  1. It is very easy to repudiate the commitment to obedience, which is the commitment to trust. We do it when we begin to negotiate this and that: for example, “pulling a face” at the Master, the Guardian, the Custos or the Minister Provincial if he does not grant us what we ask. Obedience must lead us to grow in personal availability; it must lead us to willingly do what is needed, even when it comes to simply “plugging a hole”! Otherwise we will have understood little of Jesus’ obedience, which led Him to empty Himself of His being God to become man and led him to abandon Himself into the hands of the Father on the Cross, not on a feather pillow! The author of the Letter to the Hebrews says that “although He was a Son, He nevertheless learned obedience from the things He suffered” (Heb 5:8).
  1. It is also very easy repudiate the commitment to poverty. I often remember the cardboard suitcase with which I entered the minor seminary in 1974 and with which I also went to the novitiate in 1982. It contained everything I needed, even including my boots! Then, as time passed, it was no longer big enough. After going to study, I needed the minibus to be able to move from one friary to another. Thank God the frequent removals imposed by obedience have brought me back to the essentials. Today you make a vow to live “sine proprio”: always train yourselves to strip yourselves of something unnecessary every day. Try to think about what you are most attached to, and start getting rid of it. Our whole life must be a journey of self-denial because on the day of our passing from this life, death will be our sister only if we have learned to remain naked on the bare earth, like St. Francis. We learn to be materially poor and we learn to strip ourselves also internally, of the pretensions, ambitions, prejudices, masks, impatience, conditioning of our cultures of origin, ties with the family, and everything else that is unnecessary ...
  1. It is also very easy to repudiate our commitment to live chaste lives, which is the commitment to love the Lord with an undivided heart and to keep Him as the true good, the only good, the highest good, the true love, the only love, and the highest love of our life. We do not renounce the vow of chastity only if we commit faults in the sphere of sexuality, in a physical way, in our thoughts and imaginations, or in a virtual way: We lose the sense of the vow of chastity if we stop loving Jesus Christ above every other reality and person. We repudiate the vow of chastity when we stop loving our brothers and sisters with a pure heart and start looking at them to fill the emptiness of our heart, or we start looking at them to use them rather than to serve them.
  1. Dear brothers and sisters let us pray for these young people to be sincere and to persevere in their resolve to follow Jesus in the way of service and to the point of giving their own life. Let us pray that other young people will feel attracted to follow Jesus in both male and female consecrated life.
  1. My dear young confreres, who today make your solemn profession before the whole Church, I hope that you will truly, at the end of your earthly existence, meet the Triune God, infinite beauty, and be transfigured in His light and live in the fullness of His love forever. Amen.