At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
1. Reverendissima Madre, Carissime sorelle che oggi dite il vostro “sì” definitivo alla chiamata del Signore, carissimi fratelli e sorelle presenti a questa professione, il Signore vi dia Pace!
Ciò che stiamo celebrando è una consacrazione religiosa femminile, che è paragonabile a una celebrazione nuziale, a un matrimonio. Infatti dopo la formula di professione e la benedizione avviene il rito che meglio aiuta a comprendere quello che stiamo celebrando, ed è il rito tipicamente nuziale della consegna dell’anello, con la formula molto bella: “Sposa dell’eterno Re, ricevi l’anello nuziale e custodisci integra la fedeltà al tuo Sposo perché egli ti accolga nella gioia delle nozze eterne”.
Carissime giovani sorelle che fate oggi la vostra professione definitiva, ricordate questo anzitutto: la vostra professione solenne è in realtà una solenne, pubblica, definitiva e sponsale dichiarazione d’amore a Gesù Cristo.
Lasciamoci allora aiutare dalla Parola di Dio di questa domenica a capire la portata e il senso di questa dichiarazione d’amore.
2. Le letture di questa domenica ci offrono molti spunti sui quali fermarci a riflettere. La lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, ad esempio, potrebbe aiutarci a riflettere sul fatto che la nostra vocazione ha bisogno di essere sostenuta dall’adesione a una regola di vita e a delle norme molto concrete, che ci aiutano poi a orientare le nostre scelte quotidiane. Il brano dell’Apocalisse potrebbe aiutarci ad approfondire il fatto che la nostra vita consacrata è già un segno di quello che sarà l’umanità nuova, nella Gerusalemme celeste, dove la comunione si attinge all’Agnello immolato, cioè al Cristo morto e risorto per noi, che inaugura la nuova creazione e illumina un’esperienza di comunione, un’esperienza di fraternità universale e di vita dedicata alla lode.
Ma dopo aver letto e riletto queste letture, e dopo aver letto più volte da cima a fondo i testi del rito della professione sento che è importante sottolineare soprattutto ciò di cui ci parlano i primi versetti del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, cioè il mistero dell’amore gratuito che ci fa diventare dimora di Dio.
3. Fermiamoci perciò a riflettere solo sul mistero della nostra vocazione come relazione di amore con Gesù. Le parole che troviamo nel capitolo 14 del Vangelo secondo Giovanni sono illuminanti: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Questo avviene già il giorno del nostro battesimo, che è il momento misterioso in cui, attraverso il Sacramento, rinasciamo dall’acqua e dallo Spirito, e proprio per l’azione dello Spirito diventiamo dimora della Santissima Trinità. Poi tutta la vita cristiana, e in modo speciale la consacrazione religiosa che della consacrazione battesimale è un approfondimento, diventa un crescere un po’ alla volta, in questa esperienza: siamo amati dal Padre e dal Figlio che ci donano lo Spirito di Amore e ci rendono capaci a nostra volta di corrispondere a questo amore. E dentro questa relazione noi diventiamo dimora di Dio, cioè Dio abita, vive in modo permanente e reale dentro di noi.
4. San Francesco, che ne ha fatto esperienza personale, ci comunica questa sua esperienza con parole che dovrebbero riscaldare il cuore a ciascuna e ciascuno di noi e far scoprire o riscoprire a ciascuna e ciascuno di noi la bellezza della nostra vocazione. Cito: “E tutti quelli e quelle, che continueranno a fare tali cose (cioè a vivere il Vangelo) e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli porrà in loro la sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l'anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nel cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri” (2Lfed 48-53: FF 200).
E poco dopo, dando voce all’esultanza del cuore, san Francesco aggiunge: “Oh, come è glorioso e santo e grande avere nei cieli un Padre! Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore e pregò il Padre per noi” (2Lfed 54-56: FF 201).
Carissime sorelle: giovani, innamorate di Gesù e luminose per il dono che state per ricevere, io vi auguro di cuore che la vostra consacrazione sia semplicemente un continuo crescere dentro questa esperienza: “Quanto è bello avere un tale Padre, quanto è bello e quanto riempie la vita avere un tale figlio, un tale sposo, un tale fratello”.
5. È dentro questa prospettiva che possiamo comprendere anche i consigli evangelici di obbedienza, povertà e castità che voi assumete oggi in modo definitivo come voti, cioè come impegno di dedizione, di devozione e di amore personale.
Carissime e giovani sorelle: che senso ha il voto di obbedienza, se non quello di amare la volontà del Padre e la Parola del Figlio al punto di volersi conformare continuamente e costantemente a questa volontà e a questa Parola? Certo nel corso della vita vi troverete a obbedire alla Madre generale, alla superiora locale, alla sorella che vi chiede qualcosa, ai poveri e i piccoli che sarete chiamate a servire. Ma la motivazione sarà quella di immedesimarsi nel Figlio, che fa la volontà del Padre ed è vivo e ama dentro di voi.
6. Come farete e come faremo a vivere senza appropriarci di niente se non avremo dentro il cuore questa ricchezza sovrabbondante che è la presenza in noi del Padre, del Figlio e dello Spirito, che ci bastano in ogni circostanza? Saperci abitati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, saperci e sentirci abitati dal loro amore è la ricchezza più grande che ci sia. Ci rende liberi dalle cose, ma anche dalle ambizioni umane. Ci rende aperti al dono e alla condivisione, fino a diventare capaci di condividere non solo i beni, ma la stessa vita, con i piccoli, con i poveri, con i bisognosi e gli ammalati. Provate a rileggere quello che ci raccontano le biografie di santa Elisabetta d’Ungheria, vostra madre, per scoprire fin dove arriva la capacità di donare in chi si è spogliato di tutto ma fa l’esperienza interiore della presenza di Dio.
7. Quale amore può riempire il cuore e la vita più di questo amore e renderci capaci di vivere una vita casta e al tempo stesso una vita nella quale l’amore diventa fecondo nel prendersi cura di quelli che il mondo scarta? Proprio come fu per san Francesco, proprio come fu per santa Elisabetta. Se non sarà espressione di un amore più grande che avete dentro perché siete la dimora del Padre e del Figlio e dello Spirito, che si amano infinitamente ed eternamente, la vostra castità diventerà acida; come ha osato dire qualche volta papa Francesco, diventerà una castità da zitelle. Ma se invece lasciate ardere dentro il cuore l’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, che abitano in voi, allora la vostra castità sarà feconda e gioiosa: sarete le madri di chi non ha madre e manifesterete il volto materno di Dio in un mondo che lo conosce troppo poco.
Se non avvertiamo questa presenza in noi l’obbedienza diventerà un peso, la povertà non sarà più gioiosa e la castità diventerà frustrante.
8. Carissime sorelle, concludo, perché mi accorgo che sono già stato troppo lungo, anche se mi sono fermato su un solo aspetto, e concludo con un augurio.
All’inizio ho ricordato che questa celebrazione è la celebrazione di un amore sponsale. E allora vi auguro di cuore di poter fare nel corso di tutta la vita l’esperienza di cosa significa crescere nel lasciarsi amare e nell’amare. Vi auguro che si realizzino anche per voi le parole con le quali santa Chiara d’Assisi, poco prima di morire, descrive ad Agnese di Praga il senso della sua consacrazione, in una prospettiva nuziale.
Scrive Chiara ad Agnese (L4Agn 27-32: FF 2905-6):
“Lasciati accendere sempre più fortemente da questo ardore di carità, o regina del Re celeste! Contemplando ancora le indicibili sue delizie, ricchezze e onori eterni e sospirando per l’eccessivo desiderio e amore del cuore, grida: Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguenti o sposo celeste! Correrò e non verrò meno, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la destra felicemente mi abbracci e tu mi baci col felicissimo bacio della tua bocca”.
Così sia anche per ciascuna di voi.