Ger 15,10.16-21; Sal 58; Mt 13,44-46
1. Carissimi fratelli, carissime sorelle,
ogni volta che veniamo qui al Getsemani è come se tornassimo alla sera del Giovedì Santo, accogliendo l’invito di Gesù: “Restate qui con me e pregate, per non essere sopraffatti nella tentazione”.
Ogni volta che ci troviamo davanti a questa roccia sulla quale Gesù ha pregato e ha sudato sangue è come se Gesù stesse chiedendo anche a ciascuno di noi di fare lo stesso percorso per conformare la nostra volontà umana a quella del Padre, sapendo che se è stato impegnativo per Lui lo sarà anche per noi.
2. La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato ci offre alcuni spunti che ci possono aiutare a camminare in questa direzione:
- Lo fa presentandoci l’esperienza del profeta Geremia, che è un’esperienza in cui c’è posto anche per la contraddizione, proprio come è presente la contraddizione nello stare dei discepoli qui assieme a Gesù. In qualche modo perfino nella preghiera di Gesù è presente un contrasto interiore molto forte tra la sua volontà umana e quella che percepisce come volontà del Padre.
- Lo fa presentandoci la vita come la scoperta sorprendente e la ricerca impegnativa di qualcosa di straordinariamente prezioso, un tesoro o una perla di inestimabile valore.
3. Anzitutto le contraddizioni che sperimentiamo in noi stessi e nella nostra vita, anche nella nostra vita di discepoli e di cristiani. Il brano del profeta Geremia esprime bene questo stato di contraddizione e perfino di confusione in cui si trova lui stesso. Ha cercato di vivere una vita buona e irreprensibile, ha potuto gustare la Parola di Dio, l’ha perfino “divorata con avidità”. Eppure si trova in una situazione in cui viene rifiutato e maledetto, una situazione in cui arriva a interrogare Dio e quasi ad accusarlo: “Perché il mio dolore è senza fine / e la mia piaga incurabile non vuole guarire? / Tu sei diventato per me un torrente ìnfido, / dalle acque incostanti”.
4. Anche nella nostra esperienza di vita cristiana possiamo arrivare a questo. Anche a noi può accadere di avere un’adesione entusiasta al Signore e alla sua Parola, mi verrebbe da dire un’adesione più emotiva che profonda. È stato così anche per Geremia, almeno all’inizio; è stato così anche per i discepoli, almeno quando Gesù in Galilea parlava suscitando speranza e agiva in modo potente. Ma poi? Quando il Signore sembra perdere la voce e quando nasconde la sua potenza? Quando sul versante delle emozioni e dei sentimenti non proviamo più gioia, ma smarrimento, paura, dolore e sofferenza? Quando le situazioni sembrano sgonfiare il nostro entusiasmo e spegnere la nostra speranza?
5. Direi che è proprio quello il momento in cui dobbiamo idealmente collocarci qui, sulla roccia del Getsemani, ed entrare progressivamente in una fede più matura, in un discepolato più profondo, in una sequela più radicale. Essere cristiani non significa semplicemente fare o non fare certe cose. Essere cristiani significa permettere a Gesù Cristo di nascere, di crescere, di vivere dentro di noi. Significa permettere a Gesù, dentro di noi, di percorrere ancora la via della Pasqua, la via della piena conformazione della volontà umana con la volontà del Padre, la via del crocifiggere il peccato inchiodandolo alla croce, la via del mettere a morte l’uomo vecchio, carnale, segnato dal peccato e seppellirlo. Significa permettere ancora al Cristo risorto di manifestare la sua potenza dentro la nostra stessa persona e dentro la nostra stessa vita.
6. Tutto questo è certamente frutto della grazia, ma è anche frutto di una ricerca ed esige impegno personale. Ce lo suggeriscono le due brevi parabole raccontate da Gesù nel Vangelo per aiutarci a capire il mistero del Regno di Dio. Nella prima parabola Gesù ci parla di un tesoro nascosto nel campo, uno lo trova, lo nasconde e poi va a vendere tutto per poterlo avere. Ecco questa mi sembra una bella descrizione anche di come noi facciamo la scoperta del dono gratuito che Dio ci fa nel Suo Figlio per opera dello Spirito Santo. È una grazia, è qualcosa che ci sorprende, è qualcosa in cui ci imbattiamo senza averlo cercato. Però, una volta che l’abbiamo trovato, se ne abbiamo percepito il valore, dobbiamo rischiare tutto pur di farlo nostro altrimenti lo perdiamo.
7. Nella seconda breve parabola ci viene invece messo davanti l’esempio di un mercante di perle che sa che esiste una perla di inestimabile valore e si mette alla sua ricerca, desidera trovarla. È disposto a vendere tutte le altre perle pur di avere quella. È una immagine potente della ricerca impegnativa che anche noi siamo chiamati a fare e del rischio che la scelta di essere cristiani comporta: non è un rischio assurdo o sciocco, è il rischio di chi sa che esiste una pienezza infinitamente superiore a tutte le forme di pienezza, di realizzazione e di felicità che il mondo propone.
8. Questo vale anche quando siamo chiamati a sintonizzarci in modo faticoso sulla volontà del Padre, come Gesù. Non siamo certo masochisti alla ricerca di sofferenze inutili e non siamo nemmeno persone sciocche che amano complicarsi la vita con le proprie mani. Semplicemente sappiamo, ne abbiamo fatto esperienza per grazia, che nella volontà del Padre c’è una tale pienezza, una tale ricchezza, una tale felicità, che vale la pena metterci in gioco con tutto quel che siamo, pur di poter entrare in quella pienezza. Vale la pena di perdere perfino la nostra vita, pur di seguire Gesù e sintonizzarci sulla lunghezza d’onda della volontà del Padre e in lui trovare la vita eterna, la vita piena, la vita divina.
9. Oggi, nella Chiesa universale si celebra S. Alfonso Maria de’ Liguori, un Santo al tempo stesso di grande profondità e di grande popolarità. Uno straordinario educatore della coscienza dei fedeli, fondatore di un istituto religioso che ha contribuito molto all’approfondimento della morale evangelica, ma anche poeta e musicista, capace di parlare al cuore dei bambini attraverso le parole e le note di un canto come “Tu scendi dalle stelle”.
Vorrei concludere proprio con un pensiero di S. Alfonso, che ci ricorda qual è il tesoro, la perla che può dare senso alla ricerca di tutta una vita e che può motivarci a cercare ogni giorno e in ogni situazione una sintonia personale e profonda con la volontà del Padre: è la perla dell’amore di Dio.
10. In uno dei suoi scritti ci ricorda: “Dio per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso. L'Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che fece? Per l'amor immenso, anzi, come scrive l'Apostolo, pel troppo amore che ci portava mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella vita che il peccato ci aveva tolta” (Dalla «Pratica di amare Gesù Cristo»).
In linea con una tradizione di spiritualità che lo precede, S. Alfonso ci ricorda che noi siamo la perla perduta di cui il Figlio di Dio si è messo alla ricerca per amore e solo per amore, e allora anche per noi la perla ed il tesoro per amore del quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita, a mettere in gioco liberamente tutta la nostra volontà, a dedicare ogni nostro sforzo e ogni nostro impegno non può essere che Lui, il nostro Signore Gesù.
Fr. Francesco Pattoni, ofm
Custode di Terra Santa