Una buona speranza - Good and Certain Hope | Custodia Terrae Sanctae

Una buona speranza - Good and Certain Hope

Messa coi benefattori in occasione del Gala a Washington

Letture: Mac 7,1-2.9-14; Sal 17; Ts 2,16-3,5 Lc 20,27-38

1. Carissime sorelle e carissimi fratelli, il Signore vi dia Pace!

Eucaristia significa ringraziamento. La celebrazione eucaristica è il più perfetto atto di ringraziamento a Dio, perché è lo stesso Gesù a far salire al Padre il ringraziamento di tutto il creato.
La presente celebrazione eucaristica è anche un’occasione speciale per ringraziare tutti voi, cari confratelli della fraternità di Washington e tutti voi cari benefattori e benefattrici, per il bene che continuate a fare per la gente che vive in Terra Santa e per la Custodia. Le nostre parole sono certamente insufficienti, e allora vi diciamo il nostro grazie attraverso questa celebrazione eucaristica, perché sia il Signore stesso a ricolmarvi di ogni benedizione e sia Lui a sostenervi ancora in ogni opera di bene.

2. Permettetemi ora di soffermarmi sul messaggio che la Parola di Dio ci rivolge questa domenica. È un messaggio bello, perché ci parla di speranza in un tempo di gravi difficoltà. La Parola di Dio ci ricorda che è la speranza che ci spinge a fare il bene; è la speranza che ci spinge a testimoniare la nostra fedeltà al Signore, fino al martirio; è la speranza che ci spinge a fare scelte di vita ora ma in una prospettiva di eternità.

3. Anzitutto scopriamo che è proprio la speranza che ci spinge a fare il bene. Ce lo ha ricordato san Paolo nel brano della seconda Lettera ai Tessalonicesi: “lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene” (2 Ts 2).
Di quale speranza ci sta parlando l’Apostolo? Della speranza che nasce dentro il nostro cuore quando ci sentiamo amati da Dio, da Lui accolti, da Lui rigenerati come figli. I luoghi nei quali noi ci troviamo a vivere e servire in Terra Santa ci fanno ricordare ogni giorno il fondamento storico di questa speranza e la sua concretezza. È la speranza che nasce quando noi riusciamo a contemplare quale grande amore ha avuto il Signore Gesù nel farsi bambino per noi a Betlemme, o nel guarire tante persone ammalate a Cafarnao, e poi nel consegnarsi a noi sotto le specie del pane e del vino nel Cenacolo, e infine nel morire per noi sul Golgota e nell’accettare di entrare nel silenzio del Sepolcro e condividere con noi il mistero della morte per aprire a noi le porte della vita eterna il mattino di Pasqua. Quando noi ci rendiamo conto di quanto siamo stati amati e di quanto siamo anche adesso amati da Dio, nasce dentro il cuore un senso profondo di consolazione e nasce dentro il nostro cuore la speranza.
Ed è questa esperienza che ci spinge a rispondere a tanto amore con opere e parole di bene, come ci suggerisce san Paolo. All’amore rispondiamo con l’amore! E a Colui che ha donato tutto se stesso per amore nostro, noi siamo chiamati a rispondere amando, facendo il bene e dicendo il bene a tutti coloro che ne hanno bisogno.

4. Una seconda sottolineatura mi pare importante, è ancora la speranza, intesa come virtù teologale, che spinge a testimoniare fino al martirio: “È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati” 2 Mac 7,14. Questa è la risposta che danno i sette fratelli ebrei torturati e messi a morte durante la persecuzione di Antioco Epifane al tempo dei Maccabei. Questi giovani preferiscono morire piuttosto che tradire la relazione di amore che li lega al Signore.
Questo brano mi fa venire in mente in modo molto immediato la testimonianza di tanti nostri fratelli e sorelle che vivono la loro fede in Medio Oriente e pagano la propria fedeltà a Dio a prezzo del proprio sangue. Quanti dei nostri fratelli in Iraq e in Siria hanno scelto di perdere tutto pur di non rinunciare alla fede nel Signore Gesù. Quanti nostri fratelli hanno perso tutto, compreso la loro vita fisica, pur di restare fedeli a Gesù Cristo, perché hanno nel cuore la speranza di poter vivere in Dio per sempre, per tutta l’eternità.
La testimonianza dei martiri è una provocazione per noi oggi. Una provocazione molto forte. Quando penso ai nostri confratelli che da anni ormai rischiano la vita nella Valle dell’Oronte in Siria per amore di Gesù Cristo e per amore della gente loro affidata io mi sento profondamente provocato. La loro testimonianza mi dà forza nel vivere il mio stesso impegno quotidiano, nel superare le paure, nel non risparmiare me stesso. Lasciamoci provocare dalla testimonianza dei martiri di ieri e di oggi e domandiamoci: fino a che punto siamo disposti a donare noi stessi per amore di Gesù? Per rimanergli fedeli? Per testimoniare che in Lui abbiamo la speranza di una vita piena ed eterna?

5. La terza sottolineatura che desidero fare è una conseguenza di quanto ho appena detto ed è legata al brano di vangelo che abbiamo ascoltato: è la speranza che ci porta a fare oggi scelte di vita a partire dalla prospettiva dell’eternità e della vita con Dio.
Gesù è stato molto chiaro nel replicare ai Sadducei, che erano al tempo stesso religiosi e materialisti, credevano in Dio e osservavano la Legge ma non avevano alcuna speranza di risurrezione e vita con Dio. Alla loro presa in giro Gesù replica: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio” Lc 20,27-28.
Gesù non parla in questo modo per svalutare il matrimonio, dato che altrove ricorderà proprio il progetto originario di Dio sull’amore umano. Gesù parla in questo modo per aiutarci a capire che tutte le realtà temporali, alle quali noi spesso attacchiamo il cuore, hanno da confrontarsi con ciò che non passa, cioè con la realtà di Dio e con la vita in Lui che è vita eterna. 
Se noi viviamo la nostra vita senza una prospettiva di eternità faremo scelte che finiranno con noi nella tomba. 
Se noi viviamo la nostra vita nella prospettiva della risurrezione, della vita in Dio, della vita eterna, allora faremo scelte di donazione e di amore, scelte che hanno già ora il gusto dell’eternità. 
Se ci manca la prospettiva dell’eternità la nostra vita rischia di essere ossessionata dal “Carpe diem” dal “Cogli l’attimo”, cioè dal bisogno di consumare il tempo, le esperienze, le relazioni, le persone. E facciamo questo per rimuovere dalla nostra coscienza l’angoscia data dal fatto che tutto finisce ingoiato dalla morte. Ma se abbiamo la prospettiva della vita con Dio, che è eterna, che è per sempre, allora vivremo questa vita nella pace e nell’impegno e faremo il possibile perché ogni istante della nostra vita sia vissuto nel dono e nell’amore.

6. Care sorelle e cari fratelli, Dio non è colui che pretende da noi cose impossibili, ma colui che ci dona ogni giorno se stesso e la grazia di fare il bene, cioè di esprimere l’amore in modo concreto.
Dio non è il Dio della paura ma della speranza, chiediamo la grazia di poter essere suoi testimoni nella vita di ogni giorno, e se fosse necessario, fino al martirio. 
Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi, chiediamo perciò la grazia di essere vivi in Lui ora e per l’eternità. Amen.
 

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Readings: Mac 7,1-2.9-14; Ps 17; Ts 2.16-3.5 Lk 20.27-38

1. Dear brothers and sisters.
May the Lord Give You Peace!

Eucharist means thanksgiving. The Eucharistic celebration is the most perfect act of thanksgiving to God, because it is Jesus Himself who brings to the Father the thanksgiving of all creation.
This Eucharistic celebration is also a special occasion to thank you all, dear brothers of the Franciscan community of Washington and all of you dear benefactors and friends, for the good that you continue to do for the people who live in the Holy Land and for the Custody itself. 
Our words are certainly insufficient, and so I offer my thanks to you through this Eucharistic celebration, so that the Lord Himself may fill you with every blessing and continue to sustain you in every good deed.

2. Allow me now to reflect on the message that the Word of God brings to us this Sunday. It is a beautiful message, because it speaks of hope in a time of grave difficulties. 
The Word of God reminds us that it is hope that drives us to do good; it is hope that drives us to witness to our fidelity in the Lord, even to martyrdom; it is hope that drives us to make life choices now, with a view to eternity.

3. First of all, we discover that it is precisely hope that drives us to do good. St. Paul reminded us of this in the passage from the “Second Letter to the Thessalonians”: “Now may our Lord Jesus Christ Himself, and God our Father, who loved us and gave us eternal comfort and good hope through grace, comfort your hearts and establish them in every good work and word” (2 Thessalonians 2 v 16-17 RSV).
What is this hope that the Apostle Paul is talking about? It is the hope that is born within our heart when we feel loved by God, welcomed by Him, renewed by Him as His children. 
We Franciscans are reminded of the historical foundation of this hope every day in a very concrete way—as we live and serve in the Holy Land, in the places where Jesus lived and worked. 
This hope is born in us when we contemplate the great love the Lord Jesus demonstrated in becoming a child for us in Bethlehem; when he healed the sick in Capernaum; when he humbled himself to be our food and drink at the Last Supper; and finally, in dying for us on Golgotha. He entered the silence of the Sepulchre and shared with us the mystery of death, in order to open to us the doors of eternal life on Easter morning. 
When we realize how much we have been loved and how much we are loved by God, a deep sense of consolation is born in our hearts and leads us to the hope of which St. Paul wrote. 
It is, this experience, Paul suggests, that drives us to respond to the Lord’s great love with good words and works. We respond to love with love! 
For to Him who has given all of Himself for our love, we are called to respond by loving, doing good and saying good things to all those who need it.

4. Secondly I would like to emphasize something very important to me, another dimension of hope, understood as a theological virtue, which leads to the witness of martyrdom: “It is preferable to die at the hands of men, when from God one has the hope of being raised up again by Him” 2 Mac 7.14. 
This is the answer given by the seven Jewish brothers who were tortured and put to death during the persecution of Antiochus Epiphanes at the time of the Maccabees. These young people preferred to die rather than betray the loving relationship that bound them to the Lord.
This passage reminds me in a very immediate way of the witness of many of our brothers and sisters who live out their faith in the Middle East and pay for their loyalty to God at the price of their own blood. 
How many of our brothers in Iraq and Syria have chosen to lose everything so as not to renounce their faith in the Lord Jesus? How many of our brothers have lost everything, including life itself, in order to remain faithful to Jesus Christ, because they have within their hearts the hope of being able to live with God forever, for all eternity.
The witness of martyrs is a challenge for us today. A very great challenge! When I think of our brothers who for years now have risked their lives to minister for the love of Jesus Christ to the people entrusted to them in the Orontes Valley in Syria, I feel deeply moved. 
Their testimony gives me strength in living my own daily commitment, in overcoming my fears, in not seeking to save my own skin. Let us allow ourselves to be challenged by the witness of the martyrs of yesterday and those of today, and ask ourselves: To what extent are we willing to give ourselves for the love of Jesus? In remaining faithful to Him? Witnessing that in Him we have the hope of a full and eternal future life?

5. Finally, I would like to emphasize how what I have just spoken about is linked to today’s Gospel: it is hope that leads us to make life choices today—choices made from the perspective of eternity and life with God.
Jesus was very clear when responding to the Sadducees, who believed in God and kept the Law but had no hope of the Resurrection and a future life with God. 
To their attempt to ridicule belief in a life after death, Jesus replies: “The children of this world take a wife and take a husband; but those who are judged worthy of the future life and of the Resurrection from the dead, take neither wife nor husband: for they can no longer die, because they are equal to the angels and, since they are sons of the Resurrection, they are children of God” Lk 20.27-28.
Here, Jesus does not devalue marriage, given that elsewhere He reminds us of God's original plan for human love. Rather, Jesus wants to help us understand that all temporal realities, to which our hearts are so often attached, fade. Instead, we need to focus on the things that do not pass away, namely the reality of God who Himself is and gives eternal life. 
If we live our lives without the prospect of eternity our choices will not last beyond the grave.
If we live our lives with the hope of Resurrection, of life in God, of eternal life, then we will make choices of self-gift and love, choices that—here and now-- have the taste of eternity.
If we lack the perspective of eternity, our life can then become obsessed by the “Carpe diem”— a “Seize the moment”—mentality, that is, the need to consume time, experiences, relationships, people. Such choices seek to deny the reality of death, they try to hide from the painful fact that everything ends by being swallowed up in death. 
But if we have the perspective of a life with God, which is eternal, which is forever, then we will live this life in peace and with commitment; and we will do everything possible so that every moment of our life may be lived in giving and in love.

6. Dear brothers and sisters, God does not demand impossible things of us, He is in fact the one who gives Himself to us every day, along with the grace to do good by expressing our love in a concrete way.
Our God is not the God of fear but of hope. Let us ask for the grace to be His witnesses in everyday life, and, if necessary, even to be martyrs.
God is not the God of the dead but of the living, therefore we ask for the grace to be alive in Him now—and for all eternity. Amen.