La vita ad Aleppo tra guerra e speranza: Fra Ibrahim Alsabagh la racconta nel libro “Un istante prima dell’alba”. Il francescano responsabile della comunità latina ad Aleppo e parroco della locale chiesa di San Francesco D’Assisi, ha pubblicato per Edizioni Terra Santa il racconto degli ultimi due difficili anni al servizio della comunità siriana. «Nel libro si raccontano le faccende amare, le esperienze di dolore, dell’amarezza, della disperazione che la gente vive ad Aleppo per la guerra, però allo stesso tempo si raccontano anche i fatti delle gioie coltivate in questo ambiente triste – racconta fra Ibrahim - . C’è la contraddizione di fare una cronaca di fatti molto tristi e dolorosi, letti però alla luce della fede. Non si tratta di scrivere un libro di storia, ma di fare la lettura di un fedele della presenza del Signore in mezzo a queste macerie di Aleppo».
Fra Ibrahim conosce molto bene la situazione politica di Aleppo oggi, perché la vive quotidianamente. A fine ottobre raccontava: «Siamo arrivati all’ultimo incrocio di questa “guerra mondiale fatta a pezzi”: sono le parole di papa Francesco sulla Siria e in modo speciale adesso su Aleppo. In questo momento c’è la presenza di tutte le forze internazionali. Le milizie armate presenti nella parte est della città con dei civili si contano in 200mila persone e dall’altra parte, la parte ovest è controllata dall’esercito regolare e dal governo di Assad, dove gli abitanti sono un milione e duecento mila. Le milizie non mollano, non rispettano una tregua, non accettano una riconciliazione e un reinserimento, forse per paura, forse per diffidenza sul governo attuale, o per idee estremiste. Vogliono continuare a tutti i costi a bombardare i civili della parte della città ovest, per creare una pressione sul governo e sull’esercito regolare. Dall’altra parte l’esercito non molla: vuole difendere i civili. Dopo tanti tentativi di riconciliazione, le porte sono chiuse e ci si avvia quindi a una riconquista di tutto il terreno della parte est. Non è una cosa facile, perché le armi utilizzate sono di grande distruzione. Sicuramente ci sono i civili di mezzo, si combatte a volte a distanza di due metri e queste milizie armate hanno anche armi sofisticate e continuano a lasciare missili sulle chiese, sulle case, sugli ospedali. Si rischia di subire ad Aleppo la fine di Homs, una città che è diventata una città fantasma di ruderi. La gente ha dovuto lasciare la città. Dopo aver combattuto fino all’ultimo, le milizie sono uscite da Homs, ma tutto era già distrutto, con la morte di migliaia e migliaia di persone. Si rischia di arrivare a questa conclusione triste che non c’è una via di uscita per il dialogo e il mondo è diviso. La non concordia è arrivata al massimo, anche negli incontri dell’Onu, ed è visibile sotto gli occhi di tutto il mondo. Noi vediamo quello che vuol dire il fallimento del dialogo a livello internazionale, la divisione del mondo in due campi che lentamente diventa chiara, il precipitare della situazione non solo in Siria, perché Aleppo e Siria sono solo un punto di queste discordie. Si rischia di arrivare a una guerra senza limiti, che non si ferma sulle porte di Aleppo, ma che tocca tutto il mondo e tutti i suoi paesi». Oggi la situazione continua a precipitare sempre di più, con una quasi completa riconquista di Aleppo est da parte delle forze del regime.
Cosa spinge, allora, il frate a andare avanti in questa sua difficile missione? «La carità mi spinge – rivela fra Ibrahim -, la carità mi dà, come diceva il Salmo 93, la “forza di un bufalo”. Da padre, da parroco, neanche io immaginavo di darmi così e non immaginavo i frutti che sarebbero diventati così grandi e così abbondanti. La carità mi ha spinto fino in fondo: la carità del cristiano verso la gente più povera, ma anche il cuore del pastore che batte attraverso questo dono del sacerdozio». Un dono di sé che ha portato fra Ibrahim, siriano originario di Damasco, a rinunciare all’idea di continuare il dottorato, per recarsi ad Aleppo, di cui è parroco dalla festa di Cristo Re del 2014. «Il Custode di quel periodo, Pierbattista Pizzaballa, mi disse “Abbiamo bisogno in Siria”. Io risposi: “Hai detto tutto. Se dici che c’è bisogno in Siria, io sarò disponibile”. La risposta è uscita molto spontanea, nonostante che io non fossi mai stato al servizio della Custodia in Siria e non conoscevo la situazione del mio paese in un momento di grande confusione e di guerra». Ma per fra Ibrahim non è stato un problema. «Poi si sono visti tutti i frutti della nostra presenza francescana – continua il frate -. Si sono visti i frutti nell’andare ai bisogni concreti della gente, nell’inventare con una forza grandissima di creatività sempre progetti nuovi, come la distribuzione molto vasta di acqua in diversi modi, la distribuzione di pacchi alimentari alla gente affamata, di grande numero. Frutti nel lavorare e fungere come società di assicurazione medica, nel coprire tutte le spese delle visite mediche, delle analisi, delle medicine e di interventi chirurgici costosi a tutte le persone che bussano alla nostra porta, nell’andare in mezzo alla macerie a riparare le case danneggiate, che rischiano ancora di nuovo di essere distrutte. Abbiamo anche ventitré progetti in corso, per servire la nostra comunità latina, ma anche tutti i cristiani delle altre comunità e tutta la gente che sta intorno a noi, i nostri fratelli musulmani. Tutti gli uomini sofferenti».
Nel suo libro “Un istante prima dell’alba”, fra Ibrahim racconta tutto questo, in una raccolta di lettere e messaggi da mandare nel mondo (come prevedeva l’idea originaria del frate), insieme a testimonianze e articoli per condividere sofferenza, ma anche speranza. «Subiamo ogni tipo di violenza possibile, ma bisogna dare una risposta che sia all’altezza di questa crisi, una risposta che, per salvare la dignità dell’uomo, sia di carità genuina, creativa, che è la stessa carità di Cristo. Mi accorgo che noi francescani siamo segni di speranza. Quando mancano tutti i segni di speranza nella strada, tra le case, dappertutto ad Aleppo, noi siamo chiamati non a cercare la speranza altrove, ma a “dare noi da mangiare”, come diceva Gesù. Cioè a dare noi la speranza, a rafforzare noi la fede con la presenza concreta, con la sofferenza partecipata e con la donazione totale al Signore, anche attraverso la donazione ai fratelli».
In questa Siria martoriata dalla guerra, scappare via sembra a volte l’unica speranza concreta di sopravvivenza. Molti si chiedono perché la gente rischi tutto, la vita stessa, pur di emigrare. E fra Ibrahim risponde: «Quando manca l’elettricità per anni, quando manca l’acqua per diverse settimane ogni volta, quando l’80% della popolazione è senza lavoro, il 92% delle famiglie sono povere, quando i missili cadono addosso a metà giornata, in pieno giorno, in piena notte, sulle chiese, sugli ospedali, sulle scuole e sulle case, allora la gente disperata comincia a buttarsi, lasciando tutto. Buttarsi anche nel mare, nelle mani dei pirati, pur di scappare dalla morte. C’era un giovane, per esempio, che aveva deciso di scappare e mi aveva informato il giorno prima della sua decisione. Non aveva nessuna sicurezza di raggiungere la sua meta, l’Occidente, ma lui mi ha detto: “Qui sono sicuro di morire, ma buttandomi fuori in questo modo, forse avrò una percentuale bassa di essere salvato. Almeno avrò una possibilità, anche se minima, di sopravvivere”».
La presenza francescana si riconosce nel portare qualcosa di diverso tra la gente di Aleppo e fra Ibrahim lo vive quotidianamente: «Noi come francescani vediamo il Signore risorto in queste macerie di Aleppo, la luce di Cristo in mezzo al buio. Mentre la gente guarda con una sapienza umana e vede che non c’è via di uscita, che non c’è un futuro, noi con gli occhi della fede e la sapienza divina, riusciamo a vedere Cristo risorto che è presente in mezzo al suo popolo, che opera ogni giorno miracoli con noi. Ci dà il cibo, moltiplica i pani e i pesci, c’è sempre la pesca miracolosa: sono i segnali della Sua presenza e della Sua Resurrezione in mezzo a noi ad Aleppo. Questo ci riscalda il cuore e ci dà sempre la speranza di un futuro migliore e che la guerra e l’odio, non avranno l’ultima parola. L’ultima parola sarà della carità, della speranza, della pace».
Beatrice Guarrera