Carissimi amici, permettetemi di salutare tutti voi con il saluto caro a san Francesco: “Il Signore vi dia pace!” Ne abbiamo tutti bisogno.
È un onore e una gioia poter essere presenti, come Custodia di Terra Santa, a questa edizione del Meeting 2017 per l’amicizia tra i popoli.
Ringrazio gli organizzatori per aver voluto dare risalto quest’anno all’ottavo centenario della nostra presenza francescana in Terra Santa, attraverso la mostra fotografica, attraverso il catalogo della mostra fotografica edito in collaborazione con le Edizioni di Terra Santa e attraverso questo momento di incontro e di dialogo.
Mi pare quanto mai significativa questa nostra presenza in rapporto al filo conduttore di quest’anno: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Il tema ci vuole infatti riportare alla necessità di saper coniugare la memoria del passato con la responsabilità personale per il presente, che è anche un modo per poter dare un contributo alla costruzione di un futuro diverso.
2. Una memoria supportata da immagini
Già la partecipazione attraverso una mostra di immagini fotografiche contiene in sé questo rimando alla memoria, proprio perché le fotografie sono una memoria soggettiva e un supporto alla memoria. Nel momento in cui vengono condivise esse diventano un ponte tra la memoria di chi le ha prodotte e la coscienza e l’esperienza di chi le fruisce.
Esse raffigurano oggetti, luoghi, volti, eventi dal punto di vista di chi le ha realizzate. Ed evocano in chi le guarda emozioni e suggestioni, trasmettono un punto di vista soggettivo, creano un collegamento tra chi ha voluto consegnare alla memoria questi oggetti, luoghi, volti ed eventi e chi oggi esperisce gli stessi luoghi profondamente trasformati, talvolta proprio dagli eventi e dai volti raffigurati.
Un’immagine non è la realtà eppure porta in sé una grande forza evocativa e al tempo stesso una capacità di trasformare chi la guarda.
3. La memoria dei luoghi e nei luoghi
Mi verrebbe da dire che questa nostra presenza francescana di otto secoli in Terra Santa ha tutta a che fare con la memoria: con la memoria dei luoghi dell’incarnazione e della redenzione testimoniata dai santuari e dalla pietre che custodiamo, con la memoria dei tanti cambiamenti che questi luoghi hanno visto nel corso di questi secoli, con la memoria dell’identità cristiana di questi luoghi che convive con un’identità ebraica e musulmana, con la memoria dell’identità dei cristiani locali, quelli che chiamiamo le “pietre vive”, che costituiscono la continuità esistenziale, storica e vivente della prima comunità cristiana.
E direi che ogni generazione di cristiani e anche di francescani, che si è avvicendata in Terra Santa ha dovuto compiere l’operazione sintetizzata nel titolo del Meeting di quest’anno. Ogni generazione ha dovuto in qualche modo riguadagnare l’eredità dei propri padri. Ed ora tocca alla nostra generazione questa assunzione di responsabilità verso la missione che la divina provvidenza ci ha affidato.
4. La memoria di una storia e di un incontro
I primi frati giunsero in Terra Santa nel 1217, guidati da fr. Elia da Cortona. Erano inviati in missione nel segno della Pentecoste e giungevano oltremare col sogno di annunciare il Vangelo e di dare la vita per Gesù Cristo.
Due anni dopo, nel 1219, era lo stesso Francesco d’Assisi a imbarcarsi per S. Giovanni d’Acri per arrivare poi a Damietta in piena quinta crociata, mosso dal desiderio di attraversare le linee di guerra per incontrare il Sultano Malek-El-Kamel e potergli parlare di Gesù Cristo. E in quell’occasione finalmente – lui uomo dotato della concretezza del mercante, amante del vedere e del toccare – poteva vedere e toccare i luoghi della nostra redenzione.
Lui che aveva sentito la chiamata a “seguire le orme del Signore nostro Gesù Cristo” (S. Francesco, Lettera all’Ordine) poteva finalmente camminare sulle strade sulle quali “l’unico Maestro” aveva camminato.
Lui amante del Dio che per noi si è fatto “minore” e piccolo, poteva vedere la mangiatoia nella quale la Vergine Maria aveva adagiato il Figlio di Dio fatto bambino.
Lui amante dell’Eucaristia e del servizio poteva finalmente vedere la sala nella quale Gesù si era consegnato a noi nel suo corpo e nel suo sangue eucaristici, il luogo dove ci aveva insegnato a lavarci i piedi gli uni gli altri, dove era apparso la sera di Pasqua donando lo Spirito e il ministero della riconciliazione.
Lui amante del Cristo crocifisso poteva finalmente prostrarsi sul Calvario e recitare lì la preghiera che lo aveva accompagnato fin dalla conversione “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo” (S. Francesco, Testamento).
Lui che avrebbe cantato “Laudato sii, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente po' skappare” (S. Francesco, Cantico di Frate Sole), e che avrebbe salutato la morte come “la porta della vita” poteva finalmente venerare “il Sepolcro in cui per qualche tempo giacque il corpo del Signore” (S. Francesco, Lettera all’Ordine) e toccare la pietra che lo aveva visto risorgere.
Il viaggio di Francesco in Terra santa è talmente importante e significativo per lui e per noi, che nei suoi "Scritti" posteriori al 1220 troviamo ovunque echi e tracce di quel viaggio.
In modo speciale poi quel viaggio e quell'esperienza di incontro e di dialogo contribuì alla elaborazione di una vera e propria metodologia missionaria che troviamo sintetizzata nel Capitolo XVI della Regola non bollata.
Lì san Francesco ci ricorda che siamo chiamati ad evangelizzare in due modi. Il primo è di non fare liti o dispute, essere sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio e confessare di essere cristiani. Il primo modo è cioè quello della testimonianza della vita, dove occorre evitare ogni forma di aggressività e polemica, occorre mettersi a servizio degli altri per amore di Dio e occorre avere un'identità cristiana molto chiara.
Aggiunge poi san Francesco che "quando vedranno che piacerà al Signore" allora i frati potranno fare l'annuncio esplicito del mistero di Cristo e amministrare i sacramenti che incorporano alla Chiesa.
Infine bisogna mettere in conto anche la possibilità di essere rifiutati, perseguitati e perfino uccisi, ma questo è già compreso nella professione di vita religiosa, con la quale uno mette la propria vita totalmente nelle mani di Dio.
Queste semplici linee sono quelle che hanno guidato l'esperienza francescana in Terra Santa, lungo questi otto secoli, in mezzo a persone di altra cultura, fede e religione. Sono le linee che guidano tutt'ora la nostra presenza lì.
5. La memoria di un mandato della Chiesa
Tra il 1291 e il 1333, dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri e del Regno Latino, c'è una fase in cui i nostri frati hanno dovuto rifugiarsi a Cipro e di lì facevano la spola via nave per venire a pregare e celebrare nei santuari di Betlemme e di Gerusalemme.
Nel 1233 i reali di Napoli Roberto d'Angiò e Sancia di Maiorca acquistano per i frati il diritto di rimanere in alcuni santuari: al Santo sepolcro, alla Tomba della Vergine e al Cenacolo a Gerusalemme e alla Natività a Betlemme e finanziano la costruzione del primo convento proprio al Cenacolo sul Monte Sion.
Nove anni dopo, nel 1342, da Avignone, papa Clemente VI emana due bolle "Gratias agimus" e "Nuper carissimae", che sono il nucleo originario della statuto giuridico della Custodia di Terra Santa. In quei testi si trova il mandato dato dalla Santa Sede ai frati: «È da poco tempo che al nostro soglio apostolico giunse la gradita notificazione del re e della regina, come essi con grandi spese e faticose trattative ottennero dal Sultano di Babilonia… che i frati del vostro Ordine possano dimorare continuamente nella chiesa del detto Sepolcro, e celebrare pure solennemente là dentro Messe cantate e Divini Uffici…»(GA 2).
In quei testi viene pure sancita l'internazionalità della Custodia, che, allora, si componeva di 20 frati impegnati a celebrare la liturgia latina in questi pochi Santuari, e che avevano come propria sede il Cenacolo a Gerusalemme. Poi da questo nucleo originario, lungo i secoli successivi, siamo arrivati alla realtà attuale, di circa 270 frati di più di 40 nazionalità diverse, sparsi sul territorio di una decina di Paesi diversi.
6. Riguadagnare la memoria di una presenza
La nostra presenza in Terra Santa è perciò legata anzitutto allo stare in quei luoghi della memoria che sono i santuari. Oggi custodiamo circa 70 santuari e viviamo in 50 di essi.
È uno stare da frati minori ed è perciò uno stare anzitutto per dar lode a Dio nella liturgia. I luoghi vengono riguadagnati nel momento in cui noi viviamo al loro interno, nel momento in cui li visitiamo da pellegrini, con lo stesso spirito di Francesco d’Assisi, per il quale il vedere non è puro e semplice sguardo materiale, ma è guardare con gli occhi e il cuore del credente.
E allora diventa comprensibile il collegamento tra i luoghi e la liturgia: i luoghi spingono – uno dopo l’altro – all’adorazione e alla lode “dell’altissimo, onnipotente e buon Signore” (S. Francesco, Cantico di Frate Sole), che in quei luoghi è vissuto, ha operato, ha parlato, ha realizzato la nostra redenzione.
I luoghi perciò li “riguadagniamo” – per usare il linguaggio di Goethe – nella misura in cui sostiamo al loro interno con uno sguardo contemplativo, per pregare.
I luoghi contengono poi un appello per noi. I luoghi ci chiedono di metterci davanti alla Grotta di Nazareth con la disponibilità libera e responsabile di Maria, di guardare la mangiatoia di Betlemme con la capacità di cura accogliente di Giuseppe e Maria e lo stupore dei pastori e dei Magi, di lasciarci come Pietro e Tommaso educare da Gesù nel Cenacolo, di imparare dal Battista a indicare Gesù e non noi stessi, di attraversare il lago di Tiberiade – con tutto ciò che evoca – assieme a Gesù, di sintonizzarci come Lui sulla lunghezza d’onda del Padre al Getsemani, di stare davanti alla croce con la fermezza della Madre, di arrivare al sepolcro col cuore della Maddalena e del discepolo amato…
7. Riguadagnare la memoria di un servizio
La presenza francescana in Terra Santa, lungo questi otto secoli e fin quando Dio vorrà, è poi una presenza di servizio, perché – come ho già ricordato poco fa – siamo inviati a evangelizzare senza fare liti e dispute, sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio e confessando di essere cristiani, pronti a cogliere i segni di apertura che permettono di annunciare il Vangelo e accogliere nella Chiesa, ricordando che la nostra vita è donata a Dio e non ci appartiene più (S. Francesco, Regola non bollata, cap. XVI).
Il servizio e l’evangelizzazione si sono incarnati in forme concrete, lungo questi otto secoli, e continuano ad incarnarsi in forme concrete, che hanno bisogno continuo di attualizzazione, perché altrimenti, anziché essere riguadagnate vengono perdute.
L’accoglienza dei pellegrini, il servizio pastorale nelle parrocchie, la carità educativa attraverso le scuole, le istituzioni culturali e accademiche, la comunicazione hanno visto lungo i secoli uno sviluppo e una continua evoluzione.
E così pure le opere di misericordia corporali nell’aiuto ai poveri e ai sofferenti e l’impegno per la promozione e lo sviluppo integrale delle persone, attraverso la creazione anche di posti lavoro e il favorire una microeconomia di cui beneficia la comunità locale.
Per non dimenticare la vicinanza alle popolazioni e alle comunità ferite dalle guerre lungo questi otto secoli e ancor oggi, ma anche il servizio di accoglienza dei migranti e la loro integrazione nel corpo ecclesiale.
Tutto ciò non nasce da – pur nobili – motivazioni filantropiche, ma nasce dalla semplice indicazione di Francesco, di mettersi a servizio “di ogni umana creatura per amore di Dio”.
8. Riguadagnare la memoria di un dialogo
La storia della presenza francescana in Terra Santa è anche una storia di dialogo ecumenico e interreligioso, di dialogo che è stato possibile otto secoli fa e lungo questi ottocento anni. Dialogo che non è mai facile, ma è necessario.
Dialogo che ha un fondamento biblico e francescano nel riconoscerci tutti figli dello stesso “Padre celeste”, amati fino al dono di sé dal Suo “Figlio diletto”, ispirati dallo “Spirito Santo” che è Spirito di verità, ma anche di comunione, capace di aprire le orecchie, sciogliere le lingue sintonizzare i cuori.
Questo dialogo veniva ritenuto impossibile ai tempi di Francesco d’Assisi (cfr. Fonti Francescane, “Cronaca di Ernoul” e “Cronaca di Bernardo il Tesoriere”: FF 2231-2237), ma venne praticato da Francesco che ottenne non solo l’ascolto ma anche il rispetto e l’amicizia del Sultano.
Questo dialogo è continuato lungo questi otto secoli ed ha – potremmo dire – vaccinato i frati della Custodia rendendoli capaci di adattarsi ai vari cambiamenti che intervenivano lungo i secoli.
Questo dialogo ha certamente avuto anche un prezzo di martirio, se il martirologio della Custodia annovera più di 2000 frati che in questo 800 anni sono divenuti martiri della fede o della carità.
Questo dialogo non può in nessun modo essere liquidato come “buonismo” e continua ad essere oggi l’unica vera alternativa e l’unico efficace antidoto allo scontro di civiltà. Anche il dialogo è una metodologia e un modo di stare in Terra Santa che ogni generazione francescana deve riguadagnare per poterlo vivere in modo efficace.
9. Conclusione: un invito e un augurio
Vorrei terminare con un invito e un augurio.
L’invito è quello a venire pellegrini in Terra Santa, per condividere l’esperienza dello stare in quei luoghi e del riguadagnare in termini molto personali il senso che ha lo stare in quei luoghi “da pellegrini e forestieri”, per citare una bella espressione della Prima Lettera di san Pietro e della Lettera agli Ebrei (1Pt 2,11; Eb 11,13) che san Francesco utilizza per descrivere il senso della nostra vita.
L’augurio è quello che ciascuno possa sentirsi provocato a scelte personali, nel presente e per il futuro, dall’incontro con Colui che ha reso santa, con il mistero della sua incarnazione, della sua passione morte e risurrezione, la terra in cui a noi francescani è stata data la grazia di vivere, custodire e servire.
È Lui, Gesù Cristo, Colui che attira a sé ognuno di noi, perché “credendo in Lui possiamo avere la vita nel suo nome” (Gv 20,31). Ed è la memoria viva di questa fede che dobbiamo riguadagnare ogni giorno attraverso la nostra adesione esistenziale a Lui.
Grazie.
Fr. Francesco Patton OFM
Custode di Terra Santa