Beata colei che ha creduto | Custodia Terrae Sanctae

Beata colei che ha creduto

Visitazione

Sof 3, 14-18; Is 12, 2-3.4bcd. 5-6; Rm 12, 9-16; Lc 1, 39-56

Carissime sorelle, carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace!

1. Con qualche giorno di ritardo per via del calendario liturgico, stiamo celebrando la festa della visitazione di Maria Santissima a Santa Elisabetta, qui ad Ain Karem, nel luogo che riporta la nostra memoria a quell’evento di 2000 anni fa.
Ho pensato di riassumere in tre parole le letture che abbiamo ascoltato. Queste tre parole sono: gioia, carità e fede. E queste tre parole descrivono tre atteggiamenti fondamentali della vita di Maria, ma anche della vita di ognuno di noi, se vogliamo vivere secondo il Vangelo.

2. La gioia è il primo atteggiamento che la Parola di Dio oggi ci suggerisce, ed è un invito che la Parola di Dio ci rivolge spesso: 84 volte nel solo Nuovo Testamento. Già nel brano veterotestamentario Sofonia grida: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!”. San Paolo nella Lettera ai Romani ci invita a rallegrarci “con quelli che sono nella gioia”. E il Vangelo di Luca ci presenta la gioia di Elisabetta, quella di Giovanni Battista ancora nel grembo materno, e quella di Maria che esulta e canta il Magnificat. L’esistenza cristiana è gioia! La Parola di Dio che abbiamo ascoltato, come pure l’esistenza di Maria, fin dal saluto dell’angelo, che l’invita a “rallegrarsi”, ci fanno capire il motivo fondamentale, profondo, non superficiale di questa gioia: il motivo è la vicinanza del Signore, il motivo è quello che Dio ha operato e opera “grandi cose” dentro la storia e anche dentro la nostra breve vita e dentro la nostra piccola persona. Ma ci vogliono gli occhi giusti, per riconoscere questa vicinanza, questa presenza e questa azione. E ci vuole molta docilità allo Spirito Santo! Se siamo ripiegati e concentrati su noi stessi è abbastanza difficile che percepiamo la vicinanza di Dio, la sua azione e le ragioni per cui gioire. Questo tema della gioia è per noi anche un invito a riflettere: che tipo di gioia cerchiamo normalmente? Per che cosa riusciamo a gioire? Per cose superficiali o per qualcosa di profondo, che ci richiama la vicinanza e la presenza del Signore nella nostra vita, seppur in contesti oggettivamente difficili com’erano quelli in cui vivevano Sofonia, o Paolo, o Maria ed Elisabetta?

3. La seconda parola è carità. Ci veniva suggerita dal brano della Lettera ai Romani: “Fratelli, la carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. Con tutto quel che segue. In greco la parola è agape, e in forma verbale o come sostantivo appare ben 116 volte nel Nuovo Testamento. Vuol dire che presenta un atteggiamento cristiano fondamentale. Infatti agape esprime quell’amore con il quale Gesù Cristo ci ha amati, che è un amore personale e di tutta la persona, è un amore oblativo cioè fino al dono di sé, è un amore assolutamente concreto che si manifesta attraverso il modo di pensare, di parlare e di agire e permea tutta la vita di una persona. Agape non è solo l’amore gratuito col quale Gesù ci ha amati, agape è anche l’amore gratuito che muove tutta la persona e la vita di Maria. L’episodio che celebriamo oggi è semplicemente uno tra i tanti che ci fanno intuire come il principio dell’agape sia presente nella via di Maria. Se ripensiamo a lei scopriamo che è amore personale, oblativo e concreto il modo con cui lei ha accolto l’annunzio dell’Angelo a Nazareth, lasciandosi scombinare i propri sogni e progetti. 
È amore personale, oblativo e concreto, quello che manifesta venendo di corsa dall’anziana cugina per esserle accanto nell’ora della maternità. È amore personale, oblativo e concreto quello con cui Maria dà alla luce il bambino Gesù a Betlemme e lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia. È amore personale, oblativo e concreto quello che Maria manifesta a Cana quando vede una festa di nozze che sta per fallire e interviene presso suo Figlio. È ancora amore personale, oblativo e concreto quello che Maria manifesta restando accanto al Figlio sotto la croce, e accogliendo da Lui, come un nuovo figlio, il discepolo amato. È infine amore personale, oblativo e concreto quello con cui Maria accompagna la Chiesa nascente nell’attesa del dono dello Spirito, tenendo unita, attraverso la preghiera, questa piccola comunità di discepoli timorosi e impauriti.
Questo atteggiamento, che è caratteristico di Gesù e di Maria, occorre che diventi anche nostro. 
Ed è bene che ci interroghiamo sulla qualità del nostro amore: è, o almeno cerca di essere, amore di carità? Amore personale, oblativo e concreto? È un amore che si trasforma anche in capacità di far crescere l’altro? È un amore capace di stare accanto sia nella gioia, sia nella sofferenza? È un amore che si manifesta sia in ciò che pensiamo, sia in ciò che diciamo, sia in ciò che facciamo nei confronti dell’altro?

4. La terza parola è fede, nella forma verbale è credere, un verbo che ricorre addirittura 241 volte nel Nuovo Testamento. Maria viene proclamata beata da Elisabetta perché ha creduto che ciò che Dio dice si realizza, si compie! Ed è grazie a questo atteggiamento che Maria canta il Magnificat e in questo canto legge con gli occhi della fede la propria vita e la storia dell’umanità. È questa lettura di fede che ci aiuta a non diventare pessimisti nel momento in cui siamo sommersi dalla cronaca nera, dai conflitti, dalle contraddizioni dei tempi e dei luoghi in cui ci troviamo a vivere! Solo uno sguardo di fede su noi stessi e sulla storia, ci permette di tenere viva la speranza certa che Dio è all’opera e che Dio realizza ciò che ha promesso: compreso il gettare in confusione i superbi, gli arroganti e i prepotenti che sono pieni di sé, il rovesciare i potenti dai troni per innalzare gli umili, il rimandare i ricchi a mani vuote per ricolmare di beni gli affamati, e il ricordare la sua misericordia e le sue promesse fatte ad Abramo, nostro padre nella fede.
Solo uno sguardo di fede ci permette anche di fare una lettura vocazionale della nostra vita, una lettura nella quale non cerco per me le “cose grandi” nella prospettiva del mondo: potere, successo, ricchezza, realizzazione personale… Se cerco queste “cose grandi” mi troverò inevitabilmente a subire il rovesciamento da parte di Dio. Maria mi insegna a cercare le “cose grandi” che Dio vuole per me, e questa significa guardare alla vita con una prospettiva vocazionale. Se voglio che Dio possa realizzare “cose grandi” in me e per me, occorre che io mi fidi di Lui, che mi lasci condurre da Lui, che gli chieda costantemente: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

5. La vergine Maria, che oggi festeggiamo in occasione della sua visita a santa Elisabetta, ottenga per noi questa capacità di gioire nel Signore, di amare in modo personale, oblativo e concreto, e di credere che nella nostra vita si realizzeranno cose grandi, solo se ci fidiamo del Signore e crediamo che la sua Parola si può realizzare anche in ciascuno di noi.

 

Fr. Francesco Patton, ofm
Custode di Terra Santa