Da peccatore a collaboratore di Dio | Custodia Terrae Sanctae

Da peccatore a collaboratore di Dio

V Domenica del Tempo Ordinario C

Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA  e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". Al suo fianco le formichine di Fabio Vettori, interpreti della Parola, di domenica in domenica.

 

Nella cultura classica esistevano gli eroi, uomini dotati di capacità eccezionali come Ercole o Achille, capaci di compiere imprese sovrumane, quasi divine. Nella cultura popolare contemporanea esistono i supereroi, personaggi di fantasia dotati di superpoteri straordinari, come Superman o l’Uomo Ragno, che combattono contro le forze del male. Nella narrazione biblica, invece, coloro che Dio chiama ad essere suoi collaboratori nell’opera di salvezza sono uomini assolutamente normali, anzi, sono persone fragili, come Isaia, come Pietro, come Paolo.

Secondo la Bibbia coloro che Dio chiama ad essere suoi collaboratori non sono superuomini (o superdonne) ma persone normali, compresi i limiti. Questo comporta, da parte degli stessi chiamati la necessità di saper riconoscere in partenza i propri limiti: “Un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito” (Is 6,5), esclama Isaia al momento della sua chiamata, gli fa eco Pietro che si getta ai piedi di Gesù ripetendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8), “Io sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio” (1Cor 15,11) dice di sé Paolo. Contemporaneo al riconoscimento dei propri limiti, dei propri peccati e della propria indegnità è il riconoscimento dell’intervento di Dio nella loro vita. È questo intervento a far sì che la fragilità ed i limiti umani e personali non siano di ostacolo alla collaborazione con Dio: il serafino purifica le labbra di Isaia, il Cristo risorto fa sperimentare a Paolo la sua grazia, Gesù di Nazareth dona fiducia a Pietro. Per il chiamato risulta perciò essenziale sapersi fidare di Dio e della sua Parola, solo a quel punto possiamo dire: “Eccomi, manda me” (Is 6,8), mettere la nostra vita e la nostra persona, le nostre forze ed abilità a disposizione del Signore per l’annuncio del Vangelo e la salvezza degli uomini. L’ultimo aspetto da prendere in considerazione lo scopriamo attraverso le parole di Paolo ai Corinti: “A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto” (1Cor 15,3). Nessun chiamato è padrone del Vangelo, nemmeno la Chiesa lo è. E questo comporta che a volte il chiamato si trovi a sostenere posizioni scomode, perché ci sono poteri umani che vorrebbero far piegare le ginocchia a Cristo piuttosto che piegarle davanti a lui.

Le statistiche mi dicono che diminuisce il numero delle persone che partecipano alla vita della Chiesa, che i giovani stentano a mettersi a servizio del Vangelo a tempo pieno, che i chiamati fan fatica a seguire la loro vocazione, che anche le famiglie cristiane vanno a gambe all’aria, ma è “sulla Parola di Cristo”, non sulle statistiche, che sono chiamato a prendere il largo, a gettare le reti, a donare la vita.