Da san Francesco a papa Francesco: la profezia di un mondo riconciliato | Custodia Terrae Sanctae

Da san Francesco a papa Francesco: la profezia di un mondo riconciliato

Intervento del Custode di Terra Santa presso la Pontificia Università Antonianum

Il Signore vi dia Pace!

Nel tempo che mi è concesso toccherò alcuni punti che possono in qualche modo costituire una connessione tra san Francesco d’Assisi e papa Francesco. Tenendo conto del fatto che l’occasione che ci vede qui riuniti è quella di fare memoria di otto secoli di presenza francescana in Terra Santa. Una presenza avviata nel 1217, dopo il Capitolo di Pentecoste, per iniziativa dello stesso Francesco.

1. Homo homini frater anziché homo homini lupus

L’affermazione homo homini lupus, cioè che «L’uomo è un lupo per l’uomo», risale al poeta latino Plauto (255-184 a. C.), e si trova nell’Asinaria (v. 495). 
È un’idea ripresa in epoca moderna da Thomas Hobbes nel XVI sec, nel Leviatano (1651).
Per Hobbes (Leviatano, 1651), la natura umana è fondamentalmente egoista e c’è una «guerra di tutti contro tutti» in ogni ambito sociale ed economico.
In tempi recenti Samuel Phillips Huntington ha parlato di «scontro di civiltà», su base culturale e religiosa.
Per Francesco d’Assisi invece l’idea fondamentale è un’altra, usando il latino potremmo dire che per Francesco dobbiamo dire “homo homini frater”, l’uomo è un fratello per l’altro uomo. 
In uno studio di qualche anno fa, Carlo Paolazzi, che ha insegnato anche in questa università, e ha curato l’ultima edizione critica degli “Scritti” di Francesco d’Assisi, ha messo in luce come Francesco non usi mai la parola nemico per riferirsi all’altro, ma unicamente al proprio io egoista. Il nemico per Francesco non è mai di fronte a noi, ma dentro di noi! Di fronte ci sta il fratello: che è tale anche quando si tratta di una persona che professa un’altra religione, che è tale anche quando si tratta dell’avversario e del brigante, che è tale quando si tratta di ogni creatura animata e inanimata. E per Francesco il fratello è dono di Dio e la modalità di entrare in relazione con lui è quella dell’accogliere con bontà (Rnb VII,14: FF 26).

2. Da san Francesco a papa Francesco: Laudato Sii
In tempi recenti siamo stati provocati da un altro Francesco, non l’Assisiate, ma papa Francesco, che ha voluto riprendere questo stesso stile relazionale e ne ha fatto oggetto anche di magistero, soprattutto nell’enciclica “Laudato sii”, pubblicata – non a caso – nella Pentecoste del 2015.
È un’enciclica in cui a partire dall’idea della fraternità scopriamo un modo nuovo di vivere alcune dimensioni fondamentali della nostra esperienza umana e religiosa.

  • Si tratta anzitutto della dimensione specificamente religiosa della lode e quindi della preghiera. Lo spunto francescano dell’Enciclica prende le mosse proprio da quello che viene tradizionalmente chiamato “Cantico di Frate Sole” o “Cantico delle Creature”, che sottolinea la dimensione della lode a Dio, che è una dimensione di origine biblica, la fonte è chiaramente quella dei Salmi di lode al Creatore.

E Francesco d’Assisi riprende questo modello per ricordarci che la lode appartiene solo a Dio e per richiamarci al fatto che la lode è un modo per restituire a Dio ciò che è suo, ma anche un modo per evidenziare la bontà di tutto ciò che proviene da Dio e il fatto che percepire questa bontà significa percepire la bontà della nostra stessa personae ed esistenza. 
Non esiste esperienza religiosa che non abbia questa dimensione della preghiera e non esiste – potremmo dire – esperienza umana, che non abbia la dimensione della preghiera. Perfino chi non crede, a modo suo, conosce la dimensione della preghiera, come ci ha ricordato qualche anno fa il Cardinal Martini dedicando a questo tema una “Cattedra dei non credenti”. 
In Laudato sii, il tema della preghiera è la cornice di tutto il testo, che si apre appunto con le parole del “Cantico di Frate Sole”, che presenta poi il grido della Madre Terra, cioè il grido del Creato, include il testo dello stesso san Francesco e si conclude con due preghiere di lode ispirate al “Cantico di Frate Sole”, una specificamente cristiana e una condivisibile da credenti di ogni religione.

  • La seconda dimensione che l’enciclica permette di evidenziare è quella ecologica, del rapporto con ogni creatura e con il creato, attraverso una cura della casa comune che diventa attenzione ad ogni persona e ad ogni creatura per uscire dalla logica della cultura dello scarto ed entrare nella logica della cultura dell’accoglienza e della cura fraterna.

Su questa dimensione abbiamo avuto modo di dialogare anche a Gerusalemme, con il Rabbino David Rosen e con il Kadi Iyad Zahalka, che ringrazio per la loro presenza qui. Il rapporto con il Creato e con le creature è un rapporto di fraternità, perché si basa sulla nostra comune origine. 
Ma è anche un rapporto di responsabilità, perché, come attraverso il Creato Dio si prende cura di noi, così noi siamo posti dentro il Creato come dentro un giardino che ha bisogno della nostra cura e della nostra responsabilità. Lì dove viene a mancare questa coscienza, questa cura e questa responsabilità inesorabilmente si fa strada la cultura dello scarto, che riguarda le cose e – ahimè – le stesse persone.

  • Una terza dimensione che mi preme di sottolineare è quella economica. Per san Francesco, che abbraccia interamente il pensiero biblico, tutto ciò che è creato appartiene a Dio e noi non ci possiamo appropriare di nulla.

Nasce da qui l’idea che siamo chiamati a vivere “sine proprio”, che non significa senza niente, cosa praticamente impossibile. Ma significa piuttosto vivere senza appropriarci, vivere nella logica della condivisione e dell’utilizzo in spirito di gratuità e di riconoscenza ma anche con quel senso di responsabilità che evita appunto la cultura dello scarto. 
È su questa idea che la stessa dottrina sociale della Chiesa ripresa dall’Enciclica evidenzia l’importanza di riconoscere la destinazione universale e comune dei beni della creazione, così come il principio di solidarietà e quello di sussidiarietà. Temi che fanno parte del pensiero francescano e che anche in questa università trovano la sede opportuna del loro approfondimento.

3. La Custodia di Terra Santa come fraternità internazionale 
Se penso all’esperienza della Custodia di Terra Santa in termini di fraternità trovo al suo interno una risorsa particolare che è quella della internazionalità e della multiculturalità. La Custodia di Terra Santa è una presenza francescana di tipo internazionale e lo è fin dall’inizio. Poi, quando riceve un mandato ufficiale della Santa Sede, da papa Clemente VI nel 1342, l’internazionalità diventa parte dello statuto giuridico della Custodia.
Mi pare che questa internazionalità possa essere una grande occasione di manifestare il desiderio cristiano e francescano di esprimere la dimensione universale della fraternità. 
E credo che questa internazionalità, con la sua inevitabile multiculturalità, manifesti un aspetto importante dell’atteggiamento fraterno inteso come una modalità inclusiva di vivere l’incontro con l’altro, a partire da un’identità chiara e nel rispetto dell’identità dell’altro.
L’internazionalità e la multiculturalità possono essere anche una grande occasione di allenamento ad un modo diverso di entrare in relazione con chi vive un’altra identità e appartenenza religiosa, secondo una modalità che in Terra Santa è abbastanza evidente ed è la modalità del permettere a tutti di esprimere la propria fede, anche pubblicamente, anziché confinarla nei luoghi religiosi – qui si direbbe nelle sacrestie – e ridurla a una dimensione puramente privata, confondendo il significato di pratica personale con la sua riduzione a pratica privata.
Ciò comporta certamente anche difficoltà e tensioni, ma è al tempo stesso un modo molto concreto per affermare la libertà fondamentale, che è quella religiosa, cioè di coscienza, imparando a far parte di una realtà che è multiforme e non uniforme.
In un contesto del genere acquistano valore particolare anche gesti concreti di una grande semplicità, come quello del sapere che esistono calendari diversi dal nostro, feste che hanno un altro nome e un loro significato e nel farsi gli auguri reciprocamente in occasione delle feste degli altri.
I gesti concreti acquistano un significato simbolico e i gesti simbolici hanno un significato concreto, nel bene e nel male.

4. Saper apprezzare l’altro e saper imparare dall’altro

Per uscire dalla logica dell’homo homini lupus e approdare a quella dell’homo homini frater è necessario avere lo sguardo Francesco d’Assisi, pur sapendo che qualcuno ci dirà che siamo naif e che non abbiamo senso della realtà.

Raccontano le biografie antiche che Francesco d’Assisi esprime con forza la convinzione che solo Dio è all’origine del bene, per cui occorre saper cogliere il bene nelle parole e nei gesti di ogni persona e dar lode a Dio. L’idea di fraternità non è esclusiva, ma è piuttosto inclusiva e passa attraverso l’atteggiamento di apertura verso l’altro, di accoglienza dell’altro e di apprezzamento dell’altro.
La capacità di apprezzare e anche emulare aspetti positivi presenti nella pratica religiosa altrui è qualcosa che ha caratterizzato san Francesco e che può essere prezioso anche oggi.
Dopo il suo viaggio in Terra Santa e l’incontro con il Sultano Malek El Kamel, san Francesco scrive diverse lettere, in una di queste, rivolta ai reggitori dei popoli, scrive: “e vogliate offrire al Signore tanto onore in mezzo al popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che all’onnipotente Signore Iddio siano rese lodi e grazie da tutto il popolo” (v. 7 FF 213). Aveva evidentemente notato e apprezzato come nel mondo musulmano esisteva un invito pubblico alla preghiera, che veniva fatto attraverso il muezzin.
Mi pare importante recepire come qualcosa di positivo anche nel nostro contesto il valore di poter esprimere pubblicamente la propria fede, senza prevaricare sull’altro, ma al tempo stesso senza subire quel tipo di censura che vorrebbe silenziare le espressioni religiose in nome di una malintesa laicità.
Così come mi pare importante, e lo dico a titolo puramente esemplificativo, recepire il valore di avere un giorno di riposo, come viene fortemente sottolineato dall’ebraismo attraverso il riposo dello Shabbat, perché nel momento in cui perdiamo la possibilità di avere questo giorno di riposo non solo oscuriamo la nostra immagine e somiglianza con Dio, come suggerisce la versione del comandamento sul riposo contenuta nel Libro dell’Esodo (Es 20,8-11), ma cadiamo in una forma di schiavitù che umilia la persona e la sua dignità, come evidenzia la versione dello stesso comandamento contenuta nel libro del Deuteronomio (Dt 5,12-15). Ed è un riposo che riguarda tutti e tutto, con una valenza potremmo dire al tempo stesso antropologia, sociale ed ecologica.

5. Conclusione

Da san Francesco a papa Francesco sono passati otto secoli, e in questi otto secoli la nostra presenza in Terra Santa si è radicata ed è cresciuta, come presenza fraterna, pacifica e dialogante. Come presenza di preghiera, di cura dei luoghi santi cristiani e di servizio alla comunità locale.
Nel segno della fraternità questa presenza, grazie a Dio, è viva ancora oggi.

 

Fr. Francesco Patton OFM
Custode di Terra Santa