Il dialogo tra culture e religioni nella promozione della pace: 800 anni di presenza francescana | Custodia Terrae Sanctae

Il dialogo tra culture e religioni nella promozione della pace: 800 anni di presenza francescana

Intervento del Custode di Terra Santa presso il Palazzo della Farnesina - MAECI

Il Signore vi dia Pace!

1. San Francesco e il Sultano: l’icona dell’incontro e del dialogo
Tutti noi ricordiamo l’incontro di san Francesco con il Sultano Malek El Kamel a Damietta in Egitto. È un incontro che si colloca dentro precise coordinate storiche e geografiche, quelle della V crociata. E sappiamo che è avvenuto durante il viaggio di san Francesco in Terra Santa nel 1219. È un incontro ben documentato sia nelle fonti interne all’Ordine sia in quelle esterne. È un incontro che è stato ben presto oggetto di raffigurazione iconografica, dalla “Tavola Bardi” di Firenze all’affresco di Giotto nella Basilica superiore di san Francesco ad Assisi.
È un incontro che non fu affatto incoraggiato, anzi, era visto come impossibile. 
La Cronaca di Ernoul, lo storico delle crociate vissuto in Oriente durante le stesse crociate, riporta con parole molto sobrie ma inequivocabili il confronto tra Francesco e il cardinal Pelagio, quando il Poverello chiede il permesso di andare dal Sultano: 
“Ora vi dirò di due chierici che si trovavano nell’esercito a Damiata. Essi si recarono dal cardinal (legato), e gli manifestarono la loro intenzione di andare a predicare al Sultano; ma volevano fare questo con il suo beneplacito. Il cardinale rispose che, per conto suo, non avrebbe mai dato né licenza né comando in tale senso, perché non voleva concedere licenza che si recassero là dove sarebbero stati senz’altro uccisi. Sapeva bene infatti, che se ci andavano, non ne sarebbero tornati mai più. Ma essi risposero che, se ci andavano, lui non avrebbe avuto nessuna colpa, perché non era lui che li mandava, ma semplicemente permetteva che vi andassero.
E tanto lo pregarono che il cardinale, costatando che avevano un proposito così fermo, disse loro: «Signori miei, io non conosco quello che voi avete in cuore e quali siano i vostri pensieri, se buoni o cattivi; ma se ci andate, guardate che i vostri cuori e i vostri pensieri siano sempre rivolti al Signore Iddio». Risposero che non volevano andare, se non per compiere un grande bene, che bramavano portare a compimento. Allora il cardinale disse che potevano pure andarci, se lo volevano, ma che non si pensasse da nessuno che era lui a inviarli” (Testo in Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier. Dal testo in antico francese riportato da GOLUBOVICH, BBT, I, pp. 10-13: FF 2131).
Alla fine, come sappiamo, Francesco riesce ad attraversare le linee di guerra, non subisce nessun tipo di violenza da parte dei soldati del sultano, e può incontrare il Sultano e dialogare con lui.

Viene trattato secondo le leggi dell’ospitalità sacre in Oriente e alla fine rientra sano e salvo, assieme al suo confratello, nel campo crociato. E di lì rientrerà in Terra Santa e poi in Italia.

2. La ricerca dell’incontro e del dialogo, tra realismo e sogno
La ricerca dell’incontro e del dialogo non è parte di una strategia volta a “conquistare” l’altro, è piuttosto parte di una convinzione profonda, teologica, che è quella della comune origine per opera di Dio e della comune appartenenza all’unica grande famiglia dell’umanità.

Quella dell’origine comune è una convinzione particolarmente forte nelle religioni ebraica, cristiana e musulmana, che hanno al proprio interno un racconto della creazione dell’uomo, inteso come uomo e donna, cioè come essere relazionale ed hanno quindi al proprio interno la consapevolezza della comune origine da Dio, che precede ogni genere di distinzione di tipo etnico, culturale e religioso.

Per un cristiano il rapporto con ebrei e musulmani è qualcosa che lungo la storia ha certamente conosciuto fasi alterne, lunghi periodi di polemica e di ostilità, che in alcune epoche è sfociato perfino nella violenza, ma che a partire dal Concilio Vaticano II ha visto un’inversione di tendenza a livello ufficiale e magisteriale, basti pensare a quanto leggiamo in Nostra Aetate.

Al numero 3 viene delineato il rapporto con i musulmani e i punti in comune tra la tradizione cristiana e quella musulmana, invitando a superare l’ostilità che ha caratterizzato lunghe stagioni della nostra storia: [“La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.
Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”].

Al numero 4 viene messo a fuoco il rapporto con gli ebrei: [“Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.
La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti”].
E dopo aver evidenziato i tanti punti in comune, il testo invita esplicitamente al dialogo: [“Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”].
Infine prende anche posizione in modo chiaro e inequivocabile rispetto a qualsiasi fenomeno di antisemitismo: [“La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque”].

Mi sia permesso di dire che con il realismo dell’utopia e con la sua capacità di leggere il vangelo con semplicità di cuore, san Francesco Assisi aveva adottato questo tipo di approccio già otto secoli fa e proprio in un tempo in cui la modalità dell’incontro era più frequente che quella dell’incontro e del dialogo.
Pochi giorni fa, in una delle nostre scuole, ho visto un quadro che è una specie di visione di pace su Gerusalemme, è opera di un pittore brasiliano di origine ebraica ed è stato regalato a una delle nostre scuole da un giovane palestinese appassionato d’arte: su questo quadro la città di Gerusalemme è raffigurata come luogo d’incontro tra ebrei, cristiani e musulmani. Sono chiaramente visibili la Cupola della Roccia, il Tempio e il Santo Sepolcro. Sopra di loro un arcobaleno, che dai tempi di Noè richiama il tema della pace. In primo piano uomini e donne delle tre religioni, chiaramente identificabili, che si incontrano e dialogano in pace.
Questa è utopia? Questo è sogno?
Certamente, ma a volte c’è più prospettiva di futuro in chi sa sognare che in chi resta imprigionato in un realismo che non sa intravedere alcuna via di uscita dalle situazioni di conflitto o di stallo.
Di fatto san Francesco ha abbracciato questo tipo di sogno e di utopia, e questo gli ha permesso di vivere gli incontri che ha vissuto, e questo ci ha trasmesso e questo modo di entrare in relazione ha reso possibile e rende possibile la nostra presenza francescana in Terra Santa lungo otto secoli.
Certo bisogna che il numero dei sognatori cresca, bisogna che il numero di coloro che credono in una possibilità diversa di relazionarsi aumenti, bisogna che cresca il numero delle persone capaci di vedere la realtà non solo com’è ma come potrebbe essere nella sua forma migliore.
Il sogno, come la scommessa, ha sempre anche un’alta percentuale di rischio. Ma vale la pena correre questo rischio per avere un futuro diverso.

3. Il valore delle opere sociali e il loro contributo al dialogo e alla pace
Per far crescere il dialogo e anche per far crescere questo sogno di incontro e di costruzione della pace, le opere sociali hanno un grande significato. Quando san Francesco ha dato le proprie indicazioni su come inserirsi in un contesto religioso e culturale diverso dal nostro ci ha detto che è importante non fare liti o dispute e che occorre mettersi al servizio di ogni umana creatura per amore di Dio, confessando di essere cristiani.
Le opere sociali manifestano questo desiderio di metterci a servizio di ogni persona per amore di Dio. Nel contesto della Terra Santa, si rivelano particolarmente importanti, in questo senso, le scuole. La Custodia attualmente ne gestisce 15. 
In genere nelle nostre scuole la maggioranza degli studenti sono musulmani, ma proprio la scuola permette un contatto tra cristiani e musulmani che riguarda gli studenti, gli insegnati e il personale non docente, le famiglie. Lo stare insieme, il collaborare, l’incontrarsi, porta a una conoscenza reciproca che è già un piccolo tassello nella costruzione della pace.

Una di queste scuole, una scuola di musica affiliata al Conservatorio di Vicenza, è ancora più avanzata nella sua dimensione interreligiosa, perché ha al proprio interno docenti e studenti di musica che sono ebrei, cristiani e musulmani. Il potenziale di dialogo e di incontro attraverso l’arte e la cultura è probabilmente complementare a quello delle opere sociali e lo stiamo esplorando con varie iniziative, la maggiore delle quali sarà il Museo di Terra Santa, che sarà una grande occasione culturale per avere un luogo che conservi la memoria della identità cristiana di Gerusalemme, che si colloca accanto alla sua identità ebraica e musulmana ed evidenzia il valore universale di questa Città Santa e unica, ma il Museo sarà anche una grande occasione per creare, attraverso la cultura, un punto di incontro e di contatto tra cristiani, ebrei e musulmani.

4. Il contributo di una presenza di minoranza nella promozione della pace
Come cristiani, in Terra Santa siamo una minoranza. E come francescani la nostra presenza, seppur di otto secoli, è pur sempre una presenza quantitativamente di minoranza. Del resto essere “minori” fa parte della nostra stessa vocazione.
L’essere minori e l’essere minoranza non significa però essere irrilevanti. Vorrei esemplificare in maniera molto rapida alcune opportunità di dialogo e di promozione della pace legate alla nostra piccola presenza.

a. Dal mio punto di vista bisogna saper cogliere le occasioni nel momento in cui si presentano. Faccio alcuni esempi: quest’anno a Betania, la città di Lazzaro, Marta e Maria, che erano gli amici di Gesù, abbiamo avuto modo di ospitare un Iftar, una cena verso la fine del periodo di Ramadan, ed è stata un’occasione di incontro tra la nostra piccola comunità francescana e la comunità musulmana. 
Betania è un luogo dove i bambini delle scuole vengono a visitare il nostro santuario, coi suoi mosaici e con i suoi resti archeologici, è un luogo dove gli studenti musulmani di archeologia vengono a scavare per mettere in luce i resti di un antico monastero, è il luogo dove in occasione del Natale i collaboratori musulmani del Mosaic Center di Gerico hanno realizzato un presepio che mi hanno voluto donare in occasione del Natale.
Anche sul versante dell’incontro con il mondo ebraico occorre saper cogliere le occasioni che si presentano. Quest’anno abbiamo avuto la possibilità di realizzare un convegno di una giornata sulla figura di Giovanni Battista ad Ain Karem, la città natale di Giovanni Battista, che è una città oggi quasi totalmente abitata da ebrei e dove noi siamo presenti con alcuni santuari. 
Il convegno è nato per iniziativa dei responsabili ebrei della comunità locale, è nato dal loro desiderio di approfondire assieme la figura del Battista e del significato che avevano i bagni rituali all’epoca del II Tempio. L’iniziativa ha avuto poi il suo corollario di condivisione della mensa e di poter ascoltare in ebraico il Cantico di Zaccaria che noi normalmente cantiamo in latino.
È stato un momento talmente significativo per la nostra piccola comunità e per la comunità ebraica di Ain Karem che abbiamo pensato di farlo diventare un appuntamento annuale, che aiuterà a far crescere le relazioni tra di noi.

b. Le occasioni di incontro ci sono, ma solo se ci relazioniamo senza pregiudizi e ci teniamo aperti gli uni agli altri le possiamo cogliere e le possiamo accogliere. 
Questo fa parte della nostra tradizione di presenza plurisecolare e questo è un piccolo contributo che noi possiamo dare alla causa del dialogo e della pace.

c. Occorre infine saper attraversare i confini. I confini non sono solo fisici, i confini sono anche etnici, culturali, religiosi, di mentalità. Francesco d’Assisi che attraversa le linee di guerra è un grande esempio, di ciò che significa non lasciarsi scoraggiare dalla presenza di confini e limiti, ed è un’immagine potente di quello che anche noi siamo chiamati a fare.
Per andare da Gerusalemme a Betlemme e da Betlemme a Gerusalemme, bisogna sempre passare un check-point e per visitare i nostri frati che vivono in Libano o in Siria bisogna fare un lungo giro. Eppure non sono questi i confini più difficili da oltrepassare, ma quelli che si trovano dentro di noi e ci impediscono di sentirci liberi di andare incontro a chi è di un popolo, di una cultura o di una religione diversa dalla nostra.
Attraversare i confini fisici è qualcosa che richiede spesso lunghe code e molta pazienza ma attraversare i confini etnici, culturali e religiosi richiede libertà interiore, fiducia, superamento del pregiudizio, e certamente anche tempo e pazienza, verso se stessi e verso gli altri e la capacità di saper riconoscere quando si può osare un passo in più, un incontro impegnativo, una collaborazione nuova.

5. Il valore preghiera in san Francesco: dal riconoscimento del bene alla lode a Dio
Desidero concludere sottolineando un altro tratto della nostra presenza francescana in Terra Santa, che è il tratto della preghiera. In realtà noi frati della Custodia di Terra Santa abbiamo come primo compito, come “mandato” ufficiale da parte della Chiesa di Roma, quello di vivere nei luoghi santi cristiani e di pregare nei luoghi santi cristiani. 
È questo il mandato che ci ha consegnato papa Clemente VI nel 1342, assieme all’esigenza che ci ha posto di essere una realtà internazionale, quindi non monoetnica o monoculturale.
L’esperienza della preghiera e della lode è qualcosa di fondamentale per noi e per la nostra esistenza. L’esperienza della lode nasce dalla costatazione della bontà di Dio che si manifesta nella bontà della vita e nel bene che sperimentiamo attraverso le persone.
Per San Francesco è evidente che la sorgente di ogni bene e di ogni bontà è Dio, “che solo è buono”. E nella sua prospettiva noi siamo chiamati a restituire a Dio attraverso la lode e attraverso una vita buona il bene che Lui ci dona e ci fa sperimentare.
Il bene non è cristiano, o ebraico, o musulmano, il bene è di Dio, il bene è Dio stesso. E quando penso ai nostri cristiani di Betlemme e alle tante istituzioni che lì si prendono cura delle persone anziane, dei poveri, dei bambini disabili o con problemi dò lode a Dio; quando penso ai nostri collaboratori musulmani che ci aiutano a rendere accoglienti i nostri santuari e lo fanno con amore e dedizione o che collaborano per il futuro dei nostri ragazzi nelle scuole di Terra Santa, dò lode a Dio; e quando penso all’associazione Jerusalem African Community Center, che è composta in larga maggioranza da ebrei impegnati ad aiutare i profughi e i rifugiati che giungono dall’Africa attraverso il Sinai, dò ancora lode a Dio.

E anche quando penso ai tanti incontri vissuti dai frati della Custodia in questi otto secoli e a questo incontro di oggi, non posso fare altro che dar lode a Dio.

 

Fr. Francesco Patton OFM
Custode di Terra Santa