At 10,34a.37-43; Sal 88,2 5.21-22.25.27; 1 Pt 5,1-4; Gv 21,1-24
Carissime sorelle, carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace!
1. «Venite a mangiare». Così si rivolge Gesù a Pietro e ai suoi compagni di pesca mentre tirano a riva la rete con i 153 grossi pesci.
Gesù risorto aveva invitato i discepoli a gettare di nuovo la rete in acqua dopo una notte di fatica infruttuosa e quando loro portano il pesce a riva è lui per primo a offrire loro da mangiare e a invitarli a condividere ciò che hanno pescato.
Questo, secondo l’evangelista Giovanni, è l’ultimo incontro di Gesù Risorto con i suoi discepoli, ed avviene qui a Tabga, sulla riva di questo meraviglioso lago dove ci troviamo a celebrare questa sera.
È un gesto di fraternità, quello che Gesù compie. È un gesto di amore. Come Gesù aveva nutrito le folle con pochi pani e pochi pesci, per aiutare a comprendere che è lui il vero nutrimento e che lui ci nutre dando per amore tutto se stesso, così ora, ancora una volta, nutre i suoi discepoli rendendo fruttuosa la loro pesca e offrendo loro pesce alla brace. Infatti, in ogni gesto che compie e in ogni parola che dice, Gesù manifesta il primato dell’amore.
2. Così, dopo aver amato i suoi e aver portato a compimento l’amore, Gesù chiede anzitutto di amarlo al di sopra di tutto e al di sopra di tutti.
Nel brano che leggeremo al termine della celebrazione e che è l’immediata continuazione di quello che abbiamo appena letto, proprio per questo noi sentiremo Gesù chiedere a Pietro per tre volte: “Mi ami più di tutto e più di tutti? Mi ami? Mi vuoi bene?”.
Il primato di Pietro, che noi celebriamo oggi qui nel luogo in cui Gesù lo ha istituito, si fonda perciò su una professione di amore per Gesù, che è espressione della relazione di amore con Gesù.
Il primato di Pietro non è anzitutto il ruolo o il ministero che Lui avrà nella Chiesa (questo è la conseguenza), ma è il primato della relazione con Gesù e dell’amore per Lui, che dev’essere al di sopra di ogni altro amore e deve venire prima di ogni altra relazione. Esattamente com’è l’amore di Gesù per il Padre, che viene prima della sua missione e ne è il fondamento e la sorgente.
3. Da questo primato deriva e discende poi quello che noi normalmente chiamiamo “il primato di Pietro”, il suo compito dentro la Chiesa, che è ancora una volta un primato dell’amore, e consiste nel nutrire e guidare i propri fratelli, come Gesù ha nutrito e guidato i suoi discepoli. È questo il senso delle parole di Gesù rivolte a Pietro: “Pasci i miei agnelli”, cioè: “Da’ da mangiare ai miei discepoli un nutrimento buono e sano”; e ancora: “Pascola le mie pecore”, cioè: “Conduci e guida i miei discepoli in un luogo sicuro, dove troveranno acqua e cibo e potranno stare al sicuro”.
Non a caso il grande padre apostolico s. Ignazio di Antiochia, discepolo di san Giovanni evangelista e successore dello stesso Pietro sulla sede di Antiochia, riassumerà il servizio del primato della Chiesa di Roma dicendo che consiste nel “presiedere alla carità” (Rom I,1).
Non è una presidenza di onore, ma è una presidenza di amore gratuito e fino al dono di sé. Amore concreto, che consiste nell’offrire ai fedeli un solido nutrimento dottrinale e sacramentale e nel guidarli con carità lungo il cammino della storia verso la meta del Regno.
Ciò che viene chiesto a Pietro è ciò che prima di lui ha fatto lo stesso Gesù. Ciò che viene chiesto a Pietro è ciò che viene chiesto a ognuno di noi, cioè prenderci cura gli uni degli altri: preoccupandoci della salute spirituale e vocazionale gli uni degli altri, imparando a nutrirci reciprocamente della parola di Gesù e dei sacramenti che Lui ci ha lasciato, ma anche guidandoci reciprocamente per continuare a camminare sulla via di Gesù e – se necessario – anche correggendoci a vicenda.
4. Alla luce di questo primato dell’amore verso Gesù, che si traduce in primato dell’amore concreto verso i nostri fratelli e sorelle, comprendiamo anche il valore della nostra chiamata.
Infatti, Gesù, dopo aver chiesto a Pietro per tre volte: “Mi ami? Mi ami? Mi vuoi bene?” e dopo avergli affidato il servizio di nutrire e guidare i suoi agnelli e le sue pecore (suoi di Gesù, non di Pietro), gli preannuncia con quale morte darà gloria a Dio, con una morte simile alla sua, alla morte di Gesù, alla morte del Maestro e del Signore. Solo dopo aver posto queste premesse, Gesù dice a Pietro: “Seguimi”. E poco dopo lo invita a seguirlo senza fare confronti e paragoni tra la sua vocazione e quella degli altri: “Se voglio che egli [Giovanni] rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”.
La chiamata matura e definitiva avviene qui, a Tabga, sulla riva di questo lago.
A volte nelle nostre parrocchie e comunità, negli ambienti di Chiesa in genere, abbiamo l’idea che nella Chiesa ci siano chiamate importanti e altre che valgono poco, o che ci siano ruoli da cercare e altri da schivare.
Gesù nel colloquio con Pietro ci ricorda che nella Chiesa il primato è dell’amore. Che chiunque è chiamato è chiamato a questo primato e dovrà imparare a servire e non a farsi servire. Che chi è chiamato a questo primato dovrà sapere ciò che lo aspetta, che dovrà dar gloria a Dio dando la vita per amore. Chi è chiamato a questo primato dovrà ricordare che dovrà anzitutto vivere la propria vocazione, senza lasciarsi andare a confronti e paragoni che alimentano solo forme velate o esplicite di invidia, di gelosia e di ambizione.
Che lo Spirito Santo doni a ciascuno e ciascuna di noi la grazia di seguire Gesù in questo modo.
Allora anche noi saremo partecipi dell’unico primato che conta, il primato dell’amore, a servizio della fraternità.
Così sia.