Nm 21,4-9; Sal 95,10-13; Fil 2,5-11; Gv 3,13-17
1. Carissime sorelle, carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace!
Ci troviamo a celebrare la festa del ritrovamento della Santa Croce nel luogo in cui, secondo la tradizione, tale ritrovamento è avvenuto. Le letture proposte, la narrazione del ritrovamento e i formulari della liturgia ci spingono a concentrare la nostra attenzione su tre aspetti:
- la croce di Gesù come mistero apparentemente contraddittorio di innalzamento attraverso l’abbassamento;
- il suo ritrovamento e il significato salvifico che ha la croce per la nostra vita e per l’intera umanità;
- l’atteggiamento da assumere perché la festa odierna sia esistenziale e non solo rituale.
2. Vediamo anzitutto il mistero della croce nella sua apparente contraddizione: è la piena manifestazione dell’amore del Padre attraverso il figlio innalzato sulla croce, è la pienezza del dono di sé nel più completo svuotamento di sé, è l’innalzamento attraverso l’abbassamento, è la gloria attraverso l’umiliazione, è la vita che scaturisce dall’entrare obbedienti, cioè totalmente fiduciosi, nel mistero della morte.
La morte di croce non è una morte qualsiasi, perché era riservata agli schiavi ribelli, ai criminali socialmente pericolosi, ai maledetti che avevano trasgredito la legge di Dio ed erano ormai irrimediabilmente lontani da Lui.
Era quindi la morte di chi veniva considerato senza speranza di salvezza da un punto di vista religioso, irrecuperabile sul piano sociale, senza alcuna dignità sul piano umano.
Quando noi pensiamo a Gesù che muore in croce noi dobbiamo pensare che il suo è il gesto di massima condivisione della nostra umanità e di massima redenzione proprio perché si mette al posto dello schiavo, del criminale, del maledetto. E in questo modo ci dice che nessuno è senza dignità, senza speranza, senza possibilità di ricupero. Nessuno è irrimediabilmente lontano da Dio, perché nel Cristo in Croce è il Padre stesso che si è fatto e si fa vicino ad ogni persona, anche a chi vive la degradazione più grave da un punto di vista umano, sociale e religioso.
3. Anche l’immagine del ritrovamento della Santa Croce è molto significativa. La tradizione ci consegna un racconto che ha delle varianti, ma nei tratti essenziali coincide: la regina Elena, madre dell’imperatore Costantino, viene pellegrina a Gerusalemme e desidera ricuperare al culto i luoghi della nostra redenzione. L’imperatore Adriano li aveva fatti coprire con templi pagani per cancellarli, ma in questo modo aveva ottenuto l’effetto opposto di preservarli.
La regina Elena si mette quindi alla ricerca della Santa Croce, e invece di trovarne una sola ne trova tre e bisogna, diremmo oggi, fare dei test per identificare la vera croce di Gesù e distinguerla dalle altre. La tradizione più antica dice che viene portata una donna moribonda e questa guarisce quando tocca la vera croce di Gesù, un’altra tradizione – quella che poi ha avuto più fortuna nei cicli pittorici (Agnolo Gaddi a Santa Croce a Firenze, Piero della Francesca nella chiesa di san Francesco ad Arezzo) – racconta che viene portato un uomo morto e quando viene accostato alla vera croce di Gesù risorge.
Il messaggio è evidente: non ogni croce porta salvezza, ma solo la croce di Gesù. Proprio perché nella croce di Gesù si manifesta l’amore più grande: quello del Padre per l’intera umanità, quello del Figlio per ognuno di noi, quell’amore che “è più forte della morte”, quell’amore che è in grado di sanare ognuno di noi dai morsi velenosi e mortali del male e del Maligno; dai morsi della nostra fragilità umana, fisica, psichica, morale e religiosa; dal morso della morte.
4. Quale atteggiamento infine siamo chiamati ad assumere per festeggiare in modo esistenziale e non solo rituale il ritrovamento della vera croce del Signore Gesù? Ci viene in aiuto san Francesco, la cui vita è stata segnata e trasformata dall’incontro con la croce e il Crocifisso. Tra i tanti passi dei suoi “Scritti” nei quali parla della croce, uno mi sembra particolarmente adatto alla festa odierna, si tratta dell’Ammonizione VI (FF 155), nella quale il Serafico Padre ci invita a contemplare e seguire il Cristo Crocifisso:
“Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. – ci dice san Francesco e continua – Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna”.
La conclusione del Serafico Padre è molto forte e suona come un richiamo a verificare se la nostra devozione è solo rituale o realmente esistenziale: “Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle”.
Il punto di arrivo di questo cammino insieme al crocifisso è che noi stessi diventiamo una immagine vivente del mistero della croce. Quando san Bonaventura racconta la discesa di san Francesco dal monte della Verna, dopo aver avuto la visione del Serafino Crocifisso e aver ricevuto il dono delle Stimmate dice che Francesco “portava con sé l’effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente” cioè dall’azione dello Spirito Santo (LM XIII,5: FF 1228).
5. Per intercessione di sant’Elena, che qui ha potuto trovare la Vera Croce, e per intercessione di san Francesco che ha cercato di amare e seguire Gesù portando ogni giorno la sua Santa Croce, lo stesso Signore crocifisso, risorto e vivente in eterno conceda anche a ognuno di noi la grazia di poter essere trasformati e redenti dal suo amore crocifisso, la grazia di essere associati alla sua croce, perché possiamo aver parte alla sua resurrezione e alla sua vita per sempre.
Così sia.
Fr. Francesco Patton, ofm
Custode di Terra Santa