Letture: Is 53,2b-9; Sal 15; At 13,16°.26-31; Lc 24,1-12
Carissimi fratelli,
Il Signore vi dia Pace!
1. Le letture che abbiamo appena ascoltato sottolineano con forza e con realismo la morte e sepoltura di Gesù e poi la sua risurrezione. Nel quarto canto del Servo del Signore abbiamo sentito il Profeta che intravvede tutta la sofferenza redentiva del Messia capace di trasformare il mondo, la storia e la nostra vita. Abbiamo ascoltato un brano che ci parla del Servo sfigurato e umiliato, del suo essere rigettato, del suo prendere su di sé la nostra infermità e il nostro peccato. Il brano terminava con la sua sepoltura: “Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo” (Is 53,9).
Il vangelo ci raccontava l’esperienza vissuta, qui in questo spazio, il mattino di Pasqua da Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo e altre donne di cui non è riportato il nome. È l’esperienza della tomba vuota e dell’incontro misterioso con “due uomini in abito sfolgorante”, che aiutano a comprendere che la tomba vuota è il compimento della parola profetica dello stesso Gesù: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno»” (Lc 24,). Le donne si ricordano e annunciano tutto ciò agli Undici, che però non credono loro. Poi lo stesso Pietro viene di corsa qui al Sepolcro, vede soltanto i teli, è pieno di stupore, ma ancora non ha fatto il passaggio dal vedere, al ricordare la parola di Gesù, al credere.
Infine nel brano degli Atti degli Apostoli ci veniva richiamato il mistero della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù e l’esperienza che finalmente ne fanno anche gli Apostoli, così Paolo annuncia: “Dopo aver adempiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme”. È grazie a questa esperienza che anche gli Apostoli, dopo le donne, diventano testimoni del Risorto: “e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo” (At 23,30-31).
2. Il luogo in cui ci troviamo è il luogo in cui tutto ciò si è compiuto, si è realizzato. La concretezza della roccia, sulla quale il corpo di Gesù è stato deposto (toccata, rilevata, fotografata e studiata anche lo scorso 27 ottobre durante i lavori di restauro dell’Edicola), ci dice che la nostra fede non si basa su un mito o una leggenda ma sulla corrispondenza tra ciò che i profeti hanno annunziato, ciò che i discepoli e le donne hanno sperimentato e testimoniato e ciò che gli evangelisti ci hanno narrato e trasmesso.
Ma proprio la narrazione evangelica ci dice che gli indizi non sono sufficienti per approdare alla fede. Abbiamo bisogno che qualche angelo o qualche uomo in veste sfolgorante ci ricordi ciò che Gesù ci ha rivelato di se stesso, della sua propria passione, morte e risurrezione. E abbiamo bisogno che dentro di noi scatti il miracolo dell’interpretare i segni, del ricordare, del riconoscere e del credere. Un miracolo che è opera dello Spirito Santo e ci fa percepire interiormente la verità della risurrezione di Gesù e non solo la realtà storica della sua passione, morte e sepoltura.
3. Ciò che comprendiamo in questo luogo è molto importante, è essenziale per poter vivere con una prospettiva solida di speranza. In questo luogo noi comprendiamo che il male, l’odio, la violenza non sono in grado di sabotare il progetto di Dio, che è progetto di vita e non di morte. Ciò che di peggio può uscire dal nostro cuore e devastare la vita nostra e altrui non è in grado di cancellare il processo di risanamento, di redenzione, di rinnovamento che si è realizzato nella morte e risurrezione di Gesù e che sta già trasformando la storia, nonostante tutti i segni contrari che purtroppo ancora sperimentiamo. Questa tomba vuota ci dice che chi ha scelto la via del male, della violenza, dell’odio e del dare la morte è già stato sconfitto da Colui che per amore ha preso su di sé e vinto ogni male, ogni violenza, tutto l’odio e anche la morte.
4. Davanti a questa tomba vuota lasciamo perciò risuonare due verbi richiamati dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Il primo verbo è “ricordare”. Cosa dobbiamo ricordare? Tutto quello che Gesù ci ha detto a proposito della sua passione, morte e risurrezione.
Occorre cioè che leggiamo tutto quel che accade alla luce della Pasqua di Gesù. È qui la differenza tra una lettura pessimistica della realtà e della storia e una lettura alla luce della speranza cristiana, che non è un ottimismo superficiale.
Viviamo in un mondo dove la violenza e l’odio e il male sembrano prevalere? La tomba vuota ci ricorda che i cultori dell’odio e della morte sono già stati sconfitti.
Facciamo l’esperienza dolorosa del fatto che le persone che amiamo ci possono essere strappate via in qualsiasi momento da una malattia, da un incidente, da un atto di violenza? La tomba vuota ci ricorda che Gesù ha già attraversato questa esperienza e ha fatto del sepolcro un luogo di passaggio.
Abbiamo paura di fronte alla nostra stessa morte, che non è qualcosa che possiamo scegliere, ma qualcosa che ci tocca necessariamente? La tomba vuota ci ricorda che anche per noi la morte, come cantava san Francesco, può essere sorella e può diventare la porta della vita.
5. Il secondo verbo è “testimoniare” o “essere testimoni” che è qualcosa di ancor più profondo. Le donne accorse al sepolcro diventano testimoni, così pure gli Apostoli e così le generazioni che ci hanno preceduto in questi duemila anni di cristianesimo e che ci hanno donato la testimonianza della loro fede e della loro speranza.
Cantare la nostra fede in Gesù morto e risorto, ha qui in questo luogo un senso particolare. Lodare e celebrare Dio perché qui in questa roccia ha aperto per noi e per la nostra umanità la via della vita divina è qualcosa di fondamentale, è il mandato che ci ha dato la Chiesa, nel 1342, con la bolla “Gratias agimus”.
Ma testimoniare la nostra fede in Gesù morto e risorto per noi implica ancora qualcos’altro, implica che siamo testimoni nelle situazioni e negli incontri quotidiani. Implica che quando non possiamo parlare esplicitamente della nostra fede in Gesù morto e risorto per noi, siano i nostri volti, i nostri atteggiamenti, il nostro modo di vivere ad essere più espliciti ed evidenti delle stesse parole.
Che lo Spirito del Signore ci renda capaci di ricordare e di testimoniare tutto ciò che qui si è compiuto.
Fr. Francesco Patton, ofm
Custode di Terra Santa