Es 24,3-8; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
Carissime sorelle, carissimi fratelli, il Signore vi dia pace!
- La solennità del “Corpus Domini”, cioè del Corpo del Signore, è nata nella Chiesa di Occidente durante il medioevo (1264) dalla devozione al Signore presente nel Pane Eucaristico. È nata come risposta di fede a quanti sostenevano che Gesù Cristo non è realmente presente nell’Ostia consacrata. Da questa scoperta, che è frutto di un’esperienza, nasce poi, come forma di riconoscenza, il bisogno di adorare.
- Per noi frati minori è esemplare la fede eucaristica di san Francesco, che nella Prima Ammonizione, arriva a dire: “Ecco, ogni giorno egli [il Signore] si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: «Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo»” (Amm I, 16-22: FF 144-145).
- Le letture proposteci dalla Liturgia odierna ci invitano ad inserire questa festa nel contesto della storia della salvezza. Ci ricordano la prima Alleanza, quella realizzatasi ai piedi del monte Sinai, nella quale Israele si impegna a vivere secondo la Parola di Dio. Mosè svolge il ruolo del mediatore e si serve del segno del sangue per indicare la nuova unione tra Dio e il suo popolo. È un simbolo potente quello del sangue versato per metà sull’altare (che rappresenta Dio) e usato al tempo stesso per aspergere il popolo. È un modo per esprimere la consanguineità, cioè la familiarità, tra Dio e il suo popolo. Però questa alleanza non si nutre solo di un rito a valore simbolico, ma anche di un impegno profondo a vivere secondo la Parola di Dio, secondo i suoi comandamenti: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».
- Gesù nel vangelo di Marco si richiama direttamente a questa alleanza per inaugurarne una nuova, che sarà suggellata non attraverso l’aspersione del sangue di animali, ma nel sangue stesso di Gesù, cioè attraverso il dono della sua vita. Perciò il Signore Gesù nell’ultima cena anticipa, celebrandolo, quello che sarà il sacrificio della croce, di modo che gli apostoli possano comprenderne il significato. Questa volta il sangue dell’alleanza non serve più per aspergere ma viene assunto, non è più qualcosa di esteriore ma qualcosa che viene interiorizzato.
Gesù dona a noi la possibilità di beneficiare di quello stesso sacrificio di alleanza nella nostra vita partecipando all’Eucaristia, nella quale “annunziamo la sua morte e proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”. Anche nella Nuova Alleanza è necessario assumere un impegno, e questo impegno lo scopriamo leggendo i discorsi di Gesù nel Cenacolo riportati da Giovanni, è l’impegno a vivere il comandamento nuovo: “come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
- Secondo l’autore della “Lettera agli Ebrei” Gesù si richiama agli elementi della prima alleanza, li fa propri, li eleva e li trasforma nella Nuova Alleanza: non è più il sangue di agnelli e di capri, non è più il corpo di animali ad essere offerto! Gesù offre il proprio sangue, dona il proprio corpo, cioè dona se stesso in modo personale e dona tutta la propria vita.
La potenza dello Spirito Santo che trasforma gli elementi del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore fa sì che noi possiamo accogliere questo dono e trasforma in membra vive dello stesso Corpo noi che dell’Eucaristia ci nutriamo.
- La festa del Corpo e Sangue del Signore vuole aiutarci a riflettere sull’Eucaristia, sull’amore in essa presente e significato, sugli impegni che derivano dal cibarsene, sul senso di gratitudine e di gratuità che deve permeare chi, come noi, dall’Eucaristia, in fondo, ha ricevuto tutto.
Ma non si ferma qui, perché l'Eucaristia non è un invito all'intimismo o all'individualismo. L’Eucaristia ci insegna che accogliere il Corpo di Cristo vuol dire accogliere anche tutti i fratelli e le sorelle che di quel corpo fanno parte o che sono ordinati a far parte di quel corpo. Così come essere accolti da lui vuol dire essere resi capaci di accogliere gli altri, andare alla comunione vuol dire impegnarsi a fare comunione, ricevere il Dono vuol dire rendersi disponibili a donare se stessi.
Come ci ha ricordato papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”: “L’amore ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)” (FT 95).
7. Chiediamo allora la grazia di nutrirci di questo cibo speciale che è capace di trasformare la nostra persona, di farci diventare il corpo, la famiglia, la fraternità e il popolo di Dio.
Chiediamo la grazia di saper ricevere questo cibo speciale con la disponibilità a fare quello che Lui ci chiede, a conformare la nostra volontà alla sua, anche quando costa, perché in questo consiste la vera adorazione.
Chiediamo che ci sia in noi la capacità di vivere ogni incontro col Cristo Eucaristico come un incontro d’amore che ci trasforma, che ci rende capaci di amare come Lui ci ha amato. E che da questo luogo, che richiama l’Eucarestia e il Comandamento Nuovo, l’amore che tutto redime e tutto rinnova e che ci rende tutti fratelli si propaghi nel mondo intero. Così sia.